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Capitolo III - La Matematica italiana nel cinquantennio 1890-1940

Parte 3 - La matematica italiana nel periodo tra le guerre



1. La produttività

1.1 L'Unione Matematica Italiana (UMI)

L'UMI nasce ufficialmente il 31 marzo 1922 quando Salvatore Pincherle, dopo due anni di tentativi, decide di rompere gli indugi e invia ai matematici italiani una circolare di presentazione del programma della costituenda Società.
L'iniziativa era sorta, più che da motivazioni interne alla comunità matematica (com'era stato per altre società professionali italiane quali ad esempio quella dei fisici o dei chimici), in corrispondenza del voto formulato a Bruxelles, nelle sedute dal 18 al 28 luglio 1919, dal Consiglio Internazionale di ricerche al quale avevano partecipato i rappresentanti del Belgio, del Canadà, degli Stati Uniti d'America, della Francia, della Gran Bretagna e Irlanda, dell'Italia, del Giappone, della Nuova Zelanda, della Polonia, del Portogallo, della Rumenia e della Serbia. L'Italia in tale occasione era stata rappresentata dall'Accademia dei Lincei, in particolare da Vito Volterra. In tale conferenza era stato espresso il voto che sorgessero comitati nazionali per lo scopo sopra indicato. Così recita una prima bozza di circolare scritta da Volterra nel marzo del 1920. La circolare esordiva con il richiamo all'esperienza delle altre comunità scientifiche del nostro Paese ed enucleava uno schema di programma molto generico:

È vivo desiderio di molti studiosi di costituire una unione italiana la quale raccolga i matematici, analoga a quelle già fondate per le scienze chimiche, per le scienze astronomiche e per l'Oceanografia.
L'Unione si propone:
a) l'incoraggiamento alla scienza pura -
b) il ravvicinamento tra la matematica pura e le altre scienze -
c) l'orientamento ed il progresso dell'insegnamento -
d) l'organizzazione, la preparazione e la partecipazione a congressi nazionali ed internazionali.
Questa unione si propone altresì di ricongiungere e coordinare le forze delle altre associazioni nazionali esistenti.

Questa circolare, secondo l'intenzione di Volterra, avrebbe dovuto essere firmata da lui stesso e dai matematici seguenti (si noterà la forte presenza di cultori di Meccanica): Luigi Bianchi (Pisa), Pietro Burgatti (Bologna), Gian Antonio Maggi (Pisa), Roberto Marcolongo (Napoli), Salvatore Pincherle (Bologna), Carlo Somigliana (Torino), Giovanni Vacca (Roma). In realtà la circolare spedita non conteneva più la firma di Maggi probabilmente per gli stessi motivi che sono evidenziati nella seguente lettera di Burgatti a Tullio Levi-Civita del 5 ottobre 1920:

So che ti sei meravigliato di vedere il mio nome tra le firme della circolare d'invito per una unione dei matematici. In verità mi sono meravigliato anch'io. Non prestai sufficiente attenzione a quanto mi disse rapidamente il Sen. Volterra, e non pensai che l'unione potesse mirare – come ora mi si dice – ad una azione antitedesca. Aderii verbalmente senza dare importanza alla cosa e senza credere d'impegnarmi con una firma. Questo ti dico confidenzialmente e pregandoti di non farne parola al Volterra, perché infine non posso incolpare che me stesso. E te lo dico perché tu abbia direttamente la conferma di quanto avevi felicemente intuito sulla portata della mia azione. Ma io credo e spero che l'Unione resti un pio desiderio, e che la germanofobia sia, per questo lato almeno, un male passeggero.

L'eccessiva caratterizzazione antidesca di tutte le iniziative organizzative prese dalla “Conferenza Interalleata delle Accademie scientifiche” costituì dunque, almeno per alcuni matematici italiani, uno dei motivi principali della freddezza con cui fu accolto il “desiderio” di Volterra che, invece, risultò vincente per quanto attiene alla nascita del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Levi-Civita appare, almeno allo stato attuale delle ricerche, il capofila di quei matematici italiani che con maggiore intransigenza difesero i valori di un rigoroso internazionalismo scientifico. Proprio nel 1922 egli aveva iniziato una corrispondenza con Theodore von Kármán per la creazione di un luogo istituzionale autonomo per gli incontri internazionali dei cultori di dinamica dei fluidi, i “Congressi internazionali di Meccanica applicata” (il primo si terrà poi a Delft nel 1924). Sarà proprio Levi-Civita, con una posizione davvero eccezionale e per certi versi solitaria, a proporre all'amico, che l'iniziativa italo-tedesca doveva essere indirizzata anche a scienziati francesi e inglesi. «Se qualcuno interverrà effettivamente, tanto meglio; ad ogni modo noi metteremmo così in evidenza lo spirito di internazionalismo scientifico da cui siamo entrambi animati». La risposta secca e gelida di Volterra all'iniziativa la dice lunga sulla diversità di atteggiamento che in quel momento li divideva sul piano delle iniziative internazionali che si andavano assumendo.
Né questo era però l'unico motivo di dissenso: un altro era rappresentato dalla designazione piovuta “dall'alto” del Presidente, decisa unilateralmente dall'Accademia dei Lincei probabilmente per tagliar corto ad ogni discussione. Il 18 marzo 1921, infatti, Volterra, quale Vice Presidente dell'Accademia, comunicava formalmente a Pincherle tale designazione:

Mi pregio di comunicarLe che si è costituita la “Unione Matematica Italiana” la quale entra così a far parte della “Unione Matematica Internazionale” che insieme alle altre Unioni Scientifiche, compone il “Conseil International des Recherches”. Sono lieto di aggiungere che la Presidenza della “Unione Matematica Italiana” è a Lei affidata; ed a Lei è pure connessa la nomina del Segretario della Unione stessa; nomina della quale, a suo tempo, Ella vorrà dare comunicazione al prof. Emilio Picard Presidente del “Conseil International”.

Legittima era certamente l'aspirazione di Volterra a non restare emarginato rispetto ai Congressi internazionali che si stavano progettando da parte delle varie Unioni internazionali. Ma la via scelta era quanto mai impropria e non deve aver convinto nemmeno lo stesso Pincherle se questi, a distanza di un anno, nel tentativo di convincere l'ancora restìo Levi-Civita, è costretto a confessare [lettera del 12.4.1922] la sua riluttanza a farsi carico dell'iniziativa:

E poiché ho occasione di scriverti, mi permetto di rivolgerti una preghiera; ed è di non fare cattivo viso all'iniziativa che, a preghiera d'alcuni colleghi e quasi à son corps défendant, ho dovuto prendere, di costituzione dell'Unione Matematica Italiana. Si tratterebbe di aver fra noi qualcosa d'analogo alla Deutsche Math. Vereinigung o alla Société Mathématique de France e a quanto hanno da noi i fisici, i chimici, i geodeti, ecc. La mia azione è affatto provvisoria, ma ci ho messa tutta l'anima, coll'intendimento, appena si raggiunga un numero sufficiente di soci, di lasciare l'impresa nelle mani d'una presidenza che verrà eletta dai soci stessi e dovrà essere formata d'elementi giovani e fattivi: la mia è dunque pura opera d'éclanchement, e per riuscire, conto sul ben volere e sull'appoggio dei colleghi. Spero dunque che non vorrai rifiutare la tua adesione - che va mandata alla ditta Zanichelli di qui - non solo, ma che vorrai darci, per uno dei primi numeri del futuro bollettino, un tuo scritto, sia pure brevissimo, ma che porti la tua firma. Sei così versato nell'argomento che ora interessa sopra tutti il mondo scientifico, che lo scrivere due righe su qualche problema connesso alla teoria della relatività, deve essere per te cosa di nessuna fatica, e ti saremo estremamente grati d'una risposta favorevole.
Ti prego pure di volere interessare a fare parte dell'Unione i cultori della Matematica, anche applicata, fra i quali conti un così grande numero d'amici e di ammiratori. Uno degli scopi che, secondo me, l'Unione si deve proporre, è d'abbassare, per quanto è possibile, la barriera fra la scienza pura e le applicazioni. E se il promotore dell'impresa ti sembra troppo impari alla riuscita, pensa che formata che sia e posta in mani autorevoli, l'Unione Matematica potrà rappresentare un organo importante in avvenire, per la Scienza che coltiviamo.

C'è nella lettera di Pincherle, come si vede, un passaggio importante: la volontà cioè di non limitarsi alla semplice rappresentanza per le iniziative internazionali, ma di voler costituire una vera associazione professionale dei matematici italiani, con una propria struttura autonoma non dissimile dalle società già esistenti: la Société Mathématique de France (fondata nel 1872), la Deutsche Mathematiker -Vereinigung (fondata nel 1890) e l'American Mathematical Society (fondata nel 1891). È proprio allo Statuto della “Società matematica tedesca” che si ispira il programma della nascente UMI, quando dichiara di voler «promuovere ed incrementare in tutti i modi la matematica, stabilire attive interrelazioni tra le sue varie parti e pubblicazioni sparse, elevarla al suo giusto ruolo nella vita intellettuale del Paese e offrire ai suoi rappresentanti e cultori l'opportunità per liberi e amichevoli scambi di idee, competenze e speranze»7. Questa interpretazione è peraltro confermata, ci pare, da una lettera che Pincherle indirizza a Volterra (del 22.3.1922):

Carissimo amico,
non ho dimenticato l'impegno che avete voluto affidarmi, di cercare di costituire l'Unione Matematica Italiana, da confederare coll'Unione Matematica Internazionale. Dopo molte riflessioni, mi è sembrato che sia venuto il momento di rompere gl'indugi e di diramare una circolare ai matematici e ai simpatizzanti per esporre gli scopi dell'Unione e domandare la sollecita adesione. Prima però di fare la spedizione della circolare, credo mio dovere di sottoportene una bozza, che ti prego di rimandarmi, quando tu l'abbia esaminata, colle tue eventuali osservazioni. Ti prego anzi di rinviarmela con qualche sollecitudine, perché la spedizione si vorrebbe fare prima delle vacanze di Pasqua.
Naturalmente l'Unione dovrebbe farsi viva mediante un Bollettino, di cui si dovrebbe fare uscire il primo numero fra un paio di mesi al più tardi. E a questo proposito ti rivolgo una mia preghiera, ed è che in questo primo numero figuri un tuo articoletto, nella forma che crederai opportuna, ed anche di pochissime righe, ma desidero che nel primo numero i soci vedano la tua firma.
Il comm. Franchi8 si assume la pubblicazione, nella speranza che le adesioni gli assicurino di rientrare delle spese.
Insieme colla circolare, spedirò ad un collega per ogni facoltà o Politecnico una lettera, per pregarlo di fare propaganda per la nuova istituzione e chiedere anche che egli designi qualche membro della sua Facoltà a corrispondente dell'Unione incaricato di dare le notizie di carattere scientifico o didattico che interessano la Facoltà stessa.
Ho avuto dal Koenigs una lettera che, fra altre cose meno importanti, invita l'Italia a versare le quote di fr. 1000 per il 1921 e per il 1922; dunque circa £ 3600 in tutto. Io direi che la quota del 1921 si potrebbe risparmiare, visto che una Unione Matematica Italiana non era costituita; ma la quota del 1922 (£ 1800) dove si trova? In seguito, se la nostra Unione prende piede – cosa ancora dubbia – essa potrà soddisfare a questo impegno, almeno in parte, mentre qualche Ente provvederà ad una parte; ma per questa prima volta, è necessario di trovare i fondi, e perciò mi rivolgo a te perché, colla tua influenza e la tua autorità, tu procuri di interessare sia il Ministero, sia quegli enti che crederai, a fare sì che l'Italia non faccia brutta figura. A parte questa difficoltà, in questo momento la più grave, credo che una Unione fra i matematici (puri ed applicati) possa prosperare come hanno fatto Società consimili fra i fisici, i chimici, ecc.; e vinte le prime difficoltà, si vedrà di darle uno statuto conveniente ed un Presidente più fattivo e più autorevole del tuo aff.mo S. Pincherle
Quale è l'attuale indirizzo del prof. Vacca? Gli voglio scrivere, perché potrebbe essere un efficace propagandista e collaboratore.

“Vinte le prime difficoltà”, dice Pincherle: alcuni matematici, e tra i più prestigiosi, continuavano dunque a “resistere”. Taluni, come per esempio Levi-Civita, per accentuare (e sarà una battaglia vincente) il carattere internazionalista della nascente associazione come conferma la seguente lettera di Pincherle a lui indirizzata il 9 giugno 1922:

dopo tornato a Bologna, ho pensato a corrispondere al desiderio che mi hai manifestato, spostando quel brano di programma dell'UMI relativo al voto circa alla effettiva internazionalizzazione, e cercando di porlo dopo trascritto la prima circolare.
Ma dopo di questa, l'enunciato degli scopi si riferisce esclusivamente alla composizione del Bollettino: perciò lo spostamento non solo avrebbe portato un inciso fuori di posto, ma si sarebbe male amalgamato col rimanente, in modo da togliervi efficacia. Il lasciare quel brano al punto dove si trova non mi sembra, dopo avervi maturatamente riflettuto, che gli venga a togliere importanza, che ho cercato anzi d'accrescere con qualche ritocco che ne accentua maggiormente la portata. Sono persuaso che, quando rileggerai il programma, ne converrai tu pure, e non dubito della tua adesione (alla quale attacco tanta importanza) ad un'impresa che, così come è, non può non giovare agli studi nostri.

Il passo in questione, che secondo Pincherle avrebbe dovuto sciogliere le residue perplessità del Levi-Civita, suona così nel Programma dell'UMI: «(...) però fin d'ora, possiamo e dobbiamo fermamente ritenere che, dileguati gli echi della conflagrazione mondiale, l'Unione internazionale venga a giustificare pienamente il suo nome raccogliendo, in un non lontano avvenire, i cultori delle scienze esatte in tutto il mondo: e questo è fra i voti dell'Unione Matematica Italiana». Ma ciò tuttavia non bastò a vincere la freddezza dei matematici romani di cui ancora una volta (lettera del 3.5.1922) Pincherle si lamenta con Volterra:

Carissimo amico,
poiché ti interessi della buona riuscita della nostra iniziativa per la costituzione dell'Unione Matematica Italiana, credo di doverti ragguagliare su ciò che si è fatto e ciò che si conta di fare.
Abbiamo per ora una cinquantina e più di adesioni: pochi come soci fondatori, ma i soci ordinari hanno inviata la loro quota, e ciò dispone bene il nostro editore, il solerte ed intelligente comm. Franchi, che pare assai disposto ad agevolare la nostra impresa. Fra poco, nel formato che dovrà essere quello del futuro Bollettino, si diramerà agli aderenti un programma più particolareggiato delle rubriche del Bollettino stesso; (...)
Ciò che mi dispiace un pò, è che fra l'elenco delle adesioni – alcune entusiastiche – Roma è assai scarsamente rappresentata. Spero che questa freddezza sarà soltanto temporanea e che, noto il programma particolareggiato di lavoro che non potrà che giovare allo sviluppo della scienza senza disturbare in alcun modo ciò che già esiste, i colleghi di costì si accosteranno essi pure alla nuova istituzione. Ho scritto in questo senso una lunga lettera al Castelnuovo, pregandolo di comunicarla al Levi-Civita e all'Enriques. (...)
Io non risparmio fatica perché l'opera iniziata possa giungere a buon punto, e gli inizi sono favorevoli, più di quanto si poteva sperare. Ma conto molto sul tuo appoggio, che spero non ci mancherà!

