La malaria

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Iniziative sotto il Fascismo


Nel 1923 il regime fascista abborda la questione della malaria in Italia. I  primi provvedimenti legislativi prevedevano uno spostamento dell’onere delle spese per il chinino dai Comuni alle Province; l’anticipo da parte dello Stato delle somme necessarie alla “piccola bonifica”, somme che i proprietari dovevano poi rimborsare con un interesse del 5%. Del 1924 la legge n. 753 anche conosciuta come Legge Serpieri, dal nome del tecnico agrario, Ministro dell’Agricoltura del regime, sulle trasformazioni fondiarie di pubblico interesse, con la quale si cercava di rispondere al problema della trasformazione dei comprensori estensivi nel Mezzogiorno. Nonostante queste illuminate intenzioni legislative, che si dovettero alla scelta felice da parte del regime del prestigioso tecnico agrario Arrigo Serpieri, scelta che ottenne il plauso della comunità medico-scientifica italiana, la reale politica fascista per una lotta alla malaria si espresse attraverso il progetto della “bonifica integrale”, che ebbe suo fondamento legislativo nel 1928 con la legge n. 3124 nota come Legge Mussolini. In una concezione di salute che si faceva politica, che mirava a ottenere il risanamento fisico e morale del popolo in funzione di una maggiore efficienza lavorativa, e che secondo le teorie razziali voleva eliminare le malattie endemiche per un recupero biologico della razza italiana, la “bonifica integrale” differiva – secondo le parole del regime – dalle precedenti campagne per l’utilizzo coordinato di tutte le armi note alla malariologia. Straordinaria opera di propaganda prima che di risanamento, “il cui compimento basterà da solo a rendere gloriosa, nei secoli, la rivoluzione delle camice nere” – come declamava Benito Mussolini – , la legge per la bonifica integrale fu preceduta da un esperimento nella zona Maccarese, alla foce del Tevere, nel 1926, ove il regime appoderò un enorme latifondo in 45 tenute. La battaglia a tutto campo alla malaria secondo la terminologia di guerra mussoliniana vide di fatto realizzazione solo nella zona delle Paludi Pontine. Inaugurata nel 1929, la battaglia fu dichiarata vinta dieci anni dopo (e non a caso: correva quell’anno la celebrazione del ventennale della fondazione del Movimento Fascista). Una volta espropriati i due terzi dei terreni improduttivi, lo Stato fascista delegò all’Opera Nazionale Combattenti il controllo delle aree bonificate, che in seguito ad appoderamento venivano affidate a coloni provenienti per lo più da regioni del Nord (Veneto, Friuli, Romagna), una manodopera a basso costo che il regime attingeva dal bacino di disoccupazione venutosi a creare con la crisi del 1929. L’Agro fu poi diviso in comprensori facenti capo a un borgo.  Il programma della bonifica integrale, progettato da Alessandro Messea, direttore del Dipartimento di Sanità, prevedeva una lotta alla malaria combattuta su tre fronti:la bonifica idraulica, la bonifica agricola, la bonifica igienica. La bonifica idraulica, nella terminologia fascista annunciata come “battaglia alle paludi”, consisteva nel prosciugamento delle paludi malariche, nel controllo del regime delle acque e nel livellamento delle depressioni in cui si raccoglievano le acque stagnanti. Per eliminare i focolai di anofeli si utilizzavano larvicidi, come il piretro e il petrolio, e in particolare il Verde di Parigi, prodotto di sintesi a base di arsenico usato dai primi anni Venti e si introduceva nei canali di irrigazione e negli acquitrini la specie Gambusia affinis, pesci d’acqua dolce, originari del Golfo del Messico, che si nutrivano di larve. Tentativi di lotta biologica contro la zanzara adulta si esperivano con l’uso di pipistrelli come regolatori naturali: in Sardegna e in particolare nell’Agro Pontino i pipistrelli venivano allevati all’interno di speciali costruzioni note come “pipistrellai”, torri di legno o di cemento alte sino a 15 metri montate su palafitte. Ancora contro la zanzara adulta si irroravano fumigazioni con fiori di piretro e radici di crisantemo e di valeriana. Una volta stabilite le condizioni preliminari, la fase successiva fu la colonizzazione delle terre e l’applicazione di una coltivazione intensiva. La bonifica igienica, finalizzata a proteggere i coloni dall’infezione, recuperava poi l’insieme di misure dispiegate nel periodo giolittiano: la profilassi e la cura con il chinino, la protezione meccanica delle nuove case coloniche.

