La malaria

Torna all'indice



Sanità pubblica: politiche e istituzioni


Le scoperte di fine Ottocento sulle eziologia della malaria motivarono la nascita in Italia di molte enti, pubblici e non, per lo studio della malattia e per la ricerca di metodi per debellarla. L’archiviazione della teoria miasmatica portò con sé un ampliamento delle strategie di lotta all’infezione che non si fermarono alle opere di bonifica idraulica; la scoperta del ciclo di trasmissione – plasmodio zanzara uomo – portò anzitutto a concepire la cura del malato e la prevenzione del contagio dell’uomo come una delle priorità per arrestare la diffusione della malaria. In quest’ottica l’azione della Società per gli Studi della Malaria voluta da Angelo Celli, che la fondò insieme a Giustino Fortunato e Leopoldo Franchetti nel dicembre 1898, proprio in concomitanza con la dimostrazione del meccanismo di trasmissione. Contribuirono all’operato dell’associazione, secondo le linee di Celli che ne era direttore, non solo i più importanti malariologi italiani, ma anche politici e intellettuali. Un ulteriore contributo che permise l’esistenza della Società per gli Studi della Malaria fu offerto da varie istituzioni economiche, che la sostennero in parte con finanziamenti. L’azione della Società fu tesa sul piano della ricerca a indagini epidemiologiche, studi sull’entomologia del vettore,  e sulla chimica e la farmacodinamica per i preparati chininici. Si impegnò inoltre nella sperimentazione di vari mezzi di lotta alla zanzara. Per un’educazione antimalarica come principale strumento per combattere la malattia, la Società realizzò e diffuse opuscoli e materiale informativo, promosse conferenze e incontri di studio, nonché premette in ambito governativo affinché fossero realizzati programmi scientifici e finanziari per la lotta alla malaria. Il lavoro sul campo fu contraddistinto dalla collaborazione con la Croce Rossa e con le amministrazioni locali interessate dalle campagne antimalariche. Di rilievo la fondazione della Stazione Sperimentale nella tenuta della Cervelletta, nel 1899. Gli sforzi nei vari ambiti, dalla ricerca all’attività antimalarica, furono registrati negli Atti della Società per gli Studi della Malaria, materiale pubblicato dal 1899 al 1914, anno che vide la morte di Angelo Celli e la fine dell’esperienza della associazione. L’opera della Società per la promozione e l’applicazione delle leggi sul Chinino di Stato suscitò reazioni negative di farmacisti e proprietari terrieri, nonché nell’ambito della stessa sanità pubblica, che istituì tra il 1906 e il 1909 una specifica commissione per studiare le possibilità e le capacità effettive del chinino. I risultati di tale indagine furono raccolti nella Relazione dell’onorevole Nicola Badaloni alla Direzione Generale di Sanità, presentata il 12 agosto 1909. Di fatto essa rappresentò un vero e proprio attacco alle teorie di Celli sul chinino, di cui si mettevano in dubbio la capacità di ridurre la mortalità malarica e la presunta innocuità dell’assunzione profilattica. Nasceva allora nell’ottobre 1909 a Milano la Lega Nazionale contro la Malaria, per volontà di Camillo Golgi e Guido Baccelli e con la partecipazione di Battista Grassi, che tornava a promuovere principalmente le opere di bonifica idraulica delle zone paludose. La Relazione Badaloni comportò nel lavoro sul campo un cambiamento della strategia di intervento, vale a dire il progressivo abbandono dell’uso del chinino come profilassi degli abitanti delle zone malariche che tuttavia risultavano asintomatici – linea questa seguita da Angelo Celli – per un suo utilizzo solo come terapia del malato, secondo le posizioni di Grassi. La Società per gli Studi della Malaria riprese le sue attività nel 1926, per volere di Ettore Marchiafava che la ricostituì grazie al contributo dell’organizzazione filantropica americana Rockefeller Foundation. L’operato della Società, ora sotto la direzione del principe Gelasio Caetani, fu incentrato nel periodo tra le due guerre su indagini epidemiologiche e su ricerche circa i metodi di lotta alla malaria. Pubblicò tra il 1927 e il 1945 la Rivista di Malariologia, poi assorbita dall’Istituto di Malariologia “E. Marchiafava”. I contatti presi dal 1922 dal governo italiano con la Rockefeller Foundation aprirono a un nuovo approccio metodologico e concettuale della lotta alla malaria. Nel 1925 veniva fondata la Stazione Sperimentale per la Lotta Antimalarica, diretta da un rappresentante dell’organizzazione americana Lewis W. Hackett e dal malariologo italiano Alberto Missiroli, precedentemente impegnato nella direzione della Scuola di Malariologia di Nettuno. L’istituzione ebbe sua sede centrale a Roma, e sedi dipendenti nell’Agro Romano, a Fiumicino, in Calabria, in Sardegna, nel Ferrarese e nella regione di Istria. L’intervento della Rockefeller virò l’azione antimalarica verso interventi antilarvali e poi antianofelici, tramite la sperimentazione del Verde di Parigi (un acetoarseniato di rame), di cui venne dimostrata l’efficacia nei focolai di zanzare di piccole dimensioni, quali pozze, canali, fossati. Questa istituzione operò per una decina di anni, sino a quando la Rockefeller non interruppe la sua azione in Italia, nel 1934. Ancora all’organizzazione filantropica americana si dovette un grande contributo – finanziario, di un milione di dollari – alla costruzione nel 1929 dell’Istituto di Sanità