Era dunque il gruppo “romano” [Castelnuovo, Enriques, Levi-Civita e Severi] quello più restìo a mobilitarsi per un'impresa di cui, a parte i motivi contingenti legati alla riorganizzazione scientifica internazionale post-bellica, non si sentiva affatto il bisogno. Fra i motivi che nel passato avevano fatto ritenere inutile la creazione formale di un'associazione professionale dei matematici, va innanzitutto annoverato il fatto che le relative funzioni erano di fatto assolte da almeno tre organismi: il “Circolo Matematico di Palermo”, fondato nel 1884 da Giovan Battista Guccia e cui aderivano più di un migliaio di soci (di cui la metà stranieri); la “Mathesis”, un'associazione di insegnanti di matematica, sorta inizialmente con finalità esclusivamente didattiche ma che, con i primi del Novecento, mediante una modifica statutaria, aveva aperto le porte a “tutti i cultori della matematica, riuniti così in una più vasta associazione”; e infine la “Società Italiana per il Progresso delle Scienze”, che annualmente organizzava congressi scientifici, articolati per sezioni, a cui partecipavano molti matematici. La tiepidezza degli “oppositori” nei confronti della nascita dell'UMI era quindi pienamente giustificata ed in parte condivisa dallo stesso Pincherle che sembra sentire il dovere di scusarsi scrivendo al Presidente del Circolo Matematico di Palermo (Michele de Franchis) una lettera in cui il tono amichevole e tranquillizzante non riesce a nascondere un certo disagio9:

(...) Ma perché ho sentito dire che a taluni è sembrato che la nascente associazione possa, in qualche modo, nuocere al Circolo Matematico di Palermo, alla cui vita gloriosa mi onoro di aver partecipato sin dall'inizio, e nel timore che simile dubbio possa essere giunto a Lei, mi affretto a dirLe che questo pensiero non ha ombra di fondamento.

Ed è proprio questo disagio, assieme alla ostinazione dei matematici “romani”, che spinge Pincherle ad invocare l'incondizionato appoggio di Volterra perché con la sua “firma” avalli la nascita del “Bollettino” dell'UMI (lettera del 17.5.1922):

Carissimo amico, grazie per il vaglia che ho passato alla Casa Zanichelli. Le adesioni continuano a giungere in modo assai confortante.
Vorrei pregarti di un favore: ed è di acconsentire a che il tuo nome figuri nel Comitato di redazione del Bollettino; Comitato provvisorio, in attesa di quello che verrà nominato dai soci dopo l'approvazione dello Statuto. Saremmo ben lieti se tu volessi accettare; i nomi saranno non più di cinque o sei; all'infuori dei bolognesi, il Bianchi ha già accettato.

D'altra parte, il panorama del giornalismo matematico italiano era di per sé sufficientemente ricco e articolato per supportare un nuovo periodico che andasse al di là della pubblicazione di notizie, recensioni o piccole note aventi “un'indole meno speciale di quella delle ordinarie comunicazioni accademiche”. Né la nascita del “Bollettino” dell'UMI servì da freno al proliferare di altre riviste (alcune davvero minori e che avranno una vita effimera) quali ad esempio:
Archimede, “organo della Società Universitaria di Scienze Matematiche di Palermo”, (1923); Rivista di Matematica pura ed applicata per le scuole medie (1925); Rendiconti del Seminario Matematico e Fisico di Milano (1927); Rendiconti del Seminario Matematico di Torino (1929); Rendiconti del Seminario Matematico di Padova (1930); Rendiconti Seminario Matematico di Cagliari (1931).
Se si fa eccezione del “Giornale degli Attuari”, fondato come già s'è detto nel 1930, che diventerà a poco a poco una voce autorevole per l'apertura alle discipline economiche e sociali, nessuna di queste Riviste si caratterizza per l'alto grado di specializzazione che connota ad esempio, in quell'epoca, le riviste nate in un paese matematicamente giovane come la Polonia. C'è però da sottolineare la difficoltà in cui si venne a trovare l'editoria matematica del nostro Paese a causa dell'aumento vertiginoso dei costi nell'immediato dopoguerra; così quando gli “Annali di Matematica”, la rivista che quasi aveva accompagnato il progressivo decollo della matematica italiana post-risorgimentale, rischia di chiudere, l'UMI si mobilita in forze per impedire un evento così tragico per l'orgoglio dei matematici italiani e Pincherle può comunicare con giusto compiacimento che quel pericolo è scongiurato, nel frattempo richiamando i matematici italiani ad una più fattiva collaborazione:

Chiarissimo Collega - scrive nel maggio 1923 in una circolare ai matematici italiani - Ella avrà certamente saputo come la ditta Turati e Lombardi, da molti anni editrice degli “Annali di Matematica pura ed applicata”, abbia deciso di rinunciare a tale pubblicazione dopo comparso l'ultimo fascicolo, testé distribuito agli associati, del tomo 31° della terza serie.
Il comitato di redazione degli Annali e l'Unione Matematica Italiana hanno cercato, con ogni mezzo, che l'antico e glorioso periodico (che per quasi tre quarti di secolo ha contribuito a diffondere nel mondo scientifico l'opera degli studiosi italiani, e al quale hanno collaborato i più insigni matematici del nostro paese e molti illustri dell'estero) non avesse a scomparire, ma che potesse invece continuare l'opera sua con efficacia pari a quella avuta fino ad oggi. I tentativi, svolti colla ferma fiducia di vincere le non lievi difficoltà, si possono dire ora giunti a buon fine. Le elargizioni di alcuni generosi, fra cui vanno in special modo ricordati l'Istituto per le onoranze a Giuseppe Colombo e l'Ing. Prof. Ottorino Pomini di Castellanza10, non poche associazioni anticipate al prossimo volume, sottoscritte in America mercé l'opera zelante del prof. Virgil Snyder, il concorso disinteressato della casa editrice N. Zanichelli di Bologna, che, sotto l'illuminata direzione del Gr. Uff. Oliviero Franchi s'è resa tanto benemerita della produzione scientifica e specialmente matematica nel nostro paese, rendono possibile ed assicurano la continuazione degli Annali di Matematica.
Nel darLe questa notizia che Ella, amante come è della nostra scienza, accoglierà senza dubbio con compiacimento, Le rivolgiamo viva preghiera perché Ella s'interessi a procurare agli Annali qualche lavoro Suo o dei suoi collaboratori e discepoli, che valga a dare pregio ai primi volumi della nuova 4a serie. Non Le può sfuggire l'importante dovere che ci incombe: cioè che sia mantenuto e, se è possibile accresciuto, il credito che, fino dai tempi del Tortolini e più di tutto per opera del Brioschi, gli Annali di Matematica hanno saputo acquistare, e contiamo sulla di Lei collaborazione per non venire meno a questo dovere.

L'UMI, superando a poco a poco incertezze e perplessità (nel 1926 – in perfetta sincronìa con la deliberazione dell'International Research Council di abrogare la clausola di esclusione nei confronti degli scienziati tedeschi – la maggior parte dei matematici italiani, compreso Levi-Civita che comunque aveva aderito verso la fine del '22, è presente fra i suoi soci), alla fine decolla, ma è un decollo che avviene in parallelo all'affermarsi del fascismo e questo parallelismo segnerà purtroppo i suoi primi decenni di vita. Inaugurando i lavori  del primo Congresso, svoltosi a Firenze dall'1 al 3 aprile del 1937, Luigi Berzolari, Presidente dell'Unione, sottolineava appunto tale (non proprio felice) coincidenza:

Il nostro primo pensiero si volga riverente alla Maestà del Re Imperatore, tre volte coronato dalla vittoria, fulgida espressione di virtù civili e di civile sapienza, sicuro interprete dell'anima del Suo popolo così nella propizia come nell'avversa fortuna; al Duce onnipresente, meraviglioso artefice della rinascita nazionale, ricostruttore, negli spiriti e nella materia, della grandezza imperiale di Roma.
L'Unione matematica italiana sorse 15 anni or sono, appunto all'inizio del prodigioso movimento che doveva condurre, ammirata e invidiata, l'Italia ai fastigi dell'Impero. (...) Nei tre lustri testé trascorsi, densi di mirabili eventi che hanno impresso un nuovo ritmo in ogni settore della vita italiana, la voce degli uomini di pura scienza non poteva avere grandi risonanze; tanto meno potevane avere la voce dei cultori della Matematica, la quale, traendo la sua principal forza da un simbolismo e da un linguaggio tecnico di grande finezza e comprensione, e però non agevolmente accessibile a chi non vi sia preventivamente iniziato, vive una sua vita alquanto appartata dalla vita ordinaria.

In effetti, lontana dai “mondani romori”, l'UMI non riesce ad elaborare, nei confronti del fascismo, una politica che salvaguardi l'autonomia professionale dei matematici. Avendo delegata alla “Mathesis” (e ad Enriques) la gestione degli aspetti didattici della disciplina, rimane subalterna all'Accademia dei Lincei per quanto attiene la più “fascista” delle “riforme” mussoliniane, la riforma della scuola voluta da Giovanni Gentile. L'unico atto che riesce a compiere con un certo grande respiro è, come si è detto, l'organizzazione del Congresso internazionale dei matematici tenutosi a Bologna dal 3 al 10 settembre del 1928. È il Congresso in cui la difesa intransigente dell'internazionalismo scientifico trova finalmente una decisa affermazione. Abbiamo già citato la presa di posizione di Levi-Civita in tale direzione e. prima. avevamo ricordato le nobili parole con cui Michele De Franchis respingeva l'ondata nazionalistica post-bellica che pretendeva di far espellere dal Circolo Matematico di Palermo, i membri tedeschi (lettera a Bianchi dell'1.3.1919).
Occorre premettere che la serie dei Congressi internazionali dei matematici era ripresa dopo la guerra con quelli di Strasburgo del 1920 e di Toronto nel 1924. Indetti come erano dall'International Mathematical Union che afferiva all'International Research Council, da entrambi erano stati esclusi i matematici di “nazionalità germanica, bulgara, austriaca ed ungherese”. Ma già a Toronto, con la forte opposizione della Francia, i delegati di Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia e di altri paesi avevano proposto che quella preclusione fosse abolita. Come già s'è detto, nella seduta del 26 giugno 1926 l'International Research Council deliberava l'abolizione di ogni restrizione ed invitava gli stati esclusi ad aderire. In conseguenza di quel voto, l'UMI invitò anche i matematici tedeschi e si adoperò perché venissero a Bologna. La Deutsche Mathematiker-Vereinigung distribuì tale invito ai soci tramite i suoi “Jahresberichte”, ma mentre alcuni si preparavano ad accettarlo altri reagirono violentemente accusando l'International Research Council di “boicottare la scienza tedesca” e chiedendo che non si andasse a Bologna, ma si inviasse una nota di protesta11.
Le difficoltà a convocare un congresso realmente internazionale non venivano all'UMI solo dagli invitati, ma anche dal segretario della International Mathematical Union che, citando i regolamenti e rifacendosi al presidente dell'International Research Council (Picard), pretendeva che venissero annullati gli inviti fatti ai matematici dei paesi non aderenti all'International Research Council. Nonostante l'esito negativo di un'accorata lettera di Pincherle, Presidente della International Mathematical Union, a Emile Picard, perché si trovasse un escamotage formale,  “il comitato ordinatore [del Congresso] perseverò nella sua opera, intesa alla rappacificazione degli animi, al riavvicinamento degli scienziati dei paesi che la guerra aveva divisi, ed al ristabilimento di quelle cordiali relazioni di colleganza, tradizionale fra matematici nei Congressi dell'ante-guerra”.
La vicenda ebbe però un doloroso seguito, perché fu fatta pubblicare una lettera aperta “pochi giorni prima dell'apertura del Congresso da un distinto scienziato ma pervicace oppositore (di nazionalità non tedesca) per alienare dal Congresso i fautori di parte tedesca”. Si trattava dell'olandese Brouwer che, richiamando le parole con le quali anni prima Painlevé aveva motivato l'ostracismo verso gli scienziati tedeschi, scriveva:

Di fronte a queste parole, fino a che punto è possibile che qualche matematico voglia prendere in considerazione la partecipazione al progettato congresso senza schernire la memoria di Gauss e Riemann, i caratteri culturali delle scienze matematiche e l'indipendenza dello spirito umano?

Così la comunità matematica tedesca si divise in due gruppi, uno intorno a Hilbert fautore della partecipazione e l'altro intorno a Brouwer decisamente contrario. Gli animatori di questo secondo gruppo erano soprattutto i matematici di Berlino (Erhard Schmidt, Ludwig Bieberbach e Richard von Mises), rappresentanti le tendenze più decisamente nazionalistiche: rivendicavano i valori della scienza tedesca come tipici di una razza e vedevano dietro l'internazionalismo del Congresso di Bologna solo la politica antitedesca degli Alleati. Hilbert al contrario, com'è ben noto, non solo non aveva firmato il famoso manifesto degli intellettuali tedeschi di appoggio alla guerra, ma era un coerente sostenitore dell'internazionalismo scientifico: “la matematica, sosteneva, non conosce razza ... per la matematica l'intero mondo culturale è fatto di un unico paese”.
Alla fine il Congresso si fece secondo le intenzioni dei matematici italiani e gli “Atti” registrano 836 matematici partecipanti: 336 italiani, 76 tedeschi (la delegazione più numerosa dopo quella italiana), 56 francesi, 52 statunitensi e 47 inglesi. Della delegazione tedesca, in rappresentanza (con Courant e Landau) dell'Università di Göttingen e della sua “Gesellschaft der Wissenschaften”, faceva parte anche David Hilbert che venne nominato Presidente del Congresso e tenne la prima conferenza generale sui “Fondamenti della Matematica”.
Il congresso di Bologna rappresentò l'ultimo bagliore di autonomia professionale dei matematici italiani, prima di una serie ininterrotta di silenzi e di cedimenti al fascismo, del resto già intravisti a Bologna. Pincherle, uno dei pochi firmatari scientifici del manifesto gentiliano del 1925 che, in un momento di difficoltà del fascismo, sollecitava l’adesione degli intellettuali al fascismo, aveva chiesto l’appoggio “morale e materiale” di Mussolini. Il capo del fascimo  lo aveva accontentato stanziando per il Congresso l’enorme cifra di 200.000 lire (utilizzando un fattore di rivalutazione pari a 1298.8, corrisponderebbero a circa 134730€). Pincherle, a sua volta, ringrazia il Duce con queste parole di chiusura del suo saluto inaugurale: “L’Uomo eccezionale che la stella d’Italia ha fatto sorgere perché ne diriga i destini, ha approvato la nostra linea di condotta; il Congresso ha avuto il Suo appoggio (...); grazie a questo appoggio, la Commissione esecutiva del Congresso ha potuto assolvere il suo compito, che era lungi dal presentarsi facile”.
Nel 1934 lo Statuto dell'UMI, come quelli della maggior parte delle associazioni e accademie, fu modificato in ossequio al processo di fascistizzazione della cultura italiana. Il nuovo Statuto, che faceva aperta violenza al carattere di libera associazione dell'UMI, prevedeva infatti che la “nomina [del Presidente, del Vicepresidente e dei membri della Commissione scientifica] ha corso solamente dopo l'assenso del Ministero dell'Educazione Nazionale”. Di opposizione neanche a parlarne, nemmeno quando, l'anno successivo, gli effetti del nuovo Statuto si fecero pesantemente sentire allorché Vivanti e Volterra, entrambi eletti fra i membri della Commissione scientifica non ottennero il previsto “assenso” ministeriale e furono sostituiti da Fantappié e Fubini che, con Castelnuovo, avevano ottenuto più voti fra i soci non eletti. Riportando i risultati della votazione, il “Bollettino” dell'UMI aveva semplicemente annotato che sarebbero stati sottoposti, “a norma di Statuto, alla approvazione del Ministero”. Ben diverso l'atteggiamento di muta, ma significativa, protesta che in una circostanza simile tenne il Presidente del Circolo Matematico di Palermo (de Franchis): le prime due pagine dei “Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo” per l'anno 1935 pubblicarono da un lato la redazione liberamente eletta nel 1931 (fra cui figuravano Courant, Landau e Volterra) e dall'altro lato il nuovo Statuto fascista che offendeva tutte le grandi tradizioni del Circolo.
Un altro esempio di cedimenti al regime si ha nel 1936. In quell'anno avrebbe dovuto svolgersi, a Oslo, il decimo Congresso internazionale dei matematici, nel corso del quale Severi avrebbe dovuto tenere una conferenza generale dal titolo “Teorie e questioni nuove nella Geometria algebrica” e presiedere la Commissione che avrebbe assegnato le prime due medaglie Fields. L'assemblea dell'UMI, riunita a Bologna il 21 aprile del 1936, esamina l'opportunità della partecipazione italiana a quel Congresso e delibera come al solito (e con evidenti salti logici) di subordinarla alle decisioni del Regime adottando una motivazione che sembra voler confermare quella “libidine di assentimento” che secondo Concetto Marchesi avrebbe caratterizzato gli atteggiamenti della grande cultura italiana durante il fascismo:

