Capitolo I - Verso l’unificazione politica |
Solitamente la ripresa della matematica
italiana viene fatta coincidere con la data emblematica del 1860, cioè con l'avvenuta unificazione del Paese. Si tratta di una tesi particolarmente cara a un matematico di cui avremo spesso occasione di parlare, Vito Volterra (1860-1940), che in una manifestazione significativa quale l'inaugurazione del IV Congresso Internazionale dei matematici svoltosi a Roma nel 1908, presenta un Paese che con il Risorgimento si è formato anche una chiara coscienza della molteplicità delle direzioni in cui deve procedere. Il suo sviluppo non sarà affidato solo ai soldati e alle strade ferrate: “nessuna meraviglia dunque se, nel seguire lo svolgimento delle scienze, si osserva una trasformazione improvvisa nel pensiero italiano, dovuta al rapido suo progredire e diffondersi, ed ai nuovi caratteri di cui si riveste e si arricchisce negli anni che seguono il periodo del risorgimento politico.”1
Gli stessi accenti si colgono in molte altre ricostruzioni storiche, ad esempio in quelle che Giuseppe Lauricella (1867-1913), Tullio Levi-Civita (1873-1941) ed Ugo Amaldi (1875-1957) fanno rispettivamente nel campo dell'Analisi, della Fisica matematica e della Geometria negli “Atti” della quinta riunione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze nel 1911, in occasione delle celebrazioni del primo cinquantenario dell'Unità2. L'ideologia che le ispira è trasparente. La contrapposizione secca tra la fiorente situazione post-unitaria ed i languori dei decenni precedenti esprime una profonda fede politica nel nuovo stato nazionale e viene utilizzata per legittimare la sua costituzione, anche sul versante della politica scientifica, dove si fa carico del problema della modernizzazione del Paese e raccoglie e rilancia le istanze migliori. Prima “i nobili sforzi di uomini egregi – sono ancora parole di Volterra – riuscivano il più sovente infruttuosi perchè mancanti di ogni connessione fra loro e perchè avversati spesso dai Governi del tempo pei quali l'ignoranza pubblica era valido sostegno al potere”. Ora invece non c'è più separazione fra i bisogni del Paese e le potenzialità espresse dalla comunità scientifica, tra il momento della decisione politica e la sua attuazione in sede amministrativa. Non c'è più alcun pericolo che si ripeta l’emblematico episodio del concorso a cattedra universitaria che nel 1835 aveva coinvolto in Toscana un cultore di diritto ecclesiastico ed un algebrista. Entrambi vinsero il concorso ma, per un banale errore, il matematico fu nominato professore di diritto mentre il giurista ebbe la cattedra di algebra. E a nulla valsero, contro la burocrazia, le loro proteste. Il matematico allora rinunciò all'insegnamento, a differenza del giurista cui dunque fu affidata la preparazione algebrica delle nuove generazioni. La tesi della (quasi) improvvisa rinascita che il 1860 avrebbe generato anche in campo matematico contiene evidenti approssimazioni. È possibile riassumere in un'unica valutazione negativa tutti i decenni pre-unitari? È possibile trascurare la diversità delle varie situazioni regionali? È possibile, ancora, dimenticare il livello ed il ruolo dei Congressi degli scienziati – il primo si era tenuto a Pisa nel 1839 – che preparano e favoriscono la diffusione e l’omogeneizzazione della cultura matematica affrontando i non pochi ostacoli, del resto facilmente immaginabili, che si frappongono alla comunicazione scientifica su tutta la penisola? No, non è possibile: la matematica italiana post-unitaria non nasce dal nulla, ma collocare la rinascita matematica all’interno di quella più generale, politica, del Paese, ha la funzione di sottolineare la discontinuità con il passato e il raggiunto pareggiamento con le situazioni europee più avanzate. Conviene dunque prendere le mosse da queste per esaminare poi, in modo necessariamete sommario, la situazione italiana.
All’alba del XIX secolo è Parigi, incontestabilmente, il polo mondiale dell’attività matematica (e più in generale scientifica). Dopo la morte di Eulero (1707-1783), i matematici più famosi sono Joseph Louis Lagrange (1736-1813). Gaspard Monge (1746-1818), Pierre Laplace (1749-1827), Adrien-Marie Legendre (1752-1833) e Joseph Fourier (1768-1830). Sono tutti francesi (sostanzialmente anche Lagrange, nato a Torino, ma passato presto a Berlino e poi a Parigi nel 1787). Monge entra in scena quasi contemporaneamente a Carnot. Figlio di un arrotino, accoglie la Rivoluzione con entusiasmo. Divenuto un dirigente giacobino, nel 1792 è ministro della Marina (fino all’aprile del 1793). Dopo la creazione dell’Ecole Polytechnique e dell’Ecole Normale, nel corso di una missione in Italia, fa la conoscenza di Napoleone che accompagna nel 1798 nella campagna d’Egitto e con il quale rientra a Parigi nel 1799. Tre settimane dopo il colpo di Stato del 18 Brumaio (9 novembre 1799), Monge è nominato membro dell’appena istituito “Senato conservatore”, diviene conte ed esercita anche la carica di presidente del Senato. Il favore costante che gli aveva sempre accordato Napoleone, si ritorce ovviamente contro Monge: nel 1816 viene escluso dall’Institut (assieme a Carnot) e riceve il colpo più duro con la momentanea soppressione della sua Ecole Polytechnique. Roso dal dispiacere, morirà due anni dopo. Laplace, al contrario, si adatta ai regimi successivi con una facilità che rasenta il servilismo. Già membro dell’Accademia delle Scienze dal 1785, diviene con la Rivoluzione presidente del Bureau des Longitudes e uno degli organizzatori del Politecnico e dell’Ecole Normale. Quando il suo antico allievo Bonaparte prende il potere, Laplace gli manifesta una grande devozione e si ritrova ministro dell’Interno (1799), carica che gli viene tolta dopo sei mesi di “eccentricità”3. Secondo Napoleone, “Laplace non coglieva alcuna questione nel suo vero punto di vista; cercava sottigliezze dappertutto, aveva solo idee problematiche, e infine portava lo spirito degli infinitesimi finanche