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Il Congresso Internazionale dei Fisici di Como (1927)
   

Dall’11 al 20 settembre del 1927, anno V° dell’era fascista, si tenne a Como il Congresso Internazionale dei Fisici, promosso per celebrare il centenario dalla morte di Alessandro Volta. Il 17 settembre i congressisti si riunirono a Pavia, nell’aula universitaria dove aveva insegnato Volta e dove H.A. Lorentz pronuncerà il discorso commemorativo; il 19 furono invitati a Roma dal Governo di Mussolini, dove, al Campidoglio, Marconi terrà il discorso per la commemorazione nazionale di Volta e, a Villa Torlonia, Mussolini esprimerà ai convenuti "il suo compiacimento che l’idea italiana e romana, che anche in Volta è rappresentata ed ispira il governo fascista, abbia trovato in quest’occasione tanta rispondenza tra così cospicue intellettualità di ogni nazione" (Atti del Congresso, Introduzione, p. IX).

Il convegno non aveva precedenti per il numero di invitati illustri, tra i quali 12 premi Nobel, e per l’organizzazione grandiosa. Di convegni internazionali altrettanto importanti se ne erano svolti in Europa in quegli anni solo 2 su patrocinio dell’industriale belga E. Solvay, nel 1921 sul tema atomi ed elettroni, e nel 1924 sulla conducibilità dei metalli. Il congresso italiano sembrava tuttavia superarli tutti: vi parteciparono infatti 61 scienziati di 14 nazioni, tra le quali anche la Germania e l’Austria, di nuovo ammesse nei consessi scientifici internazionali dopo il Boykott decretato contro la deutsche Wissenschaft da parte delle accademie interalleate. Tra i fisici invitati intervennero:

F. Ehrenhaft (Austria); N. Bohr (Danimarca) (Nobel 1922); dalla Germania: M. Born (che vincerà il Nobel nel 1954), J. Franck (Nobel 1925), W. Gerlach, M. von Laue (Nobel 1914), F. Paschen, W. Pauli (che vincerà il Nobel nel 1945), M. Planck (Nobel 1918), A. Sommerfeld, W. Heisenberg (che vincerà il Nobel nel 1932); dall’India: D.M. Bose; dall’Inghilterra: F.W. Aston (Nobel 1922), W.L. Bragg (Nobel 1915), A.S. Eddington, O.W. Richardson (Nobel nel 1928), E. Rutherford (Nobel 1909); dalla Francia M. Brillouin, M. de Broglie; dall’Olanda H.A. Kramers, H.A. Lorentz (Nobel 1902), P. Zeeman (Nobel 1902); dalla Russia J. Frenkel; dagli USA: A.H. Compton (Nobel 1927); I. Langmuir; R.A. Millikan (Nobel 1923); altri convegnisti provengono dalla Svizzera, Canada e Spagna.

Nella delegazione italiana era presente tutto l’establishment della fisica-matematica italiana (T. Levi Civita, C. Somigliana, P. Straneo, V. Volterra), e della fisica sperimentale (A. Amerio, M. Cantone, O.M. Corbino, A. Garbasso, G. Gianfranceschi, G. Giorgi, M. La Rosa, A. Lo Surdo, Q. Majorana); era presente anche Fermi che aveva appena vinto la cattedra di Fisica Teorica a Roma nel 1926, ma con un ruolo scientifico ancora secondario. Presidente onorario del "Comitato esecutivo per le onoranze a A. Volta" era stato designato Marconi. Fra i vice-presidenti, oltre a politici e industriali locali, gli scienziati che avevano un ruolo rilevante furono Quirino Majorana (Bologna) e Giancarlo Vallauri (Torino), presidente dell’Associazione Elettrotecnica Italiana.

Q. Majorana, l’erede di Righi, esponente della vecchia guardia dei fisici sperimentali italiani e presidente della Società Italiana di Fisica, giocò in questa occasione il ruolo scientifico-organizzativo che sarà di Fermi nel congresso del 1931.