Per quel che riguarda la partecipazione della Società al Congresso Internazionale matematico, che quest'anno si terrà in Oslo, il Presidente [Berzolari] fa osservare che le presenti condizioni politiche impongono stretta aderenza alle direttive del Governo. Perciò occorre anzitutto informarsi se il Governo consentirà che l'Unione Matematica Italiana deleghi qualche suo rappresentante a tale Congresso, la cui sede è presso un paese sanzionista. L'Unione Matematica ha nel suo Statuto la partecipazione a Congressi scientifici; essa ebbe massima parte nel Congresso internazionale del 1928, che fu fatto sotto gli auspici della Università di Bologna, e tenuto in questa stessa città, che era ed è sede della nostra Unione. L'organizzazione e lo svolgimento del Congresso fu opera della Presidenza della nostra Unione. Perciò la partecipazione nostra al Congresso ha significato ben diverso da quel che possa avere la partecipazione di qualsiasi altra Società od Accademia scientifica. Stima perciò opportuno che innanzi tutto si ascoltino le direttive del Governo.
L'Assemblea, dopo serena discussione, delibera di dare mandato alla Presidenza per ciò che riguarda la partecipazione dell'UMI al Congresso Matematico internazionale di Oslo.

La decisione finale è che la delegazione italiana non avrebbe partecipato al Congresso internazionale di Oslo, perché la Norvegia era un paese “sanzionista”! A titolo probabilmente personale risultano iscritti a quel Congresso soltanto 5 matematici italiani (e due loro accompagnatori): Ernestina Fasciotti di Milano, Elena Palazzo di Roma, Pietro Sciré e Pietro Tortorici di Palermo, e Vito Volterra; quest'ultimo però non parteciperà ai lavori ed a lui (come anche a Hilbert e a Picard) il Congresso invia un caloroso telegramma di saluto. L'assenza di Severi, “empêché de venir au Congès d'Oslo” come disse Cartan nella seduta conclusiva in cui si assegnarono le  prime due medaglie Fields (a Lars Ahlfors e a Jesse Douglas, rispettivamente), causò non pochi disguidi perché lo stesso Severi avrebbe dovuto presiedere anche il Comitato Esecutivo della Commissione eletta al Congresso di Zurigo (1932) per studiare il problema di una organizzazione internazionale dei matematici. Quel Comitato esecutivo, di cui facevano parte anche Julia, Weyl, Blaschke e Carathéodory, si era già riunito un paio di volte (a Roma nel marzo 1934 ed a Parigi nel febbraio 1935) senza riuscire a trovare un accordo soddisfacente ed aveva quindi deciso di convocare una riunione plenaria della Commissione durante i lavori del Congresso di Oslo. Nel prendere atto che le circostanze del momento non erano affatto favorevoli all'organizzazione di una effettiva Unione Internazionale, Julia chiudeva i lavori della Commissione vivamente lamentando “l'absence de son président, Severi”. E tuttavia il Congresso, su proposta di Cartan, Carathéodory e Birkhoff, designava Levi-Civita, malgrado l'assenza forzata, a far parte della Commissione che avrebbe dovuto assegnare le successive due medaglie Fields.
“Impedito di venire al Congresso di Oslo” dice Cartan di Severi. E dice il vero. Severi, indifferente alle scelte dell’UMI ma forte della sua ormai completa adesione al regime, aveva chiesto l’autorizzazione a partecipare al Congresso di Oslo, proprio per onorare gli impegni presi con la comunità internazionale. Era stato il Ministro in persona, De Vecchi, a comunicare al rettore di Roma l’inopportunità di detta partecipazione (lettera del 30 maggio 1936):

Voglia la S.V. comunicare a S.E. il Prof. Francesco Severi, di codesto Ateneo, il quale, giusta quanto mi ha fatto presente il Ministero degli Affari Esteri, avrebbe manifestato il desiderio di assistere al Congresso Internazionale di matematica, indetto ad Oslo per il luglio prossimo, che non ritengo opportuna la sua partecipazione a tale Congresso.

Cosa rischiava Severi se avesse insistito nella richiesta? Assolutamente nulla, riteniamo, se non forse il rinverdire i sospetti sul suo passato di socialista e di antifascista. Ancor meno rischiava l’UMI, la cui autocensura preventiva contrastava in modo vistoso anche con quella della comunità matematica tedesca, per la quale il Congresso di Oslo fu l'occasione per vedere di nuovo fianco a fianco sia i matematici cacciati dal regime nazista per motivi politici o razziali, sia quelli “ariani”. I matematici dell'Italia ormai “imperiale” non ritennero di aver bisogno di un bagno di internazionalismo, la cui utilità era ben sottolineata, al contrario, dalle parole con cui Carl Stormer apriva la seduta inaugurale12:

Più forse che in qualsiasi altro dominio della cultura, i risultati scientifici sono internazionali. Le scoperte scientifiche fatte dagli scienziati di un singolo paese possono essere utlizzate subito nel mondo intero. Ciò vale in paticolare anche per la matematica. Le sue verità sono infatti universali e i suoi mezzi di espressione internazionali. Di conseguenza, la collaborazione al di là delle frontiere dovrebbe essere più naturale per i matematici di tutti gli altri scienziati. Noi vediamo anche che i nostri congressi hanno sempre avuto un successo che testimonia chiaramente il desiderio di collaborazione dei matematici.
È evidente che un matematico che fa una scoperta può comunicarla al mondo pubblicandola, ma parlandone di persona in un congresso dispone di mezzi più favorevoli per raggiungere un pubblico specialmente interessato. Di ciò testimonia il gran numero di conferenze che si terranno in questo congresso.
E tuttavia può darsi che l’opera più importante di un congresso come questo non stia nelle conferenze, ma nelle conversazioni familiari tra matematici di differenti parti del mondo. Lo scambio diretto di idee nella forma colloquiale ha una importanza che si manifesterà, anche se non se ne troverà traccia negli Atti del congresso, nella letteratura matematica degli anni a venire. È soprattutto per i giovani matematici che tali incontri hanno importanza, grazie all’orientamento che essi danno e allo stimolo che i giovani ricevono ascoltando parole incoraggianti di vecchi e illustri colleghi.

E con altrettanta chiarezza, il matematico americano Eisenhart insisteva sulla vacuità del concetto di indirizzi “nazionali” nella Matematica moderna13:

Richiedendomi di dire poche parole a questo pranzo in onore dei conferenzieri di lingua inglese presenti in questo Congresso mi è stato dato un grande onore. Questi Paesi hanno dato grandi contributi alla matematica, ma dopo tutto noi non pensiamo che essa si sviluppi lungo linee nazionali. Quando si pensa che in questo Congresso sono rappresentate almeno trenta nazioni, tutte interessate alla storia e allo sviluppo della stessa disciplina, uno realizza che la matematica è davvero internazionale. E in quanto tale non conosce frontiere nazionali; queste hanno a che fare con aspetti politici e economici, E forse è perché le carte geografiche si occupano dei confini nazionali e i matematici sono internazionali nel loro modo di penasre che va cercata l’origine del fallimento della soluzione del problema dei quattro colori14.

Le vicende razziali e le successive posizioni assunte dall'UMI segnarono una tappa importante nel progressivo isolamento internazionale della comunità matematica italiana che siamo venuti descrivendo e sancirono il suo definitivo abbandono di ogni tentativo di difesa della propria autonomia professionale. Anche se la vicenda è nota, conviene per completezza riassumerla a grandi linee.
Il 14 luglio 1938 un “Manifesto degli scienziati italiani” segnava l'atto di nascita dell'antisemitismo di Stato, proclamando l'appartenenza del popolo italiano alla razza “ariana” e l'estraneità degli ebrei italiani alla comunità nazionale. Era l'inizio delle persecuzioni razziste. La comunità ebraica italiana contava allora un po' meno di 50.000 appartenenti e circa 10.000 ebrei stranieri che da molti anni ormai vivevano e lavoravano nel nostro paese: nel giro di qualche mese quasi 4.000 persone fra professori, militari, impiegati pubblici e privati, liberi professionisti e commercianti furono privati di ogni diritto sociale e circa 6.000 studenti allontanati dalle scuole. Chi poteva, emigrò. (Manifesto degli scienziati razzisti)

Le leggi razziali vennero applicate con particolare accanimento nel campo della scuola: già prima della loro emanazione il giornale razzista “Il Tevere” aveva pubblicato le liste dei docenti e degli assistenti universitari ebrei che dovevano essere rimossi dalle cattedre e la lista dei manuali scolastici di autore ebreo il cui uso doveva essere proibito. È significativo che gli elenchi utilizzati dal giornale del razzista Interlandi corrispondessero, poche settimane dopo, ai provvedimenti governativi.
Il 5 settembre del 193838, il R.D.L. n. 1390 decretava che le “persone di razza ebraica” (sia docenti che studenti) erano espulse dalla scuola italiana di qualunque “ordine e grado”. Inoltre, “i membri di razza ebraica” venivano radiati dalle Accademie e dagli Istituti di cultura. Per quanto riguarda i docenti, si prevedeva in più di 200 il numero di quelli che sarebbero stati espulsi dalle scuole italiane a far data dal 16 ottobre '38. Di essi ben 99 erano professori ordinari, il 7 % circa della categoria, ed erano distribuiti in quasi tutte le Università.
I matematici espulsi erano i seguenti:

Bologna: Guido Horn d'Arturo, ordinario di Astronomia; Beppo Levi, ordinario di Analisi matematica; Beniamino Segre, ordinario di Geometria analitica.
Milano: Guido Ascoli, ordinario di Analisi matematica.
Pavia: Arturo Maroni, ordinario di Geometria analitica.
Roma: Federigo Enriques, ordinario di Geometria Superiore; Tullio Levi-Civita, ordinario di Meccanica razionale.
Torino: Gino Fano, ordinario di Geometria analitica; Guido Fubini Ghiron, ordinario di Analisi al Politecnico; Alessandro Terracini, ordinario di Geometria analitica.
Trieste: Ettore del Vecchio, straordinario di Matematica  generale e finanziaria.

Furono altresì espulsi dall'Università: Cesare Rimini, Incaricato di Analisi matematica a Bologna, Eugenio Curiel, assistente di Meccanica razionale e Incaricato di Matematiche complementari a Padova, Azeglio Bemporad, dichiarato decaduto dalla carica di Direttore dell'Osservatorio astronomico di Catania,i liberi docenti Alberto Mario Bedarida, Giulio Bemporad, Bonaparte Colombo e Bruno Tedeschi. Inoltre Guido Castelnuovo e Gino Loria, già in pensione, venivano privati delle cariche accademiche, mentre Vito Volterra, che già nel '31 e nel '35 era stato “dimissionato” dall'insegnamento e dalle cariche accademiche per essersi rifiutato di giurare fedeltà al fascismo, veniva ora radiato dall'Unione Matematica Italiana assieme a Giulio Vivanti e agli altri nomi prima fatti. Giorgio de Santillana, allievo di Enriques e raffinato storico della matematica, scelse la via dell'esilio, come anche Mario Salvadori, un collaboratore di Picone all’INAC.

L'elenco prima abbozzato mostra chiaramente come l'allontanamento dallo insegnamento e dalla Università degli studiosi di origine ebraica abbia rappresentato per la matematica italiana una vera e propria decapitazione. Al confronto, se se ne valutano le conseguenze, l'altrettanto grave sopraffazione del giuramento del 1931 perde quasi importanza. Ma quell'elenco dimostra altresì che nella matematica italiana vi era una presenza significativa, qualitativamente e quantitativamente, di italiani-ebrei.
Non v'è dubbio che per una famiglia borghese la scelta di indirizzare lo studio dei figli verso discipline scientifiche “pure” piuttosto che verso le più tradizionali professioni liberali poteva costituire una scelta di “distinzione” sociale, se si tiene anche conto del posto privilegiato che quelle discipline avevano nell'Università e costituiva per un certo verso una particolare forma di legittimazione. La presenza ebrea non può però portare a ipotizzare una sorte di lobby ebraica, come sostennero le frange più oltranziste del fascismo. Ciò deve escludersi del tutto. Per esempio, i matematici ebrei erano stati allievi di maestri non ebrei (Cremona, Beltrami, Betti, Bertini, Dini, Veronese, Ricci Curbastro) e formarono a loro volta allievi non ebrei (Chisini, Conforto, Fantappié, Krall, Signorini, Zappa etc.). E ritengo di poter ulteriormente rafforzare questa tesi con una testimonianza non sospetta, la lettera (Orano 1939, pp. 43-45) che la figlia di Luigi Cremona, Itala Cremona vedova Cozzolino, scrisse al noto “razzista” Paolo Orano per correggere – pur condividendole apertis verbis – alcune affermazioni del suo Gli ebrei in Italia del 193715:

Ho letto col più vivo interesse e con intensa comprensione di italiana, di fascista e di cattolica, il suo interessantissimo “Gli ebrei in Italia”, così saturo di verità, e di dottrina e così tempestivo per il suo contenuto (...). Lei vuol dimostrare - ciò che è - che il contributo dato alle scienze e all'arte, dagli italiani di origine ebraica, nell'ultimo secolo e mezzo, è minimo. Benissimo (...). Ma poi passa a giudicare il campo delle matematiche e cita quattro nomi, di cui tre professori contemporanei, concludendo "ebrei sono i nostri matematici". Fra questi nomi include Cremona, mio Padre, che non era ebreo, ma cristiano‑cattolico; chè se ebreo fosse stato, avrebbe dato una smentita alla sua tesi, per la sua fama mondiale come "Padre della Geometria italiana". È la storia della scienza che lo dice, non io. È vero che dalla fine dell'800 a oggi, nell'insegnamento universitario della matematica, vi è una notevole prevalenza di studiosi ebrei. Ma così non è stato nel periodo aureo delle matematiche superiori in Italia, che dal 1850, o giù di lì, viene fin verso la fine del 1800, quando nell'agone emersero quasi simultaneamente Brioschi, Cremona, Beltrami, Bellavitis, Dini, Betti, Battaglini e Casorati, ingegni di primissimo ordine che onorando l'Italia, ebbero fama e celebrità oltre Alpi. E furono essi i fondatori della Scuola Matematica Italiana. Ebbene, tutti questi, cui molti altri nomi potrei aggiungere, erano cristianissimi. Gli ebrei vennero dopo e furono loro allievi.