nell’amministrazione”. E tuttavia Laplace si ritrova cancelliere del Senato nel 1803, dedica il terzo volume della sua Mécanique celeste all’imperatore con termini di vera piaggeria, ma vota nel 1814 la decadenza di Napoleone e offre subito i suoi servigi a Luigi XVIII, entrando così alla “Camera dei pari” (nuova denominazione del Senato) e nominato marchese nel 1817 (quando Monge piombava nella disperazione). Lagrange era stato nominato senatore contemporaneamente a Monge e conte dell’Impero nel 1808, come la maggior parte degli alti dignitari. Modeto e discreto, non sembra aver giocato un ruolo politico attivo. Il suo passato consigliava d’altra parte prudenza: si era stabilito a Parigi nel 1787, alla vigilia della Rivoluzione, ed era stato come gettarsi in pasto ai lupi, perché un decreto del settembre 1793 prevedeva l’arresto di tutti gli stranieri nati in paesi nemici e la confisca dei loro beni. Solo grazie all’intervento del chimico Lavoisier e del matematico Lakanal Lagrange non aveva subito gravi danni e poco dopo entrava nel Bureau des Longitudes e nel corpo docente delle grandi Ecoles (Politecnico e Normale). La sua morte nel 1813 gli evitò di dover prendere posizione nei confronti della Restaurazione. Nato a Auxerre, Fourier diviene nel 1789 docente presso la Scuola militare di quella città. Arrestato nel 1794 per aver preso la difesa di vittime del Terrore, è liberato dopo la caduta di Robespierre, poi diviene un collaboratore di Lagrange e Monge al Politecnico. Al suo rientro dalla spedizione in Egitto (1801), Napoleone lo nomina prefetto del dipartimento dell’Isère, dove resta fino alla fine dell’Impero ed è anche nominato prefetto del Rodano durante i “cento giorni”, ma si dimette per la durezza del regime e rientra a Parigi. Malgrado un sordo rancore di Luigi XVIII e l’ostilità di Simenon Denis Poisson (1781-1840), nel 1817 entra all’Accademia delle Scienze e nel 1822 ne diviene Segretario “perpetuo”. Un’altra bella figura è quella di Legendre. Di carattere timido e riservato, si tiene lontano dalla politica. Il suo unico intervento su tale terreno è una protesta, nel 1824, contro l’intrusione dei pubblici poteri nel funzionamento dell’Accademia delle Scienze, a proposito di una elezione. Viene punito con la perdita di una “pensione” di 3.000 franchi, equivalente a un semi-stipendio, di cui godeva fin dal 1815. Chiudo questa rassegna con il caso di Evariste Galois (1811-1832), nella cui brevissima vita la politica ha giocato un ruolo devastante. Durante la rivoluzione del 1830, alcuni propositi violenti esposti in pubblico, comprese le minacce di morte per il nuovo sovrano, lo hanno condotto in carcere per dieci mesi e la prigionia ha accentuato la rivolta di Galois contro la società. Il duello per una “infame civetta” (coquette) nel quale troverà la morte è per alcuni il risultato di una macchinazione del potere, ma le circostanze sono troppo oscure per aderire senz’altro a tale interpretazione. Stéphanie, l’infame civetta, si chiamava verosimilmente Stéphanie Dumotel. La vigilia di questo duello fatale, cioè il 29 maggio 1932, Galois scrive in una lettera “a tutti i repubblicani”: «Muoio vittima di una infame civetta e di due suoi inganni”. E in un’altra lettera dello stesso giorno (sono tre le lettere scritte, tra cui il suo testamento scientifico per il quale è giustamente famoso): «Sono stato provocato da due patrioti ... mi è stato impossibile rifiutare».
Dopo aver prodotto alcuni matematici di talento come J. Kepler (1571-1630) e G.W. Leibnitz (1646-1716), la Germania, nel corso del XVIII secolo, era sprofondata nella mediocrità. La fondazione dell’Accademia di Berlino, voluta da Federico II nel 1745, aveva tuttavia permesso che L. Euler (1707-1783) prima e il nostro Lagrange successivamente vi si trattenessero per più di un ventennio ciascuno (1741-1766 e 1766-17687 rispettivamente). Dopo la morte di Federico II (1786), Berlino ricade nel torpore ed è da un’altra città che provengono segnali di rinnovamento: Gottinga, nello Stato di Hannover (annesso dalla Prussia nel 1866). Quando nel 1795 vi arriva da Brunswick (Braunschweig) il giovane Carl Friedrich Gauss (1777-1855), l’università di Gottinga si era già organizzata per dare uno spazio maggiore all’insegnamento scientifico: vi insegnano così il fisico Georg Cristof Lichtenberg 81742-1799), l’astronomo Carl Felix Seyffer (1762-1822) e il matematico Abraham Gotthelf Kästner (1719-1800), di cui Gauss non nutriva grande stima, ma che possedeva tuttavia grande esperienza ed estesa cultura (anche storica). Nel 1798 Gauss lascia Gottinga senza un diploma e l’anno successivo sottomette la sua tesi di dottorato all’Università di Helmstedt, una piccola città più vicina di Gottinga alla nativa Braunschweig. Il suo relatore era Johann Friedrich Pfaff (1765-1825), matematico di buon livello. Nella tesi di Gauss viene dimostrato in maniera rigorosa, almeno secondo i canoni di rigore del periodo, che un polinomio di grado n ammette n radici generalmente complesse (teorema fondamentale dell’algebra). Tale teorema è di estrema importanza in matematica e vantava numerose dimostrazioni già ai tempi di Gauss. Nell’ultimo periodo della sua attività scientifica Gauss si dedicò con particolare entusiasmo alla fisica: nel 1833 con Wilhelm Weber (1804-1891) costruì un telegrafo elettromagnetico e nello stesso anno a Gottinga fu costruito un Osservatorio magnetico, mentre è di poco più tardi (1836) la fondazione, ancora con Weber, della Società per il Magnetismo, che aveva lo scopo di coordinare le osservazioni magnetiche terrestri provenienti da tutto il mondo. Il lavoro fatto nell’ambito della Società fu davvero notevole: sei grossi volumi contenenti i risultati geomagnetici (dal 1836 al 1841), un monumentale Atlante di geomagnetismo, vari strumenti inventati appositamente per effettuare rilevamenti più precisi. Gauss in particolare introdusse una nuova unità di misura per il magnetismo (il gauss) e pubblicò ponderosi e innovativi lavori sul magnetismo