La realizzazione di questa grande opera pubblica fu anzitutto l’esempio della capacità propagandistica del regime. Escluso questo esperimento localizzato, su scala nazionale la politica fascista registrava il successo di una riduzione della mortalità dovuta a malaria, risultato conseguito di fatto grazie agli interventi di profilassi dell’Italia liberale e ai progressi della scienza medica. La curva della mortalità era infatti cominciata a scendere, dopo la battuta d’arresto della Prima Guerra Mondiale, sin dal 1922. Gli anni Trenta videro poi una “meridionalizzazione” della malattia, la cui conoscenza fu oscurata dalla propaganda sulle terre pontine la cui bonifica veniva suggellata con la costruzione di cinque città modernistiche: Littoria, Pontinia, Sabaudia, Acilia e Pomezia. Un esperimento simile ma più ben più tardivo veniva iniziato anche nel Sud Italia, nel Metaponto, in particolare nella piana di Pisticci, zona malarica – escluso il periodo felice delle colonie della Magna Grecia – sin dalla conquista romana e dalla affermazione del latifondo; qui nel 1938 l’ingegnere Orazio Lepore veniva incaricato della bonifica locale, opera interrotta probabilmente dalla partecipazione al Secondo Conflitto Mondiale da parte dell’Italia fascista. La piana di Pisticci fu comunque luogo della politica rurale del regime, con il progetto di creazione della Colonia Confinaria di Marconia, che svolgeva la doppia funzione di allontanare  gli oppositori al regime dai luoghi della politica e di ottenere una manodopera a bassissimo costo per la bonificazione.  L’Italia meridionale e insulare, con la Sardegna in testa, restava ancora piagata dall’infezione. In generale la curva della morbilità registrava solo un debole miglioramento. Il successo delle bonifica pontina sarà poi ridimensionato dalla Seconda Guerra Mondiale, per la pericolosa alleanza con la Germania Nazista, che proprio in queste terre mise in atto la prima guerra biologica della storia d’Europa.

  




Petrolizzazione di un focolaio anofelico effettuata da un aviere (Foto Archivio Guido Casini)

 


Idrovora di Mazzocchio, fronte della vasca di arrivo. Al  momento della sua inaugurazione, nel 1934, era la pompa ad elica più potente d'Europa. A pieno regime poteva pompare fino a 42.000 litri d'acqua al secondo.
(Foto Consorzio di Bonifica dell'Agro Pontino).

 


Gambusia affinis
(http://it.wikipedia.org/wiki/Immagine:Mosquitofish.jpg)

 





Una "Maestranza antimalarica" di bambini della scuola (in divisa da Balilla) effettua la pesca delle gambusie in un vivaio).
(Foto Archivio Guido Casini)

 



Diserbo dei canali in Agro Pontino durante gli anni trenta (Foto Archivio Guido Casini)

 


Case coloniche dell'Opera Nazionale Combattenti (O.N.C.) in Agro Pontino tra il 1930 e il 1936. (Foto Consorzio di Bonifica dell'Agro Pontino).

 


Lezione didattica antimalarica nel 1932 in Agro Romano: esercitazioni di prelievo di sangue (Foto Archivio Guido Casini)

 


Lezione didattica sulla fumigazione e ed esercitazione di una "maestranza antimalarica".
(Foto Archivio Guido Casini)