Secondo la signora Cremona, dunque, due erano i punti da chiarire: che suo padre era “cristiano-cattolico” e perciò “non ebreo” (ciò che forse giustifica la lettera, scritta quando la stampa italiana riscopriva i “cognomi ebraici”, derivandoli da un noto volume di Samuele Schaerf); e che la matematica italiana, fondata e vitalizzata da “sommi ingegni di fama mondiale”, era espressione ‘ariana’. Con questo secondo punto, che divenne il punto di vista ufficiale della comunità matematica del nostro paese, la signora Cremona non si rese conto di fare un grave torto alla generazione risorgimentale dei matematici italiani, ben rappresentata da suo padre, che partecipando per intero al processo di formazione del nuovo stato, diede un impulso non secondario all'inserimento degli ebrei italiani nelle strutture statuali, a tutti i livelli. Proprio per questo i matematici ebrei “vennero dopo e furono loro allievi”, ma non furono “una recluta di semplici studiosi, figli di Israello”: se i matematici della generazione risorgimentale non badarono alla religione dei loro allievi, essi badarono moltissimo alla loro qualità.
Prima di passare ad esaminare le conseguenze dei (e le reazioni ai) provvedimenti razzisti, conviene affrontare il problema se sia possibile individuare una specificità ebraica nel modo di fare scienza. Anche qui ritengo difficile che si possano dare risposte di tipo generale: i razzisti per primi hanno tentato, con scarso successo, questo tipo di approccio che la comunità internazionale ha condannato come pura e semplice follia. Un fisico tedesco, Johannes Stark, in nome di una ridicola “fisica ariana”, arrivò persino ad attaccare duramente Heisenberg, tacciandolo di “ebreo bianco”, perché praticava le stesse idee di Einstein e di altri fisici ebrei, cioè a dire la relatività e la meccanica quantistica. Un altro scienziato tedesco, il matematico Ludwig Bieberbach, seguendo la teoria psicologica dei tipi mentali elaborata dallo psicologo Erich Jaensch, distingueva due tipi di attività creativa: il tipo S, “che valuta solo quegli aspetti delle cose che possono essere dedotti logicamente”, ed il tipo J, “che cerca di capire con tutti i metodi la realtà nei suoi molteplici aspetti”. La descrizione della matematica fatta dai due diversi tipi era talmente vaga da consentire di classificare il matematico ebreo Edmund Landau e quasi tutti i matematici francesi [sic!] come tipi S, mentre Gauss, Klein e Hilbert sarebbero stati tipi J, come anche “i seguaci di Hilbert nel suo indirizzo assiomatico, e che si possono trovare in Germania, Inghilterra e America, ma non in Francia”. Rimandando il lettore interessato all'efficace articolo di Allen Shields16 per un esame più dettagliato di quelle tesi, mi limito a dire che l'uso che Bieberbach fece dell'esempio di Klein come modello di uno “stile” ariano opposto alla matematica “ebrea” fu forse  suggerito dalla volontà di difendere Klein dall'accusa che gli rivolse, post mortem, Hugo Dingler di essere “ebreo” e protettore di scienziati ebrei. Nel difendere Klein, Bieberbach cercava di sfruttarne l'immenso prestigio come veicolo per favorire la sua carriera. Tuttavia Bieberbach condivideva con Dingler (e con Stark) la medesima isterìa razzista che assumeva come luogo comune, per lo stile matematico, che gli ebrei erano “naturalmente” inclinati verso forme di pensiero algoritmiche, analitiche o astratte, laddove gli “ariani” propendevano verso forme di pensiero intuitive e sintetiche, spesso ispirandosi ai fenomeni naturali. Ma se qualcuno avesse voluto adattare questi luoghi comuni alla situazione italiana, avrebbe ugualmente concluso col paradosso che l'“ariano” Severi era forse più “ebreo” degli “ebrei” Castelnuovo, Enriques, Levi-Civita e Volterra.
Comunque, nel 1938, alla morte civile seguirono presto le più odiose restrizioni. La casistica è ampia: mi limiterò quindi a illustrare qualche caso significativo e ancora inedito nella pur ampia letteratura sull'ebraismo italiano.
Che bisogno c'era di impedire a matematici quali Castelnuovo, Enriques o Levi-Civita di frequentare la Biblioteca dell'Istituto matematico romano?
Un caso ancora più odioso, perché inutile e perché tocca i sentimenti più intimi, è quello di Azeglio Bemporad. Era giunto a Catania nel 1904 quale assistente all'Osservatorio astrofisico, dopo aver completato gli studi alla Normale di Pisa e aver svolto il consueto perfezionamento all'estero. Nel 1912 era stato nominato Direttore dell'Osservatorio di Capodimonte a Napoli. A Catania, dove era stato sostituito dal triestino Guido Horn d'Arturo, era ritornato nel 1933 assieme alla famiglia. Il 14 dicembre del '38, dopo essere stato costretto a sottostare a tutte le disposizioni governative previste a carico degli ebrei (divieto di usare l'apparecchio radio, divieto di avere un autista personale o una cameriera, preventiva denuncia di spostamento fuori città etc.), fu esonerato dalla direzione dell'Osservatorio, costretto a lasciare l'appartamento di servizio e gli venne impedito di continuare le sue ricerche all'interno dell'Istituto. Si trasferì allora ad Adrano, un paese sulle pendici occidentali dell'Etna. Fu proprio durante questo esilio che la moglie, Anita Cingoli di famiglia ebrea originaria anch'essa di Ascoli, si ammalò di cancro. Costretto a umiliarsi al cospetto di qualche modestissimo esponente del “fascio” di Adrano, Bemporad ottenne l'autorizzazione a ricoverarla in un ospedale catanese. Ma gli fu negato il permesso di assisterla, solo consentendogli di visitarla una volta la settimana. A corto di denaro, fu costretto, fino alla morte della moglie nel '43, a percorrere a piedi le diecine di chilometri fra Adrano e Catania. Si ridusse a vivere della generosità di chi non s'era scordato delle sue doti di uomo e di scienziato e, per colmo di sventura, vide morire anche una figlioletta sotto le rovine della modesta casa in cui si era ristretto ad abitare, centrata da una bomba americana non ancora “intelligente”. Nel novembre del '43, dopo l'occupazione alleata dell'isola, Bemporad fu reimmesso in servizio, ma le sofferenze avevano lasciato tracce profonde. Morì nel febbraio 1945.
Potremmo continuare, ma in questo caso non è tanto la quantità che conta! Contano anche i piccoli gesti di vigliaccheria, come quello del Rettore di Palermo che richiesto dall'”ebreo” Alberto Dina di “confermare” che aveva tenuto a titolo gratuito l'incarico di “Misure Elettriche” per gli a.a. '36-'37 e '37-'38 e che anche per il '38-39 si era impegnato in quel senso, cancellava dalla propria risposta la frase: “Vi ringraziamo di tale Vostro interessamento a favore di questa Amministrazione”. E dire che Dina aveva rinunziato nel 1923 alla prestigiosa cattedra del Politecnico di Milano preferendo restare a Palermo, dove era arrivato nel 1909 quale vincitore di concorso!
La persecuzione del '38, oltre che dalla politica razziale in senso stretto originata dal problema coloniale, è mossa anche (e soprattutto) da problemi politici, frutto di una miscela di diverse componenti:
a) la presenza di isole di antisemitismo violento (dei gesuiti di “Civiltà Cattolica”, di personaggi come Preziosi, Benigni, Orano e Interlandi);
b) l'influenza del nazional-socialismo e le esigenze della politica estera del regime;
c) il problema del consolidamento del “fronte” della cultura che secondo Bottai mostrava sintomi di debolezza già a partire dalla guerra d'Etiopia e abbisognava perciò di un ulteriore giro di vite;
d) il problema “dell'indifferenza” italiana: “Questa strage immensa non sarebbe mai avvenuta se in Italia, Francia e Germania (per non andare oltre) non ci fosse stata indifferenza, maturata nei secoli, per i connazionali ebrei. L'indifferenza era l'ultimo prodotto delle ostilità delle chiese per cui la ‘conversione’ è l'unica soluzione del problema ebraico” come scrisse Arnaldo Momigliano. Questa indifferenza generalizzata si legò anche, nel caso della grande cultura italiana, a quello che Gustavo Colonnetti chiamava “il reato di prostituzione della scienza”17:

Uomini che avevano con lunghi anni di lavoro conquistata una certa fama nello studio dei problemi storici ed economici od eran diventati esperti di arte o di scienza, di finanze o di industrie, hanno ceduto di fronte alle minacce o di fronte alle lusinghe. Chi di noi non ha conosciuto biologi che si sono prestati a difendere le teorie razziali; o economisti che hanno trattato come un progresso sociale quella macchina burocratica che fu il corporativismo fascista, o tecnici che hanno considerata l'autarchia come una conquista; o cultori di scienze sperimentali che hanno dato opera al perfezionamento della tecnica dei disturbi radiofonici, mettendo i più recenti progressi della scienza al servizio di coloro che pretendevano contestare ai popoli il diritto all'informazione. È di costoro un nuovo genere di reato: il reato di prostituzione della scienza. Essi vanno inesorabilmente cacciati dall'Università, a colpi di frusta, come i mercanti dal Tempio.

Come già si è detto, gli effetti dei provvedimenti razzisti furono devastanti per la Matematica italiana. A partire dall'avvio del processo di costruzione dell'unità del Paese e per più di un cinquantennio, la comunità ebraica aveva partecipato, con apporti di elevatissimo valore scientifico e intellettuale, al grande sviluppo che aveva portato l'Italia ai vertici della Matematica mondiale e aveva espresso una schiera di intellettuali capaci di inserire la comunità matematica nel vivo della cultura nazionale. Né qualche accenno antisemita, dettato principalmente da questioni di potere accademico e peraltro consegnato al privato delle corrispondenze epistolari, può generare il sospetto che pregiudizi razzisti animassero la comunità. Nel 1937, un anno prima dello scatenarsi dell'isterìa razzista, la comunità aveva reso omaggio a Guido Castelnuovo pubblicando le sue Memorie scelte (Zanichelli, Bologna) e lo stesso anno, inaugurando il primo Congresso dei matematici italiani, il Presidente dell'UMI, Luigi Berzolari, ricordava affettuosamente il suo predecessore Salvatore Pincherle «alla cui iniziativa e ai cui sforzi si deve pressoché esclusivamente l'istituzione del nostro sodalizio». D'altra parte, in quel momento uno degli allievi più cari di Francesco Severi era l'“ebreo” Beniamino Segre.
La solida integrazione dei matematici di origine ebrea nella comunità nazionale rende ancora più incredibile il cinismo accademico con cui i vertici della comunità matematica si allinearono rapidamente alle direttive del regime, sacrificando, sull'altare della “politica”, lunghi anni di amicizia e di un percorso comune. In un attimo, furono posti ai margini della vita scientifica e sociale uomini che rispondevano al nome di Vito Volterra, il “signor scienza italiana” come lo chiamavano nel mondo, o di Guido Fubini – il creatore della Geometria differenziale proiettiva –, o di Guido Castelnuovo uno dei creatori (assieme a Enriques e Severi) della geometria delle superfici, o di Federigo Enriques, che aveva appena esaurito il ruolo di coordinatore delle “voci” matematiche della Enciclopedia Italiana, o di Tullio Levi-Civita forse il più grande matematico italiano del momento, di cui tutti riconoscevano i contributi alla struttura matematica della relatività. Con la loro cacciata venivano strappati per decreto i residui fili che ancora tenevano legata la matematica italiana alla comunità internazionale.
Prima di esaminare più da vicino le reazioni della comunità matematica conviene chiedersi come ciò sia stato possibile. Chiedersi cioè se i matematici italiani avessero coscienza, e noi pensiamo di sì (cosa che, beninteso più che alleviare aggrava la loro responsabilità), che la morte sociale imposta ai loro colleghi “ebrei” equivaleva a tagliare in profondità le radici stesse della loro disciplina e la sua storia. Dopo «l'eliminazione di alcuni cultori di razza ebraica» sarebbe stato quasi impossibile ad uno specialista di Geometria proiettiva differenziale quale Enrico Bompiani individuare le proprie radici senza ricorrere all'eccezionale lavoro svolto da Fubini. Come si poteva parlare di Analisi funzionale italiana se non ricorrendo all'opera di Volterra, di Guido Ascoli o di Salvatore Pincherle? Come si poteva concepire una Geometria algebrica italiana collegante direttamente l'“ariano” Cremona all'“arianissimo” Severi cortocircuitando l'opera di Corrado Segre, di Castelnuovo e di Enriques? Che cosa era la Fisica matematica italiana privata dei contributi multisettoriali di Levi-Civita?
Come è stato possibile? Vediamo intanto il contesto. Poche voci si levarono in Italia al primo sorgere del razzismo tedesco; inosservato passò nella nostra comunità scientifica l'importante editoriale (1934) della prestigiosa rivista “Nature” sulle cosiddette dottrine “ariane” degli scienziati razzisti tedeschi quali per esempio quelle del matematico Bieberbach. E tuttavia, le considerazioni di questo tipo si prestavano bene, come suggeriva Hardy, a riflessioni importanti e complessive sulla matematica moderna o sul concetto di “tradizione nazionale” in matematica (e quindi su un valore professionale inviolabile come quello di internazionalismo scientifico).

