La malaria

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Il fallimento del metodo italiano nei paesi africani


Il programma lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1955 per l’eradicazione della malaria a livello mondiale sulla base di quanto sperimentato in Italia negli anni Quaranta, quindi attraverso l’uso del DDT a effetto residuo, riscontrò di fatto un esito positivo limitato alle zone temperate del pianeta. In queste aree l’endemia malarica era legata all’endofilia dell’agente trasmettitore: le zanzare tendevano a