Pubblica, il futuro Istituto Superiore di Sanità. L’Istituto, creato e disciplinato nel 1934, contemplava la presenza di un Laboratorio di Malariologia, che raccolse di fatto lo staff della Stazione Sperimentale, e la cui direzione fu affidata ad Alberto Missiroli. Il Laboratorio si accertava della morte per perniciosa malarica attraverso l’analisi di campione di sangue, opera fondamentale non solo ai fini della statistica ma ancor più laddove si trattava di morte di lavoratori soggetti all’obbligo dell’assicurazione sanitaria, ragione per cui si rivelava di imperativa importanza risalire alle responsabilità. Il Laboratorio di Malariologia collaborò anche alla ricerca sulla malarioterapia nei malati di paralisi progressiva; in particolare nell’ambito della malarioterapia inviò tra il 1941 e il 1956 gli anofeli malarici allevati nell’Istituto a vari ospedali psichiatrici. Il Laboratorio fu ovviamente impegnato nell’attività di ricerca, in primo luogo dei ritrovati per una terapia della malaria e dei prodotti antilarvali utilizzati nelle opere di piccola bonifica, nonché nel lavoro sul campo, in Italia e in Albania, per il controllo delle Stazioni Sperimentali esistenti e delle zone di bonifica. Lo stesso Missiroli fu a più riprese direttore degli studi e della profilassi in varie aree del delta del Tevere e commissario straordinario del Comitato Provinciale Antimalarico di Latina. Prendeva vita nel 1927 un nuovo ente per la ricerca antimalarica: la Scuola Superiore di Malariologia di Roma.  Il disegno della Scuola trovò il suo concepimento nel 1925, nell’ambito del Primo Congresso Internazionale della Malaria, tenutosi a Roma, occasione in cui si avanzò la necessità di un istituto internazionale di malariologia, secondo quanto suggerito dalla Società delle Nazioni. Per quanto non accolta la proposta fu assunta e convertita dal governo italiano nell’istituzione di questa scuola, che ebbe sede a Roma, proprio perché essendo la città di fatto in zona endemica si poteva coniugare a un insegnamento teorico una pratica sul campo. Le linee direttrici della Scuola Superiore di Malariologia erano fortemente influenzate dalla visione contemporanea sulla lotta alla malaria, che all’opera di chinizzazione affiancava un’enfasi sul risanamento definitivo delle zone paludari. Diretta inizialmente dal clinico Vittorio Ascoli, cui seguì nel 1931 Giuseppe Bastianelli, la Scuola vedeva nel suo consiglio direttivo anche la rappresentanza della Croce Rossa. Collaborava inoltre con la Stazione Sperimentale per la Lotta Antimalarica, il cui lavoro era incentrato sugli aspetti pratici e teorici della malaria come problema di pubblica sanità. La Scuola Superiore di Malariologia, aperta a studenti non solo italiani, si occupava di clinica, patologia e ricerca medica. Nel 1933 la Scuola divenne Istituto di Malariologia, finalizzato alla formazione di malariologi, in cui si praticava attività di ricerca scientifica (nell’ambito della clinica, della patologia, dell’epidemiologia, della parassitologia) e dei metodi di lotta alla malaria, attraverso esperimenti di profilassi e terapia sull’uomo e la ricerca di nuovi preparati farmaceutici. L’Istituto godeva anche dei ripetuti contatti con gli studiosi stranieri di malaria, tenendo al proprio interno periodici corsi internazionali, che ebbero luogo anche dopo l’espulsione del 1939 dell’Italia dalla Società delle Nazioni. Nella sede dell’Istituto vi era anche una sezione destinata ai malati di malaria e di altre patologie parassitarie di interesse per lo studio sulla malaria e della malarioterapia. Negli anni del colonialismo italiano l’Istituto condusse le sue ricerche anche in Albania e in Africa Orientale, istituendo e dirigendo Stazioni Sperimentali. Di profilo differente un altro ente pubblico creato negli anni Venti: l’Istituto interprovinciale antimalarico per le Venezie, modello per gli enti antimalarici periferici degli anni Trenta. L’Istituto infatti si distingueva per il carattere regionale – laddove vigeva in Italia una concezione dell’amministrazione o provinciale o nazionale -  e la specificità dell’ambito d’azione. Riconosciuto come ente morale nel 1923, l’Istituto operò inizialmente nella provincia di Venezia, in collaborazione con il Magistrato delle Acque, organo periferico locale del Ministero dei Lavori Pubblici, ma di fatto aspirando ad intervenire in tutte quelle terre che in quanto teatro di guerra nel Primo Conflitto Mondiale avevano subito una recrudescenza della malaria. Fu di fatto finanziato da contributi volontari di enti e proprietari terrieri; nel 1927 una serie di provvedimenti legislativi autorizzavano l’Istituto a sostituirsi allo Stato nel compito di assistenza sanitaria e di profilassi nelle aree di bonifica del territorio veneto. L’efficienza dimostrata dall’Istituto nelle campagne antimalariche, che portarono in circa dieci anni all’estinzione della malattia in Veneto,  fu presa a paradigma per i Comitati Provinciali Antimalarici, istituiti a partire dal 1929, e obbligatori dal 1933 nelle province con malaria endemica.





 

Gli allievi del Corso di Malariologia del 1927 presso lo Stabilimento Idrovoro di Caronte in Agro Pontino.
(Foto Archivio Guido Casini)

L'edificio dell'Istituti di malariologia "Ettore Marchiafava" inaugurato nel 1937 all'interno del Policlinico Umberto I.

   
     

La costruzione dell’Istituto di Sanità Pubblica (1933) dal sito www.iss.it