terrestre. Piuttosto chiuso nella sua attività scientifica – Niels Henrik Abel (1802-1829) lo definì «inavvicinabile» – Gauss era impermeabile perfino agli sconvolgimenti politici di quegli anni. Quando si trasferì a Gottinga, nel 1807, la dominazione francese gli era certamente odiosa e appoggiò con entusiasmo la restaurazione del vecchio Stato di Hannover (1814), da molti definito come il più conservatore di tutta la Germania. Gauss non partecipò neppure a una grave vicenda che si svolse proprio all’Università di Gottinga e ebbe anche ripercussioni drammatiche sulla sua famiglia. In conseguenza ai moti liberali del 1830 in Francia, re Guglielmo di Hannover decise nel 1833 di varare una nuova Costituzione molto più liberale della precedente, ponendo finalmente il Regno di Hannover in linea con gli altri stati della Confederazione tedesca. Ma nel 1837 re Guglielmo morì e il suo successore, Ernst August Duca di Cumberland, reinstaurò la vecchia Costituzione del 1819. La reazione dei professori dell’Università di Gottinga fu immediata; sette di loro, tra i quali i fratelli Grimm, il collega di Gauss W. Weber e suo genero, il teologo e linguista Georg Heinrich August von Ewald (1803-1875), firmarono una protesta formale contro il re in cui dichiararono la loro lealtà alla Costituzione del 1833. Il re decise allora di sospendere i sette dall’insegnamento e inviò a Gottinga una forte unità militare al fine di evitare disordini. Tutta la Germania si schierò con i sette professori i quali non ebbero difficoltà a trovare nuove posizioni in altre Università tedesche. Gauss non si schierò mai in favore dei sette! Subito dopo Gottinga, è a Berlino che dobbiamo rivolgere la nostra attenzione. Nel 1810, quando ancora la Prussia era sotto il dominio napoleonico, vi viene fondata una università secondo le concezioni del ministro dell’educazione Wilhelm von Humboldt (fratello del naturalista Alexander) che prevedono specialmente i “Seminari”, dove parecchi scienziati discutono insieme i risultati su uno stesso tema di ricerche. L’attività più originale di Jacobi, come matematico e come insegnante, fu comunque svolta all’Università di Königsberg dove rimase per diciassette anni e organizzò, insieme al fisico Franz Neumann (1798-1895), il celebre Seminario matematico e fisico dove venivano discussi i più recenti risultati, presentati i temi delle proprie ricerche e stimolati gli studenti a uno studio autonomo e originale. Come si è già anticipato, i Seminari rappresentavano un’esperienza nuova nelle Università tedesche. Il fisico Carl Neumann (1832-1925), e i geometri Alfred Clebsch (1833-1872) e Heinrich Weber (1842-1913) si formarono partecipando attivamente a questo Seminario. Dunque a partire dal 1844, grazie alla contemporanea presenza di Dirichlet, Steiner e Jacobi, a Berlino erano degnamente rappresentate le principali discipline matematiche. Inoltre, fin dal 1826 esisteva a Berlino una delle riviste di matematica più prestigiose, il Journal für die reine und angewandte Mathematik,detto anche Giornale di Crelle dal nome del suo fondatore. Crelle era un ingegnere civile, praticamente autodidatta, con grande passione per la matematica su cui pubblicò vari lavori in differenti campi. Pur non essendo la prima rivista dedicata solo alla matematica, questo giornale aveva la caratteristica di essere completamente svincolato dalle Accademie e di accogliere articoli in varie lingue (francese, italiano e inglese oltre, naturalmente, al tedesco) e autori di ogni paese. Uno degli obiettivi di Crelle, condiviso da A. von Humboldt, era quello di creare a Berlino il punto di riferimento per la cultura tedesca, ossia un centro culturale di prima grandezza con «il primo osservatorio, il primo laboratorio di chimica, il primo giardino botanico, la prima scuola di matematica trascendentale», come sosteneva lo stesso A. von Humboldt; il Giornale di Crelle era anche un mezzo per raggiungere questo obiettivo. Numerosi articoli di Steiner, Jacobi, Dirichlet furono pubblicati su questo giornale; ma anche l’articolo di Lobachevskij sulla geometria non euclidea, il lavoro di Abel sulla impossibilità di risolvere per radicali l’equazione generale di quinto grado e altri articoli che hanno rappresentato tappe fondamentali nella storia della matematica dell’Ottocento sono stati pubblicati su questa rivista. I nomi dei matematici illustri che tenevano lezioni all’Università di Berlino richiamarono ben presto giovani di valore. Ne sono esempi emblematici Ferdinand Gotthold Max Eisenstein (1823-1852), Riemann e Carl Wilhelm Borchardt (1817-1880), noto soprattutto per essere diventato (dal 1856 fino al 1880) direttore del Journal für die reine und angewandte Mathematik dopo la morte di Crelle. Allievo di Dirichlet, Eisenstein si occupò principalmente di teoria dei numeri generalizzando alcuni risultati delle Disquisitiones Arithmeticae di Gauss, in particolare quelli relativi alla legge di reciprocità quadratica. Eisenstein era sopravvalutato moltissimo da Gauss il quale lo considerava un grande genio matematico, paragonandolo addirittura a Archimede e Newton. Come si è accennato, Berlino non è un caso isolato: molte altre università sono state create o riorganizzate, in questi primi decenni dell’Otocento, per favorire la ricerca, grazie al sistema dei Seminari e, per le scienze sperimentali, grazie ad una dotazione agli Istituti maggiore di quella francese. Per la matematica dobbiamo citare le università di Könisberg, Breslau, Halle, Bonn, Erlangen e, in misura minore, Iena, Wurzburg, Tubinga, Heidelberg e Monaco. Nella seconda metà del secolo, la Germania diviene gradualmente, per i matematici, un polo attrattivo più intenso della Francia. Quando, nel 1873, lo svedese Gösta Mittag-Leffler (1846-1927) si reca a Parigi si sente dire da Hermite: «Lei ha fatto un errore, avrebbe dovuto seguire i corsi di Weierstrass a Berlino. È il maestro di tutti noi!»4. E Mittag-Leffler segue il consiglio, senza rinunziare però a rivedere Parigi con una certa