Il convegno, nonostante il programma deciso da Majorana destini i 4/5 del tempo alle celebrazioni voltiane e alla fisica classica, si rivelerà importantissimo dal punto di vista scientifico. L’ultimo giorno, dedicato a "Le teorie sulle strutture della materia e sulle radiazioni", Bohr presenterà infatti una relazione che cambierà profondamente la fisica. Il fisico danese e con lui Heisenberg, Born, Pauli e Kramers, utilizzeranno infatti Como per presentare la meccanica delle matrici e soprattutto, in anteprima mondiale, uno dei cardini dell’interpretazione "ortodossa" di Gottinga-Copenhagen, il principio di complementarietà sul dualismo onda-corpuscolo, che susciterà solo un mese dopo, alla Quinta conferenza Solvay, un duro scontro tra probabilisti e realisti. Senza l’intervento di Bohr in coda al programma dei lavori, il convegno di Como sarebbe stato ricordato più come un evento celebrativo, dall’organizzazione faraonica, che per i temi specialistici dibattuti.

Il ruolo del congresso poteva in realtà avere anche altre chiavi di lettura: sul piano politico doveva decretare ufficialmente l’ingresso dell’Italia tra le potenze mondiali a testimoniare l’avvenuto "sviluppo scientifico ed il rinnovamento spirituale dell’Italia Fascista". Per Mussolini l’evento doveva offrire infatti una opportunità da non perdere per ottenere consenso e adesione alla politica scientifica del fascismo, sia all’interno del Paese sia soprattutto all’estero. Sul piano accademico, Majorana tentò di rafforzare la vecchia guardia dei fisici sperimentali, costruendo un programma dei lavori quasi tutto mirato sulle ricerche in spettroscopia. La nuova generazione dei fisici, Fermi e i suoi a Roma in prima linea, per ora stava dietro le quinte, ma fermamente intenzionata a realizzare i suoi programmi scientifici. Sul versante del potere istituzionale, infine, a Marconi, la personalità scientifica più illustre del paese, Mussolini stava per consegnare (almeno formalmente) il passaggio di potere effettivo sulla comunità scientifica. Marconi divenne infatti, con la presidenza del CNR nel 1928 e della Accademia d’Italia poi, il raccordo politico fra il regime e la comunità scientifica anche a livello internazionale.

Il passo decisivo intrapreso dal regime alla conquista dell’impresa scientifica avvenne nel 1929 con la creazione della Reale Accademia d’Italia, contrapposta intenzionalmente all’Accademia dei Lincei, ultima roccaforte degli spiriti liberi (nel 1939 questa creatura artificiale del regime assorbirà addirittura i Lincei per poi colare a picco nel 1944). Lo stesso capo del governo controllerà e approverà personalmente la lista degli scienziati membri dell’Accademia d’Italia: tra questi, Fermi venne nominato il 18 marzo del 1929 e dovette aderire subito dopo al partito fascista. Nel 1930 Marconi venne nominato Presidente della Reale Accademia d’Italia. La nomina fu imposta da Mussolini, il quale, in deroga a una legge dello stato che proibiva la compatibilità tra la carica di accademico e quella di membro del senato (Marconi era divenuto senatore per nomina reale dal 1914), volle a ogni costo Marconi che così diventò d’ufficio anche membro del Gran Consiglio del Fascismo.

L’elezione di Marconi, divenuto ormai un mito vivente presso l’opinione pubblica e sicuramente stimato per i suoi meriti pregressi dalla comunità scientifica nazionale e internazionale (ricordiamo che gli era stato assegnato il Nobel nel 1909) non stupisce. Anzi si può dire che Marconi costituisse l’asso nella manica per il regime poiché riuniva in sé le tre categorie nodali dell’esser scienziato, patriota e fascista. La nomina di Marconi a presidente dell’Accademia d’Italia, verrà così commentata dal suo vicecancelliere, Antonio Bruers:

"Marconi personifica il genio che maggiormente occorre oggi all’Italia. La nostra nazione attende che la scienza possa riscattarla dalla dipendenza economica in cui la povertà di materie prime la colloca verso le altre nazioni.[...] Da questo punto di vista il compito della scienza si trasforma in una missione sociale, nazionale e, nel senso più alto della parola, anche politica.

La caratteristica del genio di Marconi spiega come questo scienziato si sia sempre manifestato sensibile alle espressioni politiche della nazione. Le fasi di ascesa dello stato: guerra libica, intervento nel conflitto mondiale e fascismo, lo trovano partecipe immediato e militante.

Mentre troppi intellettuali si lasciano deviare o trattenere da teorie filosofiche, da dubbi storici, da una mentalità che concepisce la scienza come un universale antipolitico, Marconi aderisce, con sicura coerenza al logico svolgersi della vita nazionale, guidato da un istinto politico che si immedesima con la natura stessa del suo istinto scientifico".