Per esempio, quando nei primi mesi del '33 si ebbero in Germania, assieme al successo nazista, le misure che consentirono a Hitler di avere mano libera nel licenziare ebrei, comunisti e “indesiderabili” [tra cui circa 60 matematici], poche voci si levarono nel nostro paese a sottolineare l'indignazione e organizzare la solidarietà. Tra queste poche, però, meritano di essere segnalate: la proposta di Guido Fubini a Tullio Levi-Civita di far dimettere in massa i matematici italiani-ebrei dalla Società Matematica tedesca; un articolo del 1934 sulla “Rivista dell'Università” del giurista Giuseppe Leonida Capobianco emblematicamente intitolato “Gli errori del Diritto razzista e il dovere di solidarietà europea” e, infine, l'interesse costante con cui il  gruppo “romano” (Castelnuovo, Levi-Civita, Volterra) seguì e commentò gli avvenimenti. In una lettera a Volterra del 14 maggio 1933, per esempio, Castelnuovo così scrive:

Di ciò che succede in Germania qui si sa poco; i professori profughi a Roma non si son visti. Qualche vaga notizia ha ricevuto il Levi-Civita, qualche altra ne ha portata da Parigi il Fubini che vidi qui giorni fa. Quel che si sa basta già a far prevedere che nessuno andrà più a studiar matematica, e forse nemmeno fisica, nelle Università tedesche. E la scuola matematica di Gottinga, dopo un secolo ininterotto di gloria, si chiude!

Ma quelle ricordate furono, appunto, “voci”, destinate ad affogare in quel mare d'indifferenza di cui parlava Momigliano, in quell'assenza di passione politica che spinse gli intellettuali italiani al compromesso e li indusse a pagare ogni sorta di pedaggio pur di continuare a non essere “disturbati” dai “mondani rumori”.
Era facilmente colmabile il vuoto che l'allontanamento degli scienziati ebrei lasciava? Persino la rivista fascista dell'Università di Roma, “Vita Universitaria”, rivisitando i guasti della politica universitaria del regime, dalla riduzione del limite di età per il collocamento a riposo al giuramento del '31 e alle leggi razziali del '38, concluse che «oggi non sarà facile coprire tutte le cattedre con elementi scientificamente ben preparati; e forse in alcune materie, non sarà possibile per alcuni anni». Suggeriva quindi di coprire i vuoti con incarichi provvisori perché, aggiunse, «non sono stati allontanati dalle università italiane gli antifascisti, i vecchi e gli ebrei per saturarle di impreparati o di furbi».
Non la pensavano così i dirigenti della comunità matematica del nostro paese che, con una prontezza fuori dalle consuetudini, riunirono a Roma, il 10 dicembre '38, la Commissione Scientifica dell'UMI e formularono un voto dove si legge:

La scuola matematica italiana, che ha acquistato vasta risonanza in tutto il mondo scientifico, è quasi totalmente creazione di scienziati di razza italica (ariana). (...) Essa, anche dopo la eliminazione di alcuni cultori di razza ebraica, ha conservato scienziati che, per numero e qualità, bastano a mantenere elevatissimo, di fronte all'estero, il tono della scienza matematica italiana, e maestri che con la loro intensa opera di proselitismo scientifico assicurano alla Nazione elementi degni di ricoprire tutte le cattedre necessarie.

Naturalmente, niente di tutto ciò era vero. Il “terremoto” provocato nella matematica italiana dai provvedimenti razziali può essere efficacemente documentato dalla lettera con cui Luigi Berzolari, Presidente dell'UMI come già s'è ricordato, comunicava il 14 dicembre del 1938, a quattro giorni di distanza dal citato “voto”, a Giovanni Vacca la sospensione del II Congresso nazionale dell'Unione e spiegava il senso autentico di quella deliberazione:

(...) poiché dal Governo non è giunta l'autorizzazione a tenere il 2° congresso dell'Unione nella prossima primavera, la Commissione scientifica, nella seduta tenuta a Roma sabato scorso, ha deliberato di rinviare il Congresso (a Bologna) alla primavera del 1940.
La Commissione si è molto preoccupata della ripercussione che i recenti provvedimenti sulla razza possano avere sulla matematica italiana, la quale, come ben sapete, è stata gravemente colpita e in quantità e in qualità. Non si deve dare, né in Italia né all'estero, l'impressione che l'allontanamento degli elementi ebraici abbia prodotto un declino nell'attività matematica italiana! Perciò è dovere di tutti (e si son chiesti al Governo aiuti finanziari) sostenere l'Unione e il Bollettino, che ne è la manifestazione continuativa.
Nella speranza di attrarre all'Unione un certo numero d'insegnanti medi, si è deciso di annettere al Bollettino una sezione storico-didattica. A questo proposito mi rivolgo a Voi, come distinto cultore anche di discipline storiche, perché vogliate contribuire alla (vecchia e alla) nuova sezione del Bollettino. Sia detto senza malignità, sarà questo un bel modo di fare ammenda per la mancata redazione dell'articolo che doveva entrare nell'Enciclopedia delle matematiche elementari!

Altrettanto grave era il danno portato all'immagine internazionale della ricerca matematica italiana dai provvedimenti razziali. Per attutirlo, il regime fu indotto a dare “un contributo cospicuo di 50.000 lire” per la pubblicazione delle opere complete dei grandi matematici dell'epoca risorgimentale – necessariamente ariani per condizioni storiche – ma soprattutto a istituire precipitosamente (legge 13 luglio '39) l'INDAM. In un clima non certo favorevole alla creazione di enti di ricerca di base, questo Istituto costituì una novità nel panorama scientifico internazionale, confrontabile con poche altre istituzioni in tutto il settore della ricerca fondamentale. Esempi di strutture analoghe si trovavano già allora in Francia (Istituto Poincaré), negli Stati Uniti (Institute for Advanced Study) e in URSS (Istituto Steklov dell'Accademia delle Scienze). Ma, a parte il fatto che gli stretti collegamenti mantenuti con il sistema universitario nazionale lo differenziavano dalle altre istituzioni, l'INDAM si distingueva soprattutto per la netta definizione dell'area d'intervento: la matematica.
Era dunque falsa l'affermazione che fosse facile “colmare i vuoti” e quel voto della Commissione Scientifica dell'UMI resta come una delle pagine più oscure scritte dai matematici italiani. Ricorda André Weil, che a Roma, nel 1925, vide «spesso Luigi Fantappié, allievo prediletto di Vito Volterra fino al giorno in cui gli andò a tessere le lodi della legislazione antisemita che Mussolini, mettendosi sui passi di Hitler, aveva appena introdotta in Italia. Volterra era ebreo e nessuno ignorava questo fatto. “Come fu possibile, diceva Volterra raccontando l'episodio, che non ebbi la presenza di spirito di buttarlo giù dalle scale?”»
Né quel voto dell'UMI restò un episodio isolato: esso fu seguito da altri fatti di indubbio significato. In primo luogo, la decisione di togliere d'ufficio Tullio Levi-Civita dalla redazione (unico italiano a farne parte!) dello “Zentralblatt für Mathematik”, che era allora la principale rivista internazionale di recensioni di articoli matematici. L'esclusione di Levi-Civita mise in moto una serie di importanti reazioni internazionali che isolarono del tutto i matematici italiani, colpevoli quanto meno di eccesso di zelo (e forse anche di gelosia verso l'antico maestro). Otto Neugeubauer, avuta conferma sia dall'interessato che dall'editore, Ferdinand Springer, della motivazione razziale della sostituzione, decise di uscire dalla redazione e con lui si dimisero Richard Courant, i matematici americani Veblen e Tamarkin, il danese Bohr e l'inglese Hardy. In una significativa lettera a Springer, Veblen mise in luce la gravità del dramma avvenuto: la solidarietà scientifica internazionale era stata seriamente ferita, i residui fili che legavano il mondo della ricerca matematica internazionale con gli ambienti tedeschi ed italiani erano stati tranciati, lo “Zentralblatt” non poteva più considerarsi “un'utile intrapresa scientifica”. L'attività di recensione doveva ormai trasferirsi altrove, in USA, non per motivi nazionalistici, ripugnando a Veblen il concetto stesso di “matematica nazionale”, ma perché solo in quel paese essa poteva godere della necessaria libertà di espressione. Fu l'atto di nascita di una nuova rivista internazionale di recensioni, il “Mathematical Reviews”, che ancora oggi conserva il ruolo egemone sottratto alla rivista tedesca.
Al loro secondo Congresso nazionale i matematici italiani applaudirono Bottai che inaugurava i lavori affermando che “la matematica italiana, non più monopolio di geometri di altre razze [sic!], ritrova la genialità e la poliedricità tutta sua propria (...) e riprende con la potenza della razza purificata e liberata il suo cammino ascensionale”. E non solo ad applaudire si limitarono! Nei lavori preparatori della E42, la grande mostra che doveva festeggiare il ventennale del regime, Enrico Bompiani precisava che “l'apporto italiano alla Matematica costituisce, in più momenti essenziali, una delle manifestazioni più alte del valore intellettuale della razza italica”. Concetti che, a ben vedere, non differiscono molto da quelli espressi dal razzista Sabato Visco quando, in un suo intervento alla Camera della primavera del '39, dichiarava che l'università aveva perduto i suoi docenti ebrei “con la più serena indifferenza” guadagnando in “unità spirituale”, senza che si fossero verificate le previsioni catastrofiche di alcuni “ben pensanti”.
Era falso. L'isolamento della ricerca matematica italiana negli anni della guerra è in qualche modo testimoniato dal “Convegno internazionale” tenuto a Roma nel novembre '42 organizzato dall'INDAM di Severi. Gli atti del convegno, cui parteciparono solo matematici dei paesi fascistizzati, mostrano appunto la totale assenza o la presenza pressoché marginale ed episodica del nostro paese in settori centrali della ricerca matematica: teoria dei numeri, topologia e gruppi topologici, algebra commutativa. Ci si può anche “consolare” dicendo che questi ritardi avevano matrice principalmente “interna” alla disciplina e che le leggi razziali vennero alla fine di (e quindi non influirono su) un periodo, quello tra le due guerre, in cui all'estero la matematica subiva un vasto processo di rinnovamento nelle tecniche e nei metodi. Ma proprio per questo, le leggi razziali assommano l'aspetto “esterno” di un disegno infame e quello “interno” di spezzamento dei collegamenti con gli ambienti internazionali. In altri termini, ad un isolamento di matrice interna, il fascismo diede la copertura ideologica esterna col mito dell'autarchia (materiale e intellettuale) prima e con quello della purezza della razza dopo.
Roma fino agli anni '20 era stata un po' la “capitale matematica” d'Italia, non la “mecca dei matematici” come Göttingen, ma certamente il loro 'prix de Rome' come ricorda Struik. Dopo la “cacciata” di Levi-Civita e degli altri matematici ebrei, Roma non poteva più avere il fascino di cui parla Struik in una lettera a Levi-Civita del 1926:

La vita a Göttingen è tanto monotona quanto piena di distrazioni era la vita a Roma. Per lo studio ciò non è male, ma non si vuole studiare sempre. Ci sono diversi matematici stranieri, tra i quali molti borsisti Rockefeller, e tra loro c’è Solberg, che lei forse ricorda dal Congresso di Delft e che si occupa delle turbolenze. Tra gli stranieri passati da Göttingen le cito Serge Bernstein di Charcov, che espresse a noi la sua grande felicità per aver lei sempre inviatogli i suoi estratti, anche al tempo del più grande isolamento della Russia.

E altri borsisti Rockefeller, con in testa Hans Loewy (un giovane assistente di Courant a Göttingen, costretto ad emigrare negli Stati Uniti nel 1933), così aggiungono scrivendo a Levi-Civita nel 1931:

Caro Professore, spesso si ricorda tra noi il nostro soggiorno di Roma, si parla degli amici nostri Romani, delle ispirazioni ivi avute. E si finisce sempre col constatare che l'attrattiva che - nel nostro pensiero - si lega all'idea di Roma, proviene in modo particolare dall'affabile ospitalità della Sua casa: checchè ci fosse, si poteva contare sul Suo interesse nonchè sulla Sua prontezza di aiutarci. Appunto in questo momento [è il periodo in cui Levi-Civita aveva a lungo rinviato il giuramento] ci importa di esprimerLe i nostri sinceri sentimenti di gratitudine verso di Lei e la Sua famiglia.

Le atmosfere, si sa, sono fatte di piccole cose impalpabili che non possono coesistere con un ambiente esterno che distrugge giorno per giorno gli ideali di una vita. Quelli di Levi-Civita son stati ottimamente dipinti da Struik che, rievocando il suo soggiorno romano, aggiunge che “il suo spirito internazionalista si coniugava bene con la solida italianità di un figlio del Risorgimento”.
Concludo il paragrafo con  la lettera che Guido Fubini, un matematico torinese che grazie all’appoggio di Levi-Civita riesce a trovare a Princeton una sistemazione degna del suo valore, invia a Picone dall’America il 31 gennaio 1940. La lettera testimonia sia l’isolamento morale dei matematici italiani, complici del processo di “arianizzazione” del fascismo, sia quello scientifico (“Mi sono accorto, conclude Fubini, di essere un ignorante”):

Caro Picone,
Grazie dei tanti lavori inviatimi.
Io sto qui molto bene; ho un bel villino tra parchi e viali a prezzo modicissimo. L’Università è un parco cosparso di ville: la biblioteca .... qualcosa di straordinario. Si trova tutto, tutto, roba vecchia e nuova. Il congresso di N.Y. è tramontato (io credo). Altrimenti avrei scritto a te di astenerti dal venir qua, perché avreste probabilmente trovato un’accoglienza che vi avrebbe messo negli impicci. I miei figli lavorano e stanno bene. Eugenio18 (come primo stipendio) ha circa $ 3500 annui, circa 70 m. Lire al cambio legale. È vero che paga £ 7 mila annue per una camera, Ma, come vedi, gliene rimangono abbastanza: il vitto costa qui all’incirca come in Italia (in carne un 10% di più). I fitti invece sono il triplo. Io ho lavorato: ho lavori in corso di stampa negli Annals ed altrove. I colleghi qui sono così buoni, così cari, così affettuosi. Sarebbe impossibile trovar di meglio (Alexander, Lefschetz, Veblen, Weil, Einstein, Wedderburn, v. Neumann). Qui è un mondo nuovo: topologia (Alexander, Lefschetz con risultati di primissimo ordine), v. Neumann con le sue fondamentali scoperte sugli operatori lineari, Wedderburn in algebra ecc. Mi sono accorto (troppo tardi alla mia età) di essere un ignorante. Ma meglio tardi che mai.

