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Psichiatria biologica e terapie da shock – Ugo Cerletti

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Ugo Cerletti and the discovery of Electroshock.
An imaginary interview by Francesco Bollorino, Rossella Valdre, Maria Vittoria Giannelli Ph.D, Università di Genova

La scoperta dell'elettroshock

Nel 1935, Ugo Cerletti (1887-1963) arrivava alla direzione della clinica delle malattie nervose e mentali dell'Università di Roma. Cerletti aveva insegnato neuropsichiatria a Bari e a Genova, dopo aver studiato con Nissl nella clinica di Emil Kraepelin a Heidelberg e a Monaco, maturando un orientamento fortemente biologico. Era noto soprattutto per le ricerche in istologia e in istopatologia delle cellule nervose, per gli studi sulla paralisi progressiva della neurosifilide, di cui aveva riconosciuto la natura infiammatoria addebitandola all'azione locale della spirocheta sulla corteccia cerebrale e per le indagini sull'epilessia. Dal 1938, il nome di Cerletti sarà conosciuto a livello mondiale per la scoperta dell'elettroshock.
Cerletti lavorava dal 1933 sull'epilessia sperimentale nei cani e nelle cavie. Era appena iniziato il periodo epico delle «Cure disperate» [1] per le malattie mentali, che in una drammatica curva ascendente di radicalità partiva dalle terapie da shock finendo nella psicochirurgia del Nobel portoghese Egas Moniz. Nel 1933, Manfred Joshua Sakel usava per la prima volta l'induzione del coma insulinico per la cura della schizofrenia e della tossicomania, un metodo terapeutico che veniva adottato sistematicamente da Cerletti a Roma a partire dal 1936. Nel 1935, Joseph Ladislas von Meduna, convinto dell'esistenza di un antagonismo tra epilessia e schizofrenia, introduceva la terapia convulsiva con shock indotto da cardiazol [2], che in poco tempo si diffondeva ampiamente a livello internazionale. Il successo incontrato dalla terapia di Meduna stimolava l'estensione delle ricerche fondate sulla tesi dell'antagonismo fra epilessia e schizofrenia. Venivano eseguite ad esempio tentativi di trattare gli schizofrenici con sangue prelevato da epilettici dopo la convulsione, nell'idea che sostanze di natura sconosciuta venissero rilasciate dall'organismo in risposta agli accessi convulsivi. Quest'ultima ipotesi guidava le ricerche con cui Cerletti tentava introdurre l'elettroshock, cercando il modo di rendere innocuo per l'uomo il passaggio della corrente elettrica necessaria a provocare le convulsioni. Cerletti credeva che lo stress causato dalle convulsioni provocasse il rilascio nel sangue di "sostanze vitalizzanti", cui diede il nome di acroagonine, e tentava di produrle artificialmente somministrando scosse elettriche ad animali con un apparecchio messo a punto dal suo collaboratore Lucio Bini. La tecnica, che prevedeva il passaggio della corrente dalla bocca all'ano, tuttavia determinava spesso la morte degli animali in quanto l'elettricità attraversava il cuore ed era perciò inutilizzabile sugli uomini. Cerletti apprendeva quindi che al mattatoio di Roma gli animali venivano storditi con il passaggio di corrente elettrica attraverso il capo e che questo metodo permetteva l'induzione di convulsioni con l'applicazioni di correnti elettriche estremamente più basse dell'intensità letale e per questo più sicure ed applicabili all'uomo. Con questa nuova tecnica, Cerletti e Bini nel marzo 1938 conducevano il primo esperimento di elettroshock su un uomo, un vagabondo in stato confusionale (uno schozofrenico già ricoverato all'ospedale psichiatrico di Milano e curato con terapia convulsiva cardiazolica) inviato dal commissariato di Roma alla clinica psichiatrica universitaria. Dopo una serie di elettroshock, il paziente presentava una remissione completa: erano sparite le allucinazioni e le idee deliranti e veniva riassunto al lavoro [3]. Cerletti comunicava il resoconto del caso e le ricerche successive su animali e pazienti umani il 28 maggio 1938 all'Accademia Medica Romana. Il metodo di Cerletti, più sicuro ed economico dello shock cardiazolico e del coma insulinico, diveniva in breve la terapia fisica per i disturbi mentali più usata al mondo.
Anche il comitato medico del Consiglio Nazionale delle Ricerche si occupava della scoperta di Cerletti in discreto ritardo, quando il direttore della clinica neuropsichiatrica di Roma chiedeva un finanziamento per l'acquisto di un elettroencefalografo per studiare i meccanismi d'azione e gli effetti dell'elettroshock. Il 22 giugno il consiglio di presidenza presieduto da De Blasi discuteva «gli effetti benefici sorprendenti ottenuti dal prof. Cerletti in molti casi di schizofrenia mediante la produzione di elettroscioc (sic), come egli dice, sui soggetti malati.» [4] De Blasi riconosceva che «il fatto ha una grande importanza scientifica e sociale: molti pazienti guariscono»5 e che era «necessario studiare i fenomeni intimi che si producono nel cervello durante e dopo l'elettroscioc: ciò si può ottenere mediante l'elettroencefalografia. Tali studi devono essere fatti dallo stesso prof. Cerletti, che è direttore della Clinica della malattie nervose e mentali della Università di Roma» [6] Si deliberava perciò «l'assegnazione a questa clinica di L. 60.000, il minimo indispensabile per l'acquisto, il collocamento ed il primo funzionamento dell'apparecchio.» [7]

1 Valenstein, E.S., Cure disperate. Illusioni e abusi delle malattie mentali, Giunti, Firenze, 1993
2 Altre terapie convulsive a base farmacologiche venivano messe a punto in queli anni da Bertolani (con cloruro d'ammonio), Fiamberti (con acetilcolina) e da Cacciapuoti (con adrenalina)
3 Cerletti, U., «L'elettroshock», Archivio italiano per le malattie nervose e mentali, 1940; «L'elettroshock», Rivista Sperimentale di Freniatria, 1940, 64, fasc. 2-3-4, uno studio monografico di notevole importanza ed estensione (circa 500 pagine complessive), riassunto in Cervello, 1941, pp. 121-146.
4 "Verbale del consiglio di presidenza 22 giugno 1939" ACS CNR busta 172
5 ibid.
6 ibid.
7 ibid.

applicazione dell'elettroshock

 

 

 

 

apparecchi per elettroshock anni '40