frequenza. Altri, come il già citato Steiner o la russa Sophie Kowalewski (1850-1891), vanno a studiare direttamente in Germania. Viceversa, diversi matematici tedeschi (Jacobi, Riemann, Klein, Hilbert) mantengono la tradizione del “pellegrinaggio” a Parigi, dove vengono sempre accolti con la massima cordialità da Charles Hermite (1822-1901). Lo svilippo della comunità matematica tedesca è accompagnato da alcuni contrasti che a volte si prolungheranno fino al secolo seguente. Uno di questi è la lotta per la supremazia tra Berlino e Gottinga. In quest’ultima città, la successione a Gauss è assicurata come si è visto da Dirichlet e successivamente da Riemann. Laureato a Gottinga, Riemann suscita in Gauss un inedito entusiasmo nel corso della discussione della sua abilitazione alla libera docenza nl 1854. Riemann ottiene però solo un posto di lettore, debolmente retribuito con 800 marchi all’anno. Diviene ordinario soltanto nel 1859, alla morte di Dirichlet, ma la sua salute delicata lo costringe a lunghi soggiorni in Italia e lo conduce ad una morte prematura, prima di compiere 40 anni. Nel frattempo Berlino ha conquistato il primato, soprattutto dopo la nomina di Weierstrass a professore ordinario (1864). Il disprezzo di Weierstrass per gli allievi di Dirichlet e Riemann non fa che accentuare l’eclissi di Gottinga fino all’arrivo di Felix Klein (1849-1925). Uscito brillantemente da Gottinga, non senza aver partecipato nel 1869-70 al seminario di Weierstrass a Berlino, Klein diviene professore ordinario nel 1872 a Erlangen, per passare poi nel 1875 alla Technische Hochschule di Monaco e nel 1880 a Lipsia. Fin dal suo ritorno a Gottinga, nel 1886, Klein intraprende il rilancio di Gottinga come centro di ricerca matematica avanzata. Weierstrass e Kronecker assistono impotenti ai progressi del “ciarlatano” Klein, che sa mettere a profitto le sue relazioni di editore dei Mathematische Annalen (la rivista fondata da Clebsch nel 1868) e la sua amicizia con Friedrich Althoff (1839-1908), dal 1882 segretario a Berlino presso il Ministero dell’Educazione. Nel 1892, il ritiro di Weierstrass e la morte di Kronecker segnano la fine del primato di Berlino e tre anni dopo Klein sferra il colpo decisivo chiamando a Gottinga David Hilbert (1862-1943), uno dei matematici più importanti della prima metà del Novecento. Fino all’avvento del nazismo, Gottinga sarà considerata la capitale mondiale della matematica. La rivalità franco-tedesca che si sente montare nel corso dell’Ottocento in diversi settori scientifici, non risparmia la matematica. Attizzata dall’antagonismo politico, si manifesta dopo l’umiliante sconfitta militare della Francia nel 1870-71. Alcuni matematici, come Hermite o Jordan conservano il loro atteggiamento tollerante, mentre Darboux si lascerà trascinare dallo spirito di rivincita che si sviluppa rapidamente nei milieux francesi. È però nel corso della guerra del 1914-18 che la rivalità franco-tedesca provoca una vera crisi nel mondo matematico. All’inizio del conflitto, il governo tedesco fa apparire (15 ottobre 1914) una incredibile Dichiarazione al mondo culturale, firmata da 93 scienziati, nella quale si negano fra l’altro le atrocità commesse dall’esercito tedesco sui civili francesi e belgi. Dall’elenco dei firmatari è assente il nome di Einstein, residente allora a Berlino ma di cittadinanza svizzera. Dei due matematici interpellati, Klein e Hilbert, questi aveva rifiutato la firma, mentre figura quella di Klein, ma sembra che egli, interpellato per telefono, abbia solo accettato di mettere il suo nome in un documento molto diverso5. Nel 1916, Emile Picard (1856-1941) pubblica un libretto intitolato L’Histoire ds Sciences et le prétentions de la Science allemande, in cui denunzia la pedanteria tedesca, tutt’al più capace, dice, di rendere oscure le cose chiare. Dopo la disfatta tedesca e la restituzione dell’Alsazia alla Francia, si tiene a Strasburgo un Congresso internazionale di matematici (1920) da cui i matematici tedeschi sono esclusi. Rientreranno in un consesso internazionale solo nel 1928, in occasione del Congresso di Bologna: malgrado una campagna di Bieberbach e del matematico olandese Brouwer, che appoggiava le tesi del nazionalismo tedesco in favore della non partecipazione, una delegazione tedesca guidata da Hilbert partecipò ai lavori del congresso di Bologna6. Poco dopo il 1928, una tempesta molto più forte, che trova anch’essa origine nel XIX secolo, si abbatte sui matematici tedeschi, la persecuzione nazista degli ebrei. Come testimonia anche la carriera di Hermann Minkowski (1864-1909), almeno in apparenza i matematici ebrei non hanno subìto particolari vessazioni, anche se nella maggior parte delle città tedesche, la chiamata ad una cattedra implica l’obbligo di abbracciare il protestantesimo (è il caso di Jacobi e di Cantor). Gli ebrei che rifiutano di farsi battezzare non possono sperare che in un prosto di libero docente o, al più, di professore straordinario. Il primo ebreo non battezzato a divenire professore ordinario in Germania è proprio il matematico Moritz Stern (1807-1894), un allievo di Gauss a Gottinga, ordinario nel 1859.
Anche l’Italia può vantare qualche motivo d’orgoglio del suo passato matematico. Ma un declino progressivo nel corso del XVIII secolo la porta, alla soglia del XIX secolo, a una anemia quasi totale, se si eccettuano pochi casi singolari (in particolare quello di Lagrange). Parallelamente alla Germania, anche l’Italia si impegna nel processo di unificazione politica, che si concluderà nel 1870, quasi contenporaneamente al suo omologo tedesco (1871). Ma allorché in Germania lo slancio scientifico precede nettamente il consolidamento politico, questi procedono fianco a fianco nel caso italiano. Così, a partire dalle ripercussioni in Italia della rivoluzione francese e delle imprese napoleoniche, vedremo comparire a poco a poco i protagonisti di quella che abbiamo chiamato la rincorsa italiana a colmare il ritardo matematico e scientifico rispetto all’Europa.