 

1.2  La capacità riproduttiva

Si è già detto che un altro degli elementi essenziali della “produttività” di una disciplina scientifica è quello legato alla capacità riproduttiva del “sistema”, la capacità cioè di assicurare la formazione, il reclutamento e la sistemazione dei giovani ricercatori.
Il luogo tradizionale per la formazione dei ricercatori in matematica era la Scuola Normale Superiore di Pisa [SNSP, nel seguito], di cui abbiamo già parlato nel capitolo precedente. Nata nel 1813, è col Regno d’Italia che la Scuola assume presto un ruolo importante. Il ministro Matteucci infatti, nel 1862, realizza il progetto De Sanctis di riforma della scuola pisana: viene aumentato il numero dei convittori e degli aggregati (i primi per la classe di lettere ed i secondi per quella di scienze) e viene aperto l'ingresso a tutti gli italiani. La SNSP acquista così dimensione nazionale. Gli uomini eminenti cui fu affidata la direzione, la scelta dei professori interni, l'alto valore degli insegnanti dell'Università fecero sì che la SNSP, pur con mezzi economici talvolta limitati, diventasse presto uno dei centri più importanti del progresso degli studi letterari e scientifici in Italia. Con Enrico Betti infatti, succeduto nel 1865 a Pasquale Villari, ha inizio, grazie ad una modifica del Regolamento che permette anche ai docenti della Facoltà di scienze di essere nominati direttori, la consuetudine dell'alternanza di uno scienziato con un letterato alla Direzione della SNSP. Si tratta di una svolta importante “perché dà l'avvio ad un rafforzamento dei rapporti fra le due sezioni e ad una più completa integrazione di quella scientifica, che il precedente Direttore sembrava voler tenere un pò ai margini della vita normalistica” [Tommasi, Sistoli Paoli 1990, 110]. E l'opera di Betti, sarà proseguita, agli inizi del Novecento, dall'altro grande matematico ed ex normalista Ulisse Dini, che dirigerà la SNSP per diciotto anni, fino alla morte nel 1918. Per avere un'idea della sua importanza per la formazione di diverse generazioni di matematici elenco qui di seguito alcuni dei matematici più noti usciti da Pisa: U. Dini (1864), E. Bertini (1868), C. Arzelà (1870), A. Tonelli (1873), S. Pincherle (1874), G. Ricci Curbastro (1876), L. Bianchi (1877), C. Somigliana (1881), V. Volterra (1882), M. Pieri (1884), F. Enriques (1891), G. Lauricella (1894), G. Scorza (1898), G. Fubini (1900), G. Vitali (1901), E.E. Levi (1904), M. Picone (1907), A. Signorini (1909), G. Sansone (1910), P. Tortorici (1912), Enea Bortolotti e G. Mammana (1917), L. Fantappié (1922), Giovanni Ricci (1925), G. Dantoni e S. Petralia (1931), L. Cesari (1933).
Gli anni che ci interessano si aprono con un cambio della guardia. Alla morte di Ulisse Dini gli subentra quale Direttore della Normale un altro matematico, Luigi Bianchi. Le sue lettere a Giovanni Gentile19 documentano le ambizioni della Scuola e le difficoltà che essa attraversa. Bianchi auspica in particolare la collaborazione di Gentile per ottenere il riconoscimento della sua “posizione speciale” e un congruo aumento dei mezzi finanziari (necessario al ripristino delle conferenze di aggiornamento e specializzazione).
La Direzione di Bianchi viene in realtà schiacciata da una mole di problemi fiannziari e amministrativi. È stato detto che nonostante la sua “opera imperitura ancora viva e palpitante di forza inventiva (...) Luigi Bianchi vide languire e quasi morire la sua Scuola Normale”. In ogni modo è certo che quando Gentile viene nominato Direttore, alla morte di Bianchi (nel 1928), prima incaricato e poi titolare, la situazione non è delle più brillanti.
Il rilancio della SNSP è strettamente legato all'opera di Gentile: sua è la seconda stagione felice, dopo quella di Betti e di Dini, nella storia moderna della Scuola. Il consolidamento e il balzo in avanti fu per certi versi confrontabile con quello avvenuto nel passaggio da Collegio granducale a istituzione nazionale: l'incremento del numero degli allievi da 30 a 100 è quasi emblematico dell'acquisito ruolo di centro di ricerca e di preparazione alla ricerca (con l'istituzione, accanto ai consueti corsi prelaurea, dei corsi di perfezionamento biennali post-laurea e il ripristino, più volte auspicato da Bianchi, del posto di professore addetto alle conferenze). Gentile inoltre, pur considerando essenziale il collegamento con i docenti dell'Università di Pisa, volle tuttavia dare alla SNSP il carattere di istituzione autonoma con propria personalità giuridica20, con un suo corpo di professori e di assistenti, chiamandovi i più insigni docenti italiani e conferenzieri di prestigio quali George D. Birkhoff, Costantin Carathéodory, Guido Fubini, Mauro Picone, Giovanni Sansone, Arnold Sommerfeld, Gaetano Scorza etc. E Gentile diede anche “la sua opera fattiva” per l'ingrandimento della SNSP, portando a compimento il palazzo che sorge dietro la vecchia costruzione del Vasari.
Ma, come ricordava con parole di sincero cordoglio e profondo rispetto Luigi Russo [1946], l'opera di Gentile non fu «opera di semplice fabbro-muratore; egli ha amato profondamente questa Scuola, la Scuola Normale è stata la sua innocenza, ‘l'ameno inganno’ del caro tempo giovanil, e ha dato incremento agli studi chiamandovi maestri che avevano una fede politica opposta alla sua». Ciò ha fatto dire a Cantimori che si può «bene attribuire a seria e reale gloria di questa Scuola, l'aver reso possibile in quel periodo duro e aspro, cupo e amaro, che ci fossero, per quel senso del lavoro comune e dello studio, per quella solidarietà in una grande tradizione, e quella innocenza e quel riconoscimento. Giovanni Gentile sapeva quel che pensavano e come pensavano professori e studenti, sapeva dei discorsi che facevano Augusto Mancini e Luigi Russo; intuiva come affiorassero nella Scuola inizi di protesta, poi di resistenza attiva. Ma non allontanava, fin che la cosa non diventasse troppo clamorosa, certi professori; ma difendeva, finché poteva, gli studenti, anche quando giungevano ad atti clamorosi e pubblici» [Cantimori 1963].
Non inferiore a quella del filosofo siciliano fu – nei riguardi della SNSP – la determinazione di Leonida Tonelli: dall'incontro fra queste due personalità e dal conseguente dispiegarsi della progettualità di Tonelli è nato il prestigio “moderno” di Pisa, quale centro di ricerca matematica.
All'Università, Tonelli era titolare di Analisi infinitesimale ed incaricato di Analisi Superiore. Come direttore dell'Istituto Matematico persegue lucidamente, fin dall'inizio, lo “svecchiamento” dei quadri, con la liberazione di posti di assistente da destinare a giovani da avviare alla ricerca. È questa politica che gli permetterà negli anni successivi di formare una scuola “pisana” di Analisi, anche se già nel '31 viene raggiunto a Pisa da Silvio Cinquini, suo fedele collaboratore (seppure laureato con Pincherle con una tesi su “La trasformazione di Laplace”) fino al 1939, quando vince la cattedra a Pavia.
La direzione degli “Annali” costituisce l'altra gamba su cui marcia il progetto di rinnovamento di Tonelli. La prima serie, chiusa con la morte di Bianchi, aveva avuto scarsissima regolarità e limitato ruolo, contenendo per lo più estratti da tesi di laurea. L'ultimo volume di quella serie, conteneva ad esempio tre Memorie di M. Paggi, L. Nerozzi e T. Salvemini, cui si aggiunge la commemorazione di Luigi Bianchi (ad opera di Gaetano Scorza) ed un ulteriore articolo di chimica. Basta scorrere l'indice dei primi volumi degli “Annali della R.Scuola Normale Superiore di Pisa. Scienze Fisiche e Matematiche” sotto la direzione di Tonelli, per accorgersi immediatamente del rilevante salto di qualità compiuto dalla rivista21. Ancora una volta un prestigio e una fama – quella degli “Annali” – che nascono (e si consolideranno) con Tonelli.
Ma a documentare meglio il costante impegno dedicato da Tonelli alla formazione ed al reclutamento dei ricercatori in matematica sta una vicenda che Tonelli stesso racconta in una sua lettera a Gentile del 15.6.1931 e in un memoriale allegato alla stessa. Entrambi i documenti forniscono uno spaccato preciso della composizione tipo di un Corso di Laurea in Matematica nel periodo in esame e dicono quale valore i matematici attribuissero alle borse di studio e agli assistenti.
(Tonelli 15 giugno 1931)

Sebbene con accenti fortemente dettati dall'adesione al regime, la stessa attenzione di Tonelli verso il problema della formazione e del reclutamento dei giovani ricercatori in matematica mostra Basilio Manià, ritenuto uno dei più brillanti esponenti della scuola pisana22. In un suo promemoria al Ministro Bottai, non datato ma probabilmente del  gennaio 1938, Manià sottolinea energicamente «che presso la facoltà di scienze della R. Università di Pavia non esistono borse o posti di perfezionamento per i giovani laureati», e lo prega pertanto di voler intervenire per renderne possibile l'istituzione, suggerendo anche le possibili fonti di finanziamento.
Manià si “preoccupa inoltre di ricordare alcuni fatti” a giustificazione della sua istanza, denotando una chiara coscienza dell’arretratezza dell’Italia rispetto all’estero (anche, se non soprattutto, rispetto all’alleato tedesco).
(Manià 1938)

Se si depura il testo di Manià della convinta adesione al regime e degli accenni apologetici al progetto autarchico, interpretato erroneamente come momento di rilancio, la sintonia con le posizioni di Tonelli non potrebbe essere più precisa, quasi a testimoniare un bisogno fortemente avvertito ormai dai matematici italiani. Non a caso, proprio il tema della formazione dei giovani ricercatori sarà alla base delle esigenze che portarono alla fondazione dell'INDAM.

 

1.3 L'Istituto Nazionale di Alta Matematica

Come già s'è detto, l'INDAM fu fondato con legge 13 luglio 1939, n. 1129, all'indomani cioè delle leggi razziali, quasi ad attutirne i gravissimi danni e premiare i matematici “ariani” del loro atto di vile servilismo nei confronti del regime. Se ne comincia a parlare qualche mese prima. Lo sappiamo da una lettera di Picone a Antonio Morelli, membro autorevole del Consiglio di Presidenza del CNR, del 5 gennaio 1939. Apparentemente la lettera sembra motivata dalla mancata citazione di Morelli dell’INAC in una sua pubblicazione comparativa sull’organizzazione della ricerca in Italia e all’estero23. Il tono della lettera di Picone, sempre sospettoso quando si tratta dell’INAC, è molto deciso perché vede nella mancata segnalazione del “suo” Istituto una manovra pericolosa che si somma ai primi sentori della creazione di un Istituto di Alta Matematica. È questo in realtà, con Severi mai nominato, il vero obiettivo della lettera a Morelli:

Caro Morelli,
ho letto con vivo interesse la tua memoria pubblicata nella “Rivista Internazionale di Scienze Sociali” concernente il Consiglio Nazionale delle Ricerche e l’organizzazione della ricerca all’estero.
Con la presente richiamo la tua attenzione sul seguente periodo (pag. II dell’estratto): “Gli Istituti scientifici formano l’attrezzatura del Consiglio per l’attuazione della ricerca. Dal punto di vista scientifico tre Istituti sono fondamentali per l’attuazione  della ricerca: l’Istituto di Fisica, l’Istituto di Chimica e l’Istituto di Biologia”.
L’Istituto per le Applicazioni del Calcolo non è dunque tra gl’Istituti del Consiglio Nazionale delle Ricerche fondamentale per l’attuazione della ricerca scientifica. Non posso senz’altro protestare per tale tua opinione inquantochè potrebbe ben darsi che tu pensi che questo istituto non sia soltanto fondamentale per l’attuazione della ricerca, ma sia “FONDAMENTALISSIMO”, ma sia “VITALE”!
Se così è sono perfettamente d’accordo con te, ma se così non fosse me ne dorrei sinceramente e guarderei all’opera che ho dato all’Istituto da ben dieci anni con vero senso di dolorosa perplessità. La direzione di un Istituto che non abbia scopi altamente scientifici non può essere tenuta da un professore universitario che ha, fra i suoi primi doveri, quello di un’attività puramente scientifica per se e per i suoi discepoli. E se i Consiglieri del Consiglio Nazionale delle Ricerche avessero proprio l’opinione che questo Istituto non ha funzioni altamente scientifiche, io dovrei senz’altro, con mio preciso dovere di scienziato e a salvaguardia della mia dignità di professore universitario, abbandonare l’Istituto stesso.
Caro Morelli, qui bisogna stabilire ben chiaramente che io non intendo affatto che l’Istituto Nazionale per le Applicazioni del Calcolo che è per me, secondo quanto ho sempre pensato, un onore dirigere, venga posto scientificamente in seconda linea di fronte a qualunque altro Istituto non solo del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ma anche delle Università.
Eppure non ho mancato di presentarti, in doveroso omaggio, il volume: “L’Istituto Nazionale per le Applicazioni del Calcolo nel quadriennio 28 Ottobre 1933-XII – 27 Ottobre 1937-XV”, e non riesco a capacitarmi come, con l’acume che io ti conosco, con la conoscenza che tu hai di ciò che significa ricerca scientifica, tu non abbia ravvisato nell’opera svolta da questo Istituto, ed in quella mia e dei miei collaboratori, la più alta espressione della ricerca scientifica sia di pura matematica sia di necessario, indispensabile, vitale ausilio al progresso delle altre Scienze, fra le quali appunto la Fisica, la Chimica, la Biologia!
Domanda al Prof. Visco cosa pensi dell’aiuto che noi stiamo dando alle ricerche sul metabolismo attualmente in corso presso l’Istituto di Biologia.
Domanda a Fermi cosa pensi dell’aiuto che noi abbiamo dato alle ricerche di Fisica atomica compiute nell’Istituto di Fisica.
Insomma non vi è ricerca dello scibile umano nella quale occorra addivenire ad esperienze in cui questo Istituto non trovi funzioni decisive di definitiva conquista.
Ti prego di dare un’occhiata al qui accluso fascicoletto del 1929, nel quale illustravo la necessità della creazione di questo Istituto, e vedrai che la mia concezione sopraddetta, completamente divisa dal Comitato Italiano di Matematica ha il più granitico fondamento.
È di ieri una mia comunicazione all’Accademia dei Lincei nella quale mostravo una scoperta di matematica pura dovuta alle ricerche che si compiono in questo Istituto24.
È ben vero che un accademico d’Italia, stà fondando un Istituto cosiddetto di alta matematica in seno all’Accademia stessa, ma io affermo che la più alta matematica si farà sempre qui in questo Istituto, il quale costretto anche a considerare i problemi che non si pone il matematico puro ma che gli vengono posti da tutte le possibili Scienze e da tutte le applicazioni di queste, si troverà spesso di fronte a difficoltà di purissima matematica che il matematico puro che vive lontano dalle dette scienze, non potrà mai sognare, e per il superamento delle quali non avendo egli un incondizionato diuturno cimento, sarà sempre al disotto dei matematici che hanno la fortuna di vivere la vita di lavoro dell’Istituto Nazionale per le applicazioni del Calcolo. (...)

Come si vede dal capoverso finale della citazione, Picone ha un’idea molto imprecisa dell’iniziativa di Severi, tanto da pensare che l’Istituto di Severi sia da fondare all’interno dell’Accademia d’Italia. Nei mesi successivi, quando l’iniziativa di Severi comincia a delinearsi con maggiore precisione e diventa oggetto di iniziativa legislativa, le preoccupazioni di Picone crescono e lo vediamo pronto a far sentire le sue esigenze di non invasione di campo del nuovo Istituto al sottosegretario Giacomo Medici della Presidenza del Consiglio (lettera del 2 giugno 1939):

Eccellenza,
in un plico a parte mi onoro di inviarVi, in omaggio, una copia del volume “L’Istituto Nazionale per le Applicazioni del Calcolo nel quadriennio 28 Ottobre 1933-XII – 27 Ottobre 1937-XV” che riferisce sull’attività svolta da questo Istituto nell’indicato quadriennio.
Della benevola considerazione, da parte di Vostra Eccellenza, di tale attività, si è avuto più di un segno, che è stato, per me e per i miei collaboratori, un ambito premio.
Ho avuto anche l’altissimo onore di presentare, personalmente, il detto volume al Duce, il quale, dopo essersi degnato di ascoltare una breve illustrazione del contenuto del volume stesso, ha dato, con parole di vivo elogio, per l’opera fin qui svolta da questo Istituto, l’imperativa consegna di progredire nella missione ad esso affidata.
Se Vostra Eccellenza vorrà degnare di uno sguardo il volume in discorso, potrà constatare, anche in virtù della Vostra competenza tecnica, in che modo, ed in quale entità, le amministrazioni dello Stato, le Forze Armate, e molte industrie, si siano avvalse dell’opera di questo istituto per quei progressi che l’ora attuale impone in tutti i rami della produzione scientifica e tecnica italiana.
È in via di istituzione un reale Istituto di Alta Matematica dei cui scopi sono venuto a sicura conoscenza soltanto oggi, in seguito a comunicazione fattamene dalla Presidenza del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Tali scopi sono, nel disegno di legge, contradistinti con le lettere a, b, c, d, ed io non esito a riconoscere che l’assolvimento di tali compiti potrebbe essere utile anche all’attività di questo Istituto se fosse possibile stabilire, per legge, che le attribuzioni dell’erigendo Istituto non devono venire ad interferire  con quelle di questo, ed anzi che le une siano di fondamento alle altre.
Così, questo Istituto potrebbe sottoporre all’Istituto di Alta Matematica, quelle teorie matematiche che si fossero rivelate insufficienti in talune applicazioni tecniche, laddove l’Istituto di Alta Matematica non dovrebbe intralciare quella penetrazione nell’ambiente tecnico ed industriale del metodo matematico di ricerca, che è un preciso compito di questo Istituto in pieno sviluppo e con successi già riconosciuti.
Tale mio avviso mi incoraggia a sottoporre a Vostra Eccellenza, la proposta che il citato comma d), nel quale si parla del “collegamento” che l’erigendo Istituto dovrebbe attuare fra le ricerche di alta scienza, e le applicazioni tecniche ed autarchiche, venga così modificato:
d) In collaborazione con l’Istituto Nazionale per le Applicazioni del Calcolo, il “coordinamento” fra le ricerche di tale scienza e le applicazioni tecniche ed autarchiche.

Il giorno dopo Picone torna a scrivere al Medici per dirgli di considerare nulla la precedente lettera in quanto la Presidenza del CNR ha fatto propria la sostanza della lettera e avanzato proposte di emendamento al disegno di legge. L’intervento di Picone e della Presidenza del CNR consente dunque che la legge istitutiva del “Reale Istituto di Alta Matematica” modifichi nel senso indicato da Picone gli scopi della nuova istituzione. L’art. 1 così infatti recita:

È fondato in Roma il Reale Istituto nazionale di alta matematica, avente per fini:
a) lo sviluppo dei rami in formazione di questa scienza;
b) la coordinazione del movimento matematico nazionale con quello straniero e l’organizzazione di un’aggiornata bibliografia del movimento matematico mondiale;
c) la diffusione dei più importanti indirizzi del pensiero nazionale in questo campo;
d) il collegamento fra le ricerche di alta matematica e le scienze collaterali (filosofiche, storiche, fisiche, statistiche, ecc.), nonché la collaborazione con l’Istituto nazionale per le applicazioni del calcolo del Consiglio nazionale delle ricerche nei problemi teorici più direttamente interessanti le scienze sperimentali e le applicazioni tecniche ed autarchiche.

I mezzi per realizzare i fini istituzionali erano così specificati nell'articolo 3 dello Statuto dell’INDAM:
a) corsi sistematici di carattere postuniversitario sui rami in formazione delle scienze matematiche;
b) conferenze o cicli di conferenze di scienziati italiani o stranieri;
c) relazioni bibliografiche, pubblicazioni di monografie sui più recenti indirizzi di studio;
d) studi, riassunti, discussioni fra professori e studiosi su lavori originali e su opere matematiche italiane e straniere e sulle questioni e problemi sottoposti all'Istituto (queste ultime attività erano pratica diffusa presso i Seminari matematici, in particolare presso il famoso “Seminario Hadamard” a Parigi).
All'atto della sua costituzione l'INDAM era così organizzato: sotto la presidenza di Severi, vi era un Consiglio di Amministrazione composto dai Professori ordinari dell'Istituto e dai rappresentanti del Ministero dell'Educazione Nazionale (Giuseppe Belluzzo) e dell'Università di Roma (Sabato Visco, Preside della Facoltà di Scienze). Vi era poi il Comitato scientifico composto ancora dai professori ordinari dell'Istituto e dai rappresentanti della Facoltà di Scienze dell'Università di Roma (Enrico Bompiani e Mauro Picone). I professori ordinari dell'Istituto erano:
• Francesco Severi, di “Alta Geometria”;
• Luigi Fantappiè, di “Alta Analisi”;
• Giulio Krall, di “Applicazioni di Alta Matematica”.
Ancora dall'Università di Roma, a rafforzare il senso della sua predominanza sull'Istituto e quindi a scatenare malumori e diffidenze, venivano i professori aggregati: Ugo Amaldi, Giuseppe Armellini, Enrico Bompiani, Fabio Conforto, Alfredo Perna, Mauro Picone, Antonio Signorini e Leonida Tonelli; nonché gli assistenti: Enzo Martinelli, Giuseppe Tedone e Mario Carafa. A sottolineare la forte somiglianza dell'INDAM al modello universitario, da cui si staccava l’Istituto di Picone,  era prevista la nomina degli assistenti volontari.
Abbiamo già fatto osservare, attraverso le testimonianze di Tonelli e Manià, la circostanza che in matematica, più che in altre discipline scientifiche, il momento didattico e seminariale è intimamente connesso a quello dell'indagine e della scoperta. Non è quindi un caso che l'Istituto di Severi dedichi principalmente la sua attività a tale problema, prevedendo già nel suo primo statuto (approvato con R.D. 8 settembre 1939, n. 1385) “l'assegnazione di borse di studio a studiosi italiani e stranieri” e l'istituzione della figura di “discepolo-ricercatore” riservata a giovani laureati. Più precisamente, erano previste due figure di allievi:
– i discepoli ricercatori, generalmente laureati da scegliersi fra assistenti universitari, professori di scuole medie, etc.;
– i discepoli coadiutori, generalmente laureandi da adibire “soprattutto nel lavoro di raccolta bibliografica” in cui avrebbero trovato “utili addestramenti”.
Nei quindici anni di effettiva direzione di Severi, furono ben 99 le borse di studio assegnate a laureati italiani, 38 a stranieri, 46 quelle assegnate a studenti non laureati, e ben 314 i laureati che parteciparono ai corsi avanzati organizzati dall'INDAM, con una media di cinque per anno. Sono cifre significative quando si pensi che il CNR non finanziava, nel periodo fra le due guerre, che cinque sole borse di studio annuali di perfezionamento post-laurea, quasi sempre appannaggio delle scienze sperimentali (mediamente non più di una toccava ai matematici).
Severi aveva ben ragione di essere orgoglioso di questa sua creatura, la cui nascita era però dovuta, inutile nasconderlo, ai preoccupanti sintomi di decadenza della matematica italiana già prima da noi segnalati. Nel citato articolo del 1943, improntato a quella caratteristica che con felice espressione è stata chiamata “autarchia della cultura”, così Severi concludeva:

Ho accennato replicatamente all'Istituto nazionale per le applicazioni del calcolo del Consiglio delle ricerche, diretto da Picone, e all'Istituto nazionale di alta matematica, da me presieduto. Sono originali istituzioni del Regime, la prima delle quali ha reso e rende eccellenti servigi alle Forze armate, alle industrie, ai laboratori scientifici e stabilisce continui fecondi rapporti fra la matematica pura e le applicazioni; mentre la seconda, pur cooperando colla prima nelle soluzioni di problemi di alta scienza reclamate dalle applicazioni, ha lo scopo precipuo di promuovere le ricerche nei rami in formazione della matematica, di mantenere i contatti colla scienza e cogli scienziati stranieri, di conservare alto nel mondo il nostro prestigio matematico.
Credo che la scienza italiana possa essere soddisfatta di quello che finora si è realizzato nei due Istituti, che gli stranieri guardano con crescente interesse e che cominciano ad imitare.
La guerra, pur assorbendo tante fresche energie e rendendo più difficili i rapporti scientifici internazionali, non ha diminuito la nostra forza di produzione nel campo matematico né l'ardore del nostro lavoro né l'audacia delle nostre iniziative (di che fu ultima prova il Convegno internazionale di matematici tenutosi a Roma nel novembre scorso). Coloro che non hanno l'onore di servire la Patria in armi, sentono più vivo che mai l'obbligo di non interrompere, ma di intensificare il lavoro scientifico, onde l'Italia vittoriosa possa domani assolvere in modo degno delle sue millenarie tradizioni i compiti che l'attendono nella nuova Europa.

A parte la retorica finale che, tenuto conto del fatto che lo scritto di Severi appariva alla vigilia del 25 luglio, offendeva il senso comune e l'intelligenza, pur vigorosa, dell'uomo, il quadro agiografico che Severi presenta della matematica italiana è però difficilmente condivisibile e contrasta persino con quanto egli stesso aveva scritto circa i “preoccupanti” segnali di crisi nella disciplina. In occasione della sua prima lezione all'INDAM egli infatti così si era espresso25:

l'Istituto che oggi comincia anche nel campo didattico-scientifico la sua attività (...) è da noi di tipo completamente nuovo. Invero, esso rappresenta qualcosa d'intermedio tra l'Università e l'Accademia, intesa, quest'ultima, nel senso migliore, cioè come organo propulsore di ricerche e di discussioni scientifiche, indipendenti da finalità professionali.
Anche le organizzazioni similari straniere (per es. l'Institute for advanced study di Princeton, che è forse il più vicino al nostro, l'Istituto Poincaré e il Collège de France di Parigi, l'Istituto Matematico di Göttingen, che è forse quello di tipo più lontano) sono concepiti in modo un po' diverso; sicché il nostro non può trovare nelle esperienze altrui che scarsi barlumi direttivi. (...)
Si deve riconoscere (...) che l'Università, per fatale necessità di cose, è andata sempre più orientandosi verso i bisogni ed i fini professionali. Le grandi masse degli studenti la frequentano essenzialmente per tali fini e le minoranze di quelli che domandano all'Università soltanto una larga e profonda preparazione alla ricerca scientifica ed agli studi, si fanno di giorno in giorno più esigue. (...)
L'Istituto ha lo scopo principale di riparare, nel campo matematico, a questa deficienza, sempre più accentuata, della nostra organizzazione universitaria e ad evitare che l'alto livello matematico nazionale venga progressivamente ad abbassarsi (del che si cominciava già ad avvertire qualche segno preoccupante), per difetto di nuove, vigorose energie. Danno questo, che sarebbe grave dal punto di vista del prestigio italiano in un ramo di scienza in cui ci eravamo tanto superbamente affermati da più di mezzo secolo (...). Danno poi, che sarebbe gravissimo per le necessità della tecnica, la quale non può che inaridirsi se ha vicino a sé un pensiero matematico anemico e privo di originalità nazionale.

C'erano dunque, secondo Severi, un problema serio di ricambio generazionale nella matematica italiana e una crisi “di vocazione” che drammaticamente si accompagnavano ad un abbassamento di tono dell'insegnamento universitario:

Ho accennato al fatto che le borse di studio, pel 1940-41, non sono state tutte coperte. Me ne duole, ma devo dichiarare che ciò è dipeso dalla preoccupante scarsezza di elementi idonei.
Esclusi gli aspiranti (...) già assolutamente insufficienti abbiamo chiamato quelli dei quali avevamo informazioni buone o ottime. In vari casi (purtroppo di laureati con pieni voti e lode!) ci siamo trovati dinanzi a desolanti deficienze, in parte almeno imputabili ad un abbassamento di tono dell'insegnamento superiore in qualche Università italiana (...).
Debbo ripetere di non mandar qui giovani qualunque, ma elementi di sicura potenzialità. “Vi posso proporre Tizio – mi ha scritto un collega – ma Vi avverto che non è un'aquila”. L'ho naturalmente rifiutato. Non posso pretendere di avere qui le aquile che si librano e si libreranno nel cielo matematico italiano, ma non posso accettare quelle che a priori sono classificate in sottospecie libratorie molto più modeste.

Concetti analoghi ripeteva Severi al II Congresso dell'UMI dove il discorso si faceva più incisivo:

Bisogna riconoscere che, se per taluni discepoli la fase preliminare d'informazione e di orientamento è superata, lo stesso non avviene per la generalità. (...) Talvolta, per assegnare un tema di ricerca, in modo che fosse apprezzato e valutato da tutti, abbiamo dovuto addirittura far precedere piccoli corsi informativi. Ciò mostra come [l'INDAM] corrisponda ad un bisogno ch'era profondamente sentito e come la sua azione sia necessaria per arrestare quel declino della vigoria del nostro pensiero matematico, che negli ultimi tempi si andava rivelando.

Due erano per Severi le cause principali della caduta di livello nella matematica italiana: l'eccessiva professionalizzazione dell'Università e “le ferree necessità della lotta fra le Nazioni; necessità, le quali dirigon di preferenza il genio nazionale verso le applicazioni della scienza e verso i problemi di autarchia economica e militare”. Ritorneremo dopo, nel paragrafo dedicato alla legittimazione per utilità, su questo secondo aspetto, per ora ci preme sottolineare che il mancato ricambio generazionale della matematica italiana non aveva solo motivazioni di carattere esterno: ancora un anno dopo gli interventi prima citati, nel presentare i corsi del secondo anno di attività dell'INDAM26, Severi accenna – pur senza esplicitarle del tutto – ad alcune cause interne di quegli allarmanti segnali di decadenza della cultura matematica italiana. Esse riguardavano il mancato sviluppo in Italia dell'algebra moderna, della teoria dei numeri e della matematica applicata, con particolare riguardo all'aereonautica:

Nell'anno corrente [1941] saranno dunque tenuti due corsi da professori provenienti da altre Università; dal prof. Ricci dell'Università di Milano, che svolgerà un corso trimestrale di “Aritmetica analitica” e dal prof. [Enea] Bortolotti dell'Università di Firenze, che svolgerà un corso sugli “Spazi a connessione proiettiva”. Spero che il corso del prof. Ricci possa essere d'incentivo affinché, anche da noi, sia dato maggior impulso allo studio della teoria dei numeri, che è uno dei rami più belli, più difficili ed astratti della matematica, profondamente connesso con tutti gli altri. Spero altresì di poter presto invitare a tenere un corso di algebra moderna, qualche professore delle Università germaniche. (...)
A proposito dell'aerodinamica e dell'aerotecnica (...) invito quei nostri discepoli che sentono maggior trasporto per la meccanica e la fisica matematica a volgere l'attenzione verso i problemi aviatori, che richiedono elevate risorse dell'analisi, non sempre possedute da sperimentatori, anche valenti, dei quali, peraltro, noi fortunatamente non manchiamo, nonostante che i laboratori universitari non sieno sempre adeguatamente attrezzati.
È un peccato che le nostre alte doti matematiche poco si siano finora cimentate in questo campo, ove abbiamo apportato, sì, pregevoli contributi, specialmente di ordine tecnico, ma nel quale le leggi fondamentali – come quelle geniali e risolutive di Prandtl e della scuola di Gottinga – non sono opera di italiani.