L’Italia era particolarmente preparata ad accogliere le novità rivoluzionarie francesi, perché l’illuminismo aveva operato profondamente nei circoli culturali di Milano e Napoli. Tra il 1789 e il 1791, alcuni studiosi lombardi, toscani e piemontesi avevano elaborato timidi progetti di costituzione. Quando, nel 1796, Bonaparte varca le Alpi con l’Armata d’Italia, gli ideali della rivoluzione francese diventano obiettivi concreti e mobilitanti per la borghesia intellettuale e quella parte dell’aristocrazia che si era nutrita dei princìpi illuministici. I governi repubblicani che si formano a Milano, a Roma, a Genova, a Napoli, a Firenze, vedono tutti una notevole partecipazione di professori universitari, di ecclesiastici colti, di rampolli del patriziato e della nobiltà, di militari appartenenti ai corpi scelti dell’artiglieria e del genio. Furono membri dell’Istituto Nazionale della Repubblica Romana (1798) Pietro Franchini, Gioacchino Pessuti, Giuseppe Calandrelli, Pio Fantoni, mentre all’Istituto Nazionale della Repubblica Napoletana (1799) furono nominati Nicola Fergola, Vito Caravelli, Vincenzo Porto, Annibale Giordano, Filippo M. Guidi, Giuseppe Cassella. Il primo quindicennio dell’Ottocento è dominato dalla singolare personalità di Napoleone Buonaparte il quale, dopo essersi assicurato il potere con il colpo di stato del 18 brumaio 1799 grazie all’appoggio della grande borghesia francese, ridiede vita all’istituto monarchico con la creazione dell’Impero ed estese il predominio della Francia su gran parte dell’Europa. Con la seconda campagna d’Italia e la vittoriosa battaglia di Marengo (14 giugno 1800), gli austriaci furono praticamente costretti a lasciare libera l’Italia settentrionale; rinascevano così la Repubblica Cisalpina e quella Ligure. Tra la fine del 1801 e gli inizi del 1802, la Repubblica Cisalpina veniva trasformata in Repubblica Italiana. Cogliendo a pretesto le lamentele dei patrioti italiani a proposito del disordine che regnava nella Cisalpina, dove le maggiori città si contendevano la supremazia, Napoleone convocò 500 rappresentanti della Cisalpina ai Comizi di Lione (alla fine del 1801). I lavori furono diretti dal Talleyrand che riuscì a far eleggere Presidente della nuova Repubblica Italiana o stesso Buonaparte, il quale affidò la vicepresidenza al patrizio milanese Melzi d’Eril. Ai Comizi erano stati chiamati un buon numero di scienziati, tra i quali Barnaba Oriani, Alessandro Volta, Agostino Bassi, Giuseppe Venturoli, Ludovico Ciccolini, Luigi Brugnatelli e Antonio Cagnoli. Uno dei primi atti della nuova Repubblica fu la legge per la pubblica istruzione (4 settembre 1802) e la creazione dell'Istituto Nazionale (17 agosto 1802). La pubblica istruzione era suddivisa in elementare, media e superiore. Venivano istituite due Università a Pavia e Bologna, due accademie di Belle Arti (Milano e Bologna), quattro scuole speciali: di metallurgia (Dipartimento del Mella o dell’Agogna), di idrostatica (Basso Po), di scultura (Carrara), di veterinaria (Modena). Venivano creati i licei, uno per ogni Dipartimento, progressivamente distinti dalle Università, nei quali si insegnava in lingua italiana (negli antichi collegi la lingua di insegnamento era il latino). Notevoli furono anche i contributi alla meccanica (Avanzini, Araldi, Fontana, Saladini, Delanges), all’idraulica (Brunacci, Avanzini, Stratico) e all’astronomia (Piazzi e Cagnoli). Anche nel campo della storia delle matematiche vi fu una notevole attività. Gregorio Fontana pubblicò con significative aggiunte il Saggio sulla storia generale delle matematiche di Bossut (Milano, 1802-1803), Mariano Fontana riscoprì e analizzò l'aritmetica di Francesco Maurolico, Giambattista Venturi diede alle stampe fondamentali contributi allo studio di due opere inedite della scienza greca: l’Ottica di Tolomeo e il Traguardo di Erone. Giambattista Guglielmini analizzò l’opera di Leonardo Pisano, con particolare riferimento alla geometria pratica, ripercorrendo il cammino del passaggio della scienza antica dall’Oriente all’Occidente europeo (Bologna, 1813).
L’età della restaurazione inizia con il Congresso di Vienna, che tra il 1814 e il 1815 mirava a riordinare l’Europa sotto la guida dei sovrani assoluti, la cui aspirazione era un ritorno al passato e la cancellazione, pe quanto possibile, di qualsiasi traccia della rivoluzione francese e del regime napoleonico. Va detto altresì che nei governi restaurati matematici come Paolo Ruffini a Modena e Vittorio Fossombroni a Firenze ebbero incarichi politici di primo piano. Fossombroni coinvolse nel governo dell’Università e del Catasto Gaetano Giorgini, che era stato allievo dell’Ecole Polytechnique, e Giuliano Frullani. A Torino Giovanni Plana diresse l’osservatorio astronomico e ottenne da Carlo Alberto un cospicuo finanziamento per la stampa della sua celebre opera sul movimento della luna13. La matematica manteneva tuttavia, anche negli anni della Restaurazione, un ruolo importante nella cultura e nella società per opera innanzitutto di Gian Domenico Romagnosi e di Melchiorre Gioia (allievo a Pavia di Gregorio Fontana), che con il loro richiamo alle indagini statistiche furono il punto di riferimento fino agli anni trenta per giuristi, economisti, studiosi preoccupati del bene comune. La matematica ebbe anche una funzione importante nella formazione di pensatori quali Antonio Rosmini, Pasquale Galluppi e Bertrando Spaventa, e di alcuni protagonisti del Risorgimento come Cavour e Minghetti. I governi restaurati non poterono non tenere conto del progresso e dell’evoluzione della società, dell’economia, dei rapporti giuridici. Da una parte continuarono le pubblicazioni delle Memorie di matematica e fisica e delle Memorie dell’Istituto, dall’altra sorsero nuovi giornali come la Biblioteca Italiana (Milano, 1816) il Conciliatore (Milano, 1818), il Giornale Arcadico (Roma, 1819), l’Antologia di Viesseux (1821) e gli Annali Universali di Statistica (1824). Benché sottoposti a controlli polizieschi, questi periodici fornirono agli studiosi l’occasione per far conoscere le loro idee e un modo per non perdere completamente il contatto con quanto accadeva negli altri paesi europei. Alcuni di questi giornali “indipendenti” svolsero in campo scientifico un'attività informativa ben più efficace di quelli legati ad istituzioni rigidamente controllate e non rinnovate nei componenti. Con la riforma del 1810 l’Istituto Nazionale era diventato Istituto Reale, trasferendo la sua sede da Bologna a Milano e articolandosi in quattro sezioni (Venezia, Bologna, Padova, Verona). Nel 1812 venne completata la nomina dei sessanta membri, che ricevevano compensi, e di altri trenta membri onorari. Era diviso nelle due classi di scienze e arti meccaniche, e di lettere e arti liberali, ciascuna comprendente tre divisioni. La Restaurazione non sembrò interrompere i lavori delle sezioni. Le Memorie del Reale Istituto continuarono nella Memorie dell'Imperiale Regio Istituto del Regno Lombardo Veneto. Tra il 1819 e il 1824 furono stampati a Milano (Imperiale Regia Stamperia) tre volumi. Tuttavia venne introdotta una sempre maggiore frammentazione tra le sezioni e soprattutto non si sostituirono i membri che man mano venivano a mancare, votando di fatto l’Istituto ad una naturale estinzione. Le sezioni venete si estinsero nel 1832 con la morte dell'ultimo direttore della sezione di Venezia, Stefano Andrea Renier. A Milano la pubblicazione del Politecnico (1839) di Carlo Cattaneo precedette di due anni quella del Giornale del rinato Istituto Lombardo. Sempre a Milano e per iniziativa di un privato, Enrico Mylius, nasceva nel 1841 la Società di incoraggiamento d'arti e mestieri. Tuttavia dalla fine degli anni trenta stava cambiando gradualmente in molti Stati italiani l'atteggiamento dei governi verso la cultura scientifica. In Piemonte la politica riformatrice di Carlo Alberto acquistò un nuovo respiro che si tradusse nelle riforme dell'Università di Torino del 1848, con la ritrovata autonomia della facoltà di scienze. In Toscana l'Università di Pisa subì un'importante riforma che vide accrescersi e rinnovarsi gli insegnamenti scientifici con la chiamata di Matteucci, Piria, Mossotti e Pilla. A Milano e a Venezia nel 1838 vennero rifondati l'Istituto Lombardo e l'Istituto Veneto e si ebbe un notevole rilancio di quelle che erano considerate le utili applicazioni delle scienze e delle tecniche all'industria e ai miglioramenti nell'agricoltura e nella vita delle città (acqua potabile, illuminazione pubblica ecc.). Questi aspetti di rilevante interesse economico coinvolsero progressivamente anche il Regno delle due Sicilie e lo Stato Pontificio. Il 26 novembre 1839, tra i primi trenta membri del “rifondato” Istituto Veneto, figuravano Angelo Zendrini e Luigi Valeriano Brera, che avevano fatto parte delle sezioni venete dell'Istituto Reale. Insieme ad essi una serie di studiosi che in modi diversi avevano partecipato alle istituzioni napoleoniche: Giovanni Scapoli (1774-1854), che come Direttore generale della pubblica Istruzione del Regno d'Italia aveva curato la riforma dell'Istituto del 1810-1812, Bartolomeo Gamba (1766-1841) un letterato impegnato in funzioni di governo a Venezia, Pietro Paleocapa (1788-1869), che era stato allievo della scuola militare di Modena e ufficiale negli eserciti napoleonici, Ambrogio Fusinieri (1775-1853), fisico e naturalista, Giovanni Santini (1786-1877), chiamato a Padova come astronomo nel periodo precedente, Tommaso Catullo (1782-1869), insigne naturalista già professore nei licei. È solo un ulteriore indizio dell'importanza dell'epoca dei governi napoleonici, che neanche la più scientifica delle restaurazioni, quella austriaca, era riuscita a mettere tra parentesi.
«La notizia di una riunione di scienziati tedeschi – scrive Umberto Bottazzini14 – pparsa nel 1839 in un articolo della “Biblioteca Italiana” offriva ad un gruppo di intellettuali toscani l’occasione di proporre anche in Italia analoghe e periodiche riunioni “alla maniera di quelle che si ammirano in Inghilterra e in Germania”». Il principe Carlo Luciano Bonaparte (1803-1857), figlio del fratello di Napoleone, Luciano, era appena rientrato in Italia, nell’ottobre del 1838, dal Congresso scientifico di Friburgo, quando riuscì ad ottenere dal Granduca Leopoldo di Toscana l’assenso definitivo per la creazione di una simile istituzione, già viva nel desiderio di molti. Convocata nel marzo 1839 con una lettera circolare firmata anche da Vincenzo Antinori, direttore del Museo di Fisica e Storia naturale di Firenze, dall’astronomo Giovan Battista Amici, e da Gaetano Giorgini, la prima riunione aveva luogo a Pisa dal 1° al 15 ottobre 1939. Da allora, i congressi degli scienziati italiani si tennero annualmente nelle principali città italiane, registrando un numero elemento di partecipanti come isulta dal seguente prospetto:
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anno | città | numero partecipanti |
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1839 | Pisa | 421 |
1840 | Torino | 573 |
1841 | Firenze | 888 |
1842 | Padova | 514 |
1843 | Lucca | 494 |
1844 | Milano | 1159 |
1845 | Napoli | 1611 |
1846 | Genova | 1062 |
1847 | Venezia | 1478 |
L’importanza di queste riunioni la si coglie dal giudizio del geologo Lorenzo Pareto (180-1865), già distintosi nel moti del 1821 e poi esule nel 1833. In virtù della sua autorità scientifica, ha modo di manifestare il proprio pensiero politico a favore dell’unità del Paese, a partire proprio dal congresso pisano e per tutte le edizioni successive, nelle quali sarà sempre eletto presidente della sezione di geologia. Ecco il suo giudizio (1853)15: Tra le istituzioni che negli ultimi anni più grandemente concorsero a dilatare in Italia l’amore delle scienze, e a disporre gli animi degli abitatori tutti della Penisola a risguardarsi come figli della stessa Patria, niuno certo più de’ Congressi scientifici a questo santissimo scopo mirava e in parte otteneva il suo intento. Ai congressi intervennero matematici, fisici, astronomi, chimici, geologi, naturalisti, ma anche economisti storici, giuristi e letterati che trovarono posto nelle varie sezioni. Le reazioni dei governi della penisola furono diverse. Mentre alcuni stati, appoggiarono l'iniziativa, altri furono piuttosto freddi se non apertamente contrari. La maggiore ostilità fu manifestata dallo Stato Pontificio durante il pontificato di Gregorio XVI, quando la Congregazione degli studi vietò ai professori la partecipazione ai Congressi. La nuova politica culturale, di cui Pio IX sembrava essersi fatto interprete, aveva suggerito ai congressisti di Genova di designare la “dotta” Bologna come sede della successiva riunione. Ma il rapido evolversi delle vicende politiche nazionali e l’affievolirsi delle spinte riformatrici del pontefice, avevano sconsigliato di dar esito alla proposta, sicché la nona riunione del 1847 fu tenuta a Venezia. Le tensioni e i sommovimenti politici e sociali, che a partire dalla primavera del 1848 percorsero l’Italia fino a sfociare nella prima guerra di indipendenza, non solo impedirono la pubblicazione degli Atti della riunione di Venezia, ma segnarono la fine delle riunioni stesse, che verranno riprese nel 1875 (a Palermo) per celebrare l’avvenuta Unità e troveranno una ideale prosecuzione con le riunioni della SIPS di Volterra a partire dal 1907. Durante il 1848 e il 1849 l’Europa fu teatro di profondi rivolgimenti rivoluzionari che la storiografia considera come la più importante svolta storica del XIX secolo. investì l'Europa e diversi scienziati, come Jacobi a Berlino, si impegnarono nell'azione concreta contro l'assetto illiberale uscito dal Congresso di Vienna. Quintino Sella (1827-1884), inviato a perfezionarsi a Parigi all'Ecole des mines dal suo professore di meccanica Carlo Ignazio Giulio (1803-1859), si trovò nelle prime file quando il 24 febbraio 1848 il popolo parigino poneva fine al regno di Luigi Filippo e dava vita alla Seconda Repubblica.