Da queste lunghe citazioni un fatto emerge dunque nettamente: pur senza alcuna autocritica e al di là dei toni agiografici (che non sono però di circostanza), il giudizio complessivo sull'evoluzione della matematica italiana nel ventennio assume toni preocupati. Certo, lo si è già detto, la decadenza relativa della disciplina non ha impedito il formarsi di matematici di valore, ma alla fine del ventennio si rende manifesta l'incapacità a ripetere quel periodo aureo, a cavallo dei due secoli, che aveva posto la matematica italiana ai vertici internazionali. Il “ricambio generazionale” c'è stato solo in misura parziale anche per la difficoltà ad accettare nel mondo accademico ufficiale il patrimonio di idee nuove (soprattutto nel settore algebrico-topologico) che veniva nel frattempo edificato in Germania, Stati Uniti e Francia. Questa considerazione introduce l'ultimo aspetto di questo paragrafo, quello più di tipo esterno, il problema cioè della creatività.

 

1.4 Le devianze

È constatazione abbastanza facile da fare, e lo dimostra il “caso” dello sviluppo della Fisica italiana negli anni ‘30, che uno dei segnali “forti” della vivacità intellettuale di una comunità scientifica è dato dalla sua capacità di indirizzare gli “apprendisti ricercatori” verso i temi di ricerca tradizionali senza però che questo costituisca una remora nel processo di individuazione dei loro personali percorsi. Lo sottolineava molto bene Jean Dieudonné quando, nell'Introduzione al suo Abrégé d'histoire des Mathématiques (1979), poneva giustamente l'attenzione sul forte potere attrattivo esercitato “dalle scuole matematiche attive e affollate”:

Isolato, il giovane matematico rischia di scoraggiarsi davanti all’immensità di una bibliografia dove si muove senza bussola. In un centro importante, in cui può ascoltare i suoi maestri, i colleghi anziani e i visitatori stranieri che vi accorrono, l’apprendista ricercatore sarà molto più rapidamente in grado di distinguere ciò che è essenziale da ciò che è secondario nelle nozioni e nei risultati che devono costituire la sua formazione di base. Sarà guidato verso le opere importanti, informato dei grandi problemi di attualità e dei metodi per aggredirili, messo in guardia dai domini meno fertili, talvolta ispirato da accostamenti inattesi tra le ricerche sue proprie e quelle dei colleghi. Grazie a questi fuochi di ricerca e alla rete di comunicazioni che li collega a tutto il pianeta, è poco probabile che l’incomprensione che certi innovatori hanno dovuto soffrire in passato possa ancora prodursi oggi.

Ora, per un complesso di motivi, soprattutto negli anni '30, le condizioni descritte da Dieudonné per un efficace apprendistato in matematica mancavano in parte nell'Italietta imperiale, lanciata verso l'autarchia economica e intellettuale. Sempre più scarse le possibilità per i giovani di recarsi all'estero, sempre più gerarchizzato il rapporto di lavoro e di ricerca (si dice che in qualche situazione, e non delle peggiori, solo il Direttore dell'Istituto aveva il diritto di leggere le Riviste e che solo in secondo momento queste venivano passate ai “giovani”), via via decrescente il numero di giovani ricercatori stranieri che venivano per qualche tempo in Italia, scarsa (e resa sempre più difficile) la partecipazione italiana agli incontri internazionali. Ciò può servire a spiegare quanto dipendesse dai “capi” la produzione matematica media del periodo in esame, come risulta per esempio da un'analisi statistica anche sommaria delle due sole riviste, i Rendiconti dei Seminari di Roma e Milano, per le quali esistono indici accurati e completi27. Per la Rivista del Seminario di Roma le percentuali dei vari macro-settori (Fondamenti, Algebra e Teoria dei numeri, Analisi, Geometria,  Meccanica e Fisica-matematica, Matematica applicata comprendente in generale, in armonia con le suddivisioni del periodo, Probabilità e statistica, Calcolo numerico e applicazioni varie all'Economia, alla Biologia e a problemi tecnici in genere) sono le seguenti (su un totale di 623 articoli comparsi nel periodo 1913-'43):
Preliminari  (Fondamenti, Storia e Biografie), 6.42%; Algebra, 6.42%; Analisi, 29.21%; Geometria 30.66% (di cui più del 50% in Geometria algebrica); Meccanica, 21.19%; Matematica Applicata, 6.10%.
Se spezziamo l'intero periodo in alcuni sub-periodi (corrispondenti ai Direttori del Seminario) i dati diventano però i seguenti:
1913-22 (69 articoli): Preliminari, 36.2% (quasi totalmente biografie); Algebra, 1.4%; Analisi, 18.8%; Geometria, 8.7%; Meccanica, 27.5%; Matematica Applicata, 7.2%.
1922-35 (143 articoli): Preliminari, 1.1%; Algebra, 6.3%; Analisi, 23.1%; Geometria, 29.4% (di cui il 35.7% di Geom. algebrica); Meccanica, 29.4%; Matematica Applicata, 2.8%.
1936-39 (89 articoli): Preliminari, 1.1%; Algebra, 14.6%; Analisi, 19%; Geometria, 14.8% (di cui il 46.4% di Geom. algebrica); Meccanica, 4.8%; Matematica Applicata, 2.2%.
1940-43 (322 articoli): Preliminari, 0.3%; Algebra, 5.3%; Analisi, 31.1%; Geometria, 35.7% (di cui il 60% di Geom. algebrica); Meccanica, 19.2%; Matematica Applicata, 8.4%.
Per la Rivista del Seminario di Milano, su un totale di 184 articoli del periodo 1927-'42, le percentuali accentuano maggiormente certe tendenze locali, ma sono ugualmente indicative della tendenza già intravista a sottovalutare i Fondamenti, l'Algebra e la Matematica applicata:
Fondamenti, 21.2% (ma in realtà solo 5 articoli su 39 riguardano la Logica e ben 34 sono di carattere biografico o vagamente storico); Algebra, 2.17%; Analisi, 11.96%; Geometria, 9.24%; Meccanica, 48.91%; Matematica applicata, 6.52%.
Solo per dare qualche elemento di raffronto abbiamo rielaborato, sulla base di una ricerca di Tricomi del 1940, il numero complessivo delle pagine di recensione dello “Jahrbuch über die Fortschritte der Mathematik” dedicate agli stessi settori nel biennio 1934-'35:
Fondamenti, 6.6%; Algebra, 14.1%; Analisi, 34.5%; Geometria, 22.3%; Meccanica, 15.1%; Matematica applicata, 7.4%.
Una analisi più fine, limitata per esempio alla Topologia (sottosettore della Geometria), mostra la sottovalutazione italiana di quest'ambito di ricerche: laddove nel biennio 1934-'35 la percentuale internazionale dava un buon terzo dei lavori geometrici recensiti, i “Rendiconti” di Roma le assegnavano solo 21 lavori su 191, ossia soltanto un decimo.
In un tale contesto, le “devianze” dai settori tradizionali di ricerca, se pur possibili, lasciavano poco spazio alla carriera. Significativo appare il caso di Guido Zappa, per il quale Gherardelli scrive [Gherardelli 1988, 35]:

Quando [Zappa] si è affacciato alla ricerca matematica, l'algebra non esisteva in Italia come materia indipendente: non vi erano corsi specifici nell'Università. Si studiava un po' di algebra lineare nei corsi di “Analisi algebrica” e un pò in quelli di geometria sotto la veste di Geometria proiettiva. Per avere una prospettiva di carriera nell'Università era obbligatorio occuparsi o di Analisi o di Geometria o di Meccanica. Analisi significava equazioni alle derivate parziali, principalmente ellittiche, e Geometria era Geometria algebrica (sul campo complesso). Per un algebrista come Zappa non c'era scelta.

Che quello di Zappa non sia stato un caso isolato lo dimostra la “completa e sistematica disincentivazione” degli studi algebrici avviati da Bianchi e Scorza di cui abbiamo già dato qualche cenno. Basta scorrere, per esempio, il “Bollettino Ufficiale” del Ministero della Pubblica Istruzione degli anni 1924-'26 per rendersi conto che era in atto un tentativo preciso di ottenere spazi accademici per il settore algebrico, ma che tali tentativi furono in parte battuti, nel senso che alcuni degli allievi di Bianchi, Cipolla e Scorza – Vincenzo Amato, Alberto Mario Bedarida, Francesco Cecioni, Gaspare Mignosi, Giovanni Sansone e Nicolò Spampinato – ebbero difficoltà notevoli a vincere una cattedra. Il caso di Sansone merita di essere segnalato.
In una lettera indirizzata al suo maestro palermitano, Michele Luigi Albeggiani, che lo aveva indirizzato alla scuola pisana, Sansone, nel comunicargli la conseguita libera docenza (Firenze 1 novembre 1924), così gli scriveva28:

(...) nei giorni 29 e 30 ottobre ho sostenuto a Roma le due prove per la mia libera docenza in analisi algebrica e infinitesimale. L'esito è stato ottimo: i Commissari Pincherle, Tonelli, Fubini hanno espresso il loro compiacimento per le mie ricerche, special­mente per quelle sui gruppi modulari, di cui mi sono occupato in due memorie dei Rendiconti e in una che verrà prossimamente negli Annali di Matematica.
Il Bianchi era a Roma, egli mi ha consigliato di presentarmi a tutti i concorsi di algebra o di algebra e calcolo che stanno per bandirsi. Le dirò anzi in linea del tutto confidenziale, sapendo di farLe piacere che sarò certamente nella terna di algebra e cal­colo di Firenze.

E, in effetti, dei 12 concorrenti al concorso del 1924 per la cattedra di “Analisi algebrica e infinitesimale” dell'Università di Firenze, la Facoltà di Scienze, inaugurando il nuovo meccanismo concorsuale voluto dalla riforma Gentile, propose all'unanimità la terna: G. Andreoli, G. Sansone e F.Tricomi. Ma la commissione ministeriale, composta da Fubini, Pincherle e Severi29, dopo aver polemizzato con il ministero per la nuova procedura che non consentiva “di prendere in esame comparativo se non alcuni fra i possibili aspiranti”, giudicava unanime “Tricomi maturo in via assoluta e relativa”, mentre – a maggioranza – dichiarava secondo l'Andreoli. Per Sansone, non ternato, scriveva che la sua produzione scientifica

è profonda, contiene risultati notevoli ottenuti vincendo non poche difficoltà, ma è di estensione ristretta, toccando argomenti di carattere prevalentemente aritmetico, mentre si tratta di coprire una cattedra di analisi algebrica e infinitesimale in cui devono prevalere i concetti del calcolo infinitesimale: i lavori del Sansone non danno pertanto sufficiente affidamento che egli abbia approfondito almeno le principali parti della Scienza a cui si riferisce la cattedra oggi vacante.

D'altra parte, nel quasi contemporaneo concorso per la cattedra di “Algebra e Geometria analitica” dell'Università di Cagliari, la Facoltà di Scienze decideva di non prendere in considerazione, tra gli altri, le domande di Bedarida, Cecioni, Mignosi e Sansone, scrivendo ad esempio per Bedarida che30 “presenta dieci lavori di natura aritmetica e tre recensioni. Mostra buone doti di ricercatore, ma la sua produzione è ancora troppo circoscritta”.
“Estensione ristretta” o “natura circoscritta” sono espressioni che equivalgono a dire che bisognava produrre o in analisi o in geometria. Chi ne ebbe la voglia o la possibilità, come Cecioni e Sansone, riuscì infatti ad essere ternato nel di poco successivo concorso alla cattedra di “Analisi algebrica” dell'Università di Catania, anche per la presenza determinante, nella commissione, di Onorato Nicoletti e di Michele Cipolla31. Chi, invece, come Bedarida, “aveva scelto di concentrare le sue energie nella direzione aritmetico-algebrica” si trovò del tutto disincentivato a proseguire quelle ricerche e, soprattutto dopo la quasi contemporanea morte di Bianchi e Nicoletti, pressocché del tutto isolato.
Ci pare che le descrizioni di Birkhoff e di Lombardo-Radice delle “atmosfere” matematiche dei rispettivi paesi costituiscano una ragionevole spiegazione del differente modo, e perciò dei diversi esiti, dell’avvio dei giovani alla ricerca matematica. Come si è già detto, sia l'INAC di Picone sia l’INDAM di Severi fecero in qualche modo quello che era nelle loro possibilità per ovviare ad alcuni degli inconvenienti segnalati. Ma lo stesso Severi non fu mai disposto ad accettare nel mondo accademico ufficiale – la prima cattedra di Algebra fu quella di Zappa, contemporanea o di poco posteriore alla morte di Severi – il patrimonio di idee nuove che nel frattempo si era andato elaborando. Significativo, ci pare, quanto egli scriveva in occasione della ricorrenza del decennale della morte di Federigo Enriques32. Sono osservazioni che, ancora una volta, possono trovarsi singolarmente condivisibili, ma è il contesto che è pesante. Di fronte a critiche di “sterilità vere o presunte” della geometria algebrica italiana, Severi osserva che

il passo nuovo in un terreno sconosciuto va incontro a mille trabocchetti, ignoti agli iperassiomatizzatori che non creano, ma rimuginano le idee degli altri. (...) È il nuovo che conta: i metodi contano infinitamente meno. (...) il rigore non ha, neppure in matematica, valore assoluto. Ogni tempo ha il rigore che si merita. (...) Questo sia detto anche per qualche nostro antico discepolo, il quale per essersi gettato nell'indirizzo astrattista con l'entusiasmo ammirevole del giovane, ha creduto di poter affermare che: “a vast and challenging field which, by modern standards of rigour and generality, is virtually unexplored (it is enough to mention the fact that such a basic result as Castelnuovo's theorem on the rationality of plane involutions still awaits a convincing proof)”. Meno male che tale affermazione, la quale getta un'ombra (senza specificare e giustificare la critica!) sopra un teorema fondamentale di Castelnuovo, è temperata dalla seguente successiva affermazione: “The abstract algebraic geometer has learned by experience that the results of classical algebraic geometry, although often based on debatable proofs, are nonetheless correct”.

Quell’antico discepolo su cui si punta il dito era Jacopo Barsotti (1921-1987), che era stato suo assistente a Roma nel biennio 1946-48, e si era poi trasferito negli Stati Uniti a Princeton dapprima e poi a Pittsburgh, dove si era trattenuto fino al 1960, per superare il disagio dell’isolamento della matematica italiana e apprendere la nuova “tecnologia” necessaria a far crescere l’edificio della geometria algebrica costruito della scuola italiana. Appena tre anni separano la citazione di Severi prima riportata dalla violenta e aspra e deliberamente cercata polemica contro di lui da parte di Samuel e Weil durante il Congresso internazionale dei matematici di Amsterdam (1954).

 


2. La legittimazione sociale