Durante il 1848 e il 1849 l’Europa fu teatro di profondi rivolgimenti rivoluzionari che la storiografia considera come la più importante svolta storica del XIX. Abbiamo già visto che diversi scienziati, come Jacobi a Berlino, si siano impegnati nell'azione concreta contro l'assetto illiberale uscito dal Congresso di Vienna. Quintino Sella (1827-1884), inviato a perfezionarsi a Parigi all'Ecole des mines dal suo professore di meccanica Carlo Ignazio Giulio (1803-1859), si trovò nelle prime file quando il 24 febbraio 1848 il popolo parigino poneva fine al regno di Luigi Filippo e dava vita alla Seconda Repubblica. Dopo l'esperienza del ‘48 diversi studiosi tornarono con nuovo impegno alle loro ricerche: il non più giovane Mossotti ordinò in un volume i suoi studi di ottica, mentre in questo arco di tempo Francesco Brioschi mostrò un grande attivismo e ottenne notevoli risultati, in particolare collegando la teoria delle funzioni ellittiche e abeliane allo studio delle equazioni algebriche, e pervenendo alla risoluzione per trascendenti delle equazioni di quinto grado. Un altro fertile campo di ricerca si dimostrò la teoria generale degli invarianti, promossa da Cayley, Silvester, Hermite. In un filone più tradizionale, con ampi riferimenti ai metodi variazionali di Lagrange ma con risultati importanti, si collocavano le ricerche sulla teoria matematica dell'elasticità, promosse a Torino da Federigo Menabrea (1809-1896), marchese di Valdora, che oltre che scienziato fu anche militare, uomo politico (già nel 1848 deputato al Parlamento subalpino) 18, ministro e diplomatico. Il superamento del riferimento quasi esclusivo alla matematica francese avvenne in Italia con una certa gradualità, propiziato anche da un'analoga apertura della matematica francese alle ricerche che avvenivano in Germania e in Inghilterra. Nel 1852 venne pubblicata sui Nouvelles Annales la traduzione francese della memoria di Gauss sulla geometria differenziale delle superfici (Disquisitiones generales circa superficies curvas, 1828). Era un lavoro fortemente originale, ma che ben si inseriva nella tradizione inaugurata delle lezioni politecniche di Monge, e proseguita dai suoi allievi, in particolare Dupin. Questa tradizione di studi poteva essere vista come familiare anche da un matematico come Bordoni e diede frutti importanti nell'opera di Gaspare Mainardi (1800-1879) e Delfino Codazzi (1824-1873). Più lenta, sostanzialmente dopo il viaggio in Europa di Betti, Brioschi e Felice Casorati (1835-1890), fu invece la penetrazione delle idee legate agli sviluppi della geometria proiettiva, che influenzarono le ricerche di Cremona e Battaglini. Il periodo che va dal 1848 al 1859, ricco di fermenti sia in campo politico e culturale, sia come abbiamo visto nella ricerca matematica, termina con la seconda guerra d'indipendenza (battaglie di Solferino e San Martino, 24 giugno 1859), e con la conseguente formazione dello stato unitario (17 marzo 1861). Alla battaglia di Solferino aveva partecipato anche il generale Charles Denis Bourbaki (1816-1897), al comando della divisione di Lione. Figlio di un eroe dell'indipendenza greca, Bourbaki acquistò la fame di generale pacifista quando, sconfitto dai tedeschi durante la guerra franco-prussiana del 1870, preferì riparare in Svizzera con tutto il suo esercito e consegnare le armi, piuttosto che continuare un'inutile battaglia. Il nome di Bourbaki è diventato celebre tra i matematici quando è stato assunto come pseudonimo per indicare l'autore di una delle più celebri imprese matematiche del Novecento. |
Il viaggio di studio che il 20 settembre 1858 Betti, Brioschi e il giovane Casorati intrapresero alla volta delle università di Gottinga, Berlino e Parigi, segna per la matematica italiana un momento importante nel processo di internazionalizzazione e di reciproco scambio scientifico con gli altri paesi europei. Se tale viaggio, come già si è detto, è stato simbolicamente assunto come il turning point per la cultura matematica del Paese, esso appare tuttavia “come il frutto consapevole di uno sviluppo che ha radici lontane e profonde nella prima metà del secolo”19. Un processo che si accompagna alla fondazione degli Annali di Matematica pura e applicata (1858) voluta in primo luogo da Brioschi, con il sostegno di Betti e Genocchi. I carteggi fra questi tre matematici consentono di seguire con grande precisione i dettagli di entrambe le inziative20. In una delle prime lettere di Brioschi a Betti, precisamente in quella del 28 aprile 1857, Brioschi esprime con grande chiarezza la necessità di una nuova rivista di matematica che si sostituisca (o ne sia una rifondazione) agli Annali di Scienze matematiche e fisiche che già dal 1850 venivano editi a Roma da Barnaba Tortolini (1808-1874) e che perciò erano comunemente chiamati Annali di Tortolini. Scrive Brioschi: Probabilmente Ella sarà d'accordo con me che gli Annali del Tortolini non corrispondono allo scopo al quale dovrebbe tendere ogni giornale scientifico fra noi. Questo scopo parmi debba essere di far conoscere fuori d’Italia il movimento scientifico italiano; e di tenere al fatto gli Italiani del movimento scientifico degli altri paesi civilizzati. Ora al primo intento giungesi mediante la pubblicazione di articoli originali e al secondo mediante riviste bibliografiche critiche. Questo secondo intento è affatto escluso dagli Annali del Tortolini; ed il primo non è che incompletamente raggiunto giacchè come Ella avrà già avuto occasione di osservare i nostri lavori sono ancora poco noti al di fuori e ciò è anche a me noto per confessione di alcuni matematici stranieri coi quali mi trovo in relazione. La parte bibliografica è poi a mio credere di moltissima importanza per noi, essendo in Italia pochissimi i centri dove si trovino mezzi di studio. Ricevuta l’adesione di Betti, può scrivere a Genocchi, col quale sembra aver già discusso sia le motivazioni per la nuova rivista sia gli obiettivi programmatici (lettera del 6 maggio 1857): Se ho aspettato a scriverLe fino ad oggi ed a ripeterLe in iscritto le proteste di stima e di simpatia che ebbi il piacere di poterLe fare a voce, si è che desiderava prima avere risposta dal Betti, al quale aveva comunicato il nostro progetto intorno ad un giornale di matematica Italiano da surrogarsi agli Annali del Tortolini, quando non potesse essere una continuazione di questi. Il Betti aderisce completamente a quanto gli ho proposto mostrandosi ben contento si possa finalmente giungere a qualche cosa di meglio. Domani o dopo al più tardi io scriverò al Tortolini sottoponendo gli il progetto; io credo non potrà che aderirvi; ma nel caso il più sfavorevole amasse meglio abbandonare la redazione, ne pubblicheremo uno affatto nuovo a Milano od a Torino dove meglio converrà. Da qualche tempo la vita matematica non è molto brillante, almeno qui non arrivano giornali; buon per me che occupato da quindici giorni di questioni di meccanica pratica non potrei tenervi dietro. Però in questo mese mi giunse il 5° fascicolo del Quarterly Journal del Sylvester il quale giornale credeva avesse cessato di vivere; ed il primo fascicolo 1857 del giornale di Sch1ömilch. Le memorie contenute in questo fascicolo del giornale di Sylvester sono di poco interesse meno una memoria dello Schläfli sulle ventisette rette le quali si possono tracciare sopra una superf.[icie] del terzo ordine26. Sono cose per la maggior parte note, ma trattate in modo nuovo ed elegante, analogamente a quanto fece Jacobi nella memoria sulle tangenti doppie27. Lo stesso 6 maggio Brioschi annuncia a Betti l’intenzione di passare alla realizazzione pratica del progetto e di sottoporlo a Tortolini: Forte ora della sua adesione come di quella dell’amico Genocchi scriverò al Prof.e Tortolini sottoponendogli il progetto, usando però di tutti i riguardi ben dovuti a chi pel primo ci offriva mezzo di pubblicazione. Io penso che il Tortolini accetterà i nostri patti, ed il nostro ajuto; ma nel caso più sfavorevole che egli volesse abbandonare completamente la redazione penserò io ai mezzi di formare un giornale interamente nuovo. Anche se “non molto conteno”, Tortolini “accetta completamente” la proposta e il progetto può così decollare, anche se le “lungaggini” di Tortolini nell’organizzazione pratica procurano ritardi e costringono Brioschi a scrivergli una lettera molto dura (a Betti, in data 4 dicembre 1857): Ma ciò che mi sembra oscuro, è l’aspettare, dopo sei mesi che siamo in trattativa, alla vigilia dell’epoca nella quale il nuovo giornale deve venire in luce a domandare i permessi necessarj. L’implicita minaccia – nel frattempo Betti aveva elaborato, con l’aiuto di Mossotti e del fisico Carlo Matteucci (1811-1868) un progetto alternativo – produce l’effetto desiderato e nella primavera del 1858 esce il primo fascicolo degli Annali di Matematica pura e applicata, che soddisfa entrambe le condizioni desiderate da Brioschi: “la pubblicazione di un solo giornale di matematica in tutta Italia, e l’altra di una compilazione Italiana”. Essi confidano (e altrimenti non avrebbero intrapresa questa pubblicazione) che i geometri italiani si impegneranno perché un giornale che si propone di rappresentare lo stato della scienza tra noi, possa richiamare l’attenzione continua dei dotti degli altri paesi; e far cessare il lamento che i nostri lavori non sono conosciuti fuori d’Italia. Sostanzialmente allo stesso scopo rispondeva il viaggio per le università di Francia e Germania progettato, ancora da Betti, Brioschi e Genocchi, con l’aggiunta di Placido Tardy (1816-1914), un siciliano di origine francese che era stato esule a Firenze nel 1848 ed era poi diventato professore all’università di Genova, presso la cui casa genovese i primi tre erano stati ospiti nella Pasqua del 185833. Però, al momento della partenza, impedimenti vari costringono Genocchi e Tardy a rinunziare al viaggio, così Betti e Brioschi sono accompagnati dal giovane assistente di Brioschi all’università di Pavia, Felice Casorati, appena ventitreenne. Abbiamo un prezioso resoconto di questo mitico viaggio (iniziato il 20 settembre e concluso il 29 dell’ottobre sucecssivo) in una lettera di Brioschi a Genocchi del 9 novembre 1858 che riportiamo per intero perché, come giustamente osservano i curatori della trascrizione, la lettera “rappresenta forse il documento più dettagliato che, al riguardo, sia stato fino ad ora pubblicato”34: Caris.mo Amico Colpisce, di questa lettera interessante, la maturità di giudizio sulla situazione matematica tedesca e francese che coincide quasi alla lettera con il giudizio di un altro matematico, il danese Niels Abel (1802-1829), che trent’anni prima, nel 1825, aveva fatto un analogo viaggio per le capitali europee della matematica, Gottinga e Parigi. Qui Abel vi arriva ai primi di agosto. “La capitale più rumorosa del continente fa l'effetto di un deserto”, scrive Abel. Sono tutti in campagna. Tra i pochi rimasti Abel ha conosciuto Legendre, i cui lavori gli hanno ispirato le ricerche sulle funzioni ellittiche. È “estremamente gentile”, scrive Abel, ma “sfortunatamente vecchio come le pietre”. Poisson, Fourier, Ampère “si interessano esclusivamente di magnetismo e di altre cose di fisica”. Il solo che si occupi di matematica pura è Cauchy, che per i suoi studenti dell'Ecole Polytecnique ha pubblicato un manuale, il Cours d'analyse, che Abel considera come una Bibbia della nuova matematica. “Cauchy è matto e con lui non c'è verso di capirsi, anche se al momento è il solo che sappia come si debba fare della matematica”, scrive Abel. Oltre che matto, “Cauchy è cattolico bigotto, cosa ben strana per un matematico”. Un paio di mesi dopo Abel ha finito di scrivere una grande memoria sulle proprietà di una certa classe di funzioni. “L'ho mostrata a Cauchy, ma si è degnato appena di dargli un'occhiata” scrive deluso ad un amico. “Eppure oso dire, senza vantarmi, che si tratta di un buon lavoro”. Quella memoria è un “monumentum aere perennius”, dirà Legendre anni dopo. Nonostante la freddezza di Cauchy, Abel presenta il suo lavoro all'Accademia, “curioso di sapere l'opinione dell'Istituto”. Ma i rapporti con i mate,atici si riveleranno molto deludenti. “Ognuno lavora per sé senza curarsi degli altri. Tutti vogliono insegnare e nessuno imparare. Dappertutto regna l'egoismo più assoluto”. La delusione si somma ai primi sintomi di malattia, a febbri e colpi di tosse. Dopo aver atteso invano l'opinione dell'Istituto, alla vigilia di capodanno Abel decide di tornare a Berlino (a Gottinga non “vale la pena di andare, gli dicono, perché Gauss è “inavvicinabile”). Dopo qualche mese di inutile attesa di notizie da Parigi, Abel ritorna a Christiania. Il viaggio in Europa si è rivelato un mezzo fallimento. Non così, ed è una differenza importante, per i matematici italiani di trent’anni dopo, per i quali il viaggio in Europa rappresenta l’inizio di risultati scientifici importanti: nel novembre 1858, Betti comincerà a lavorare alla traduzione della dissertazione inaugurale di Riemann sui fondamenti della teoria delle funzioni di una variabile complessa, che sarà pubblicata poi negli Annali48. Brioschi, invece, presenterà all’Istituto Lombardo una nota sul metodo di Kronecker per la risoluzione delle equazioni algebriche di quinto grado mediante funzioni ellittiche49. |
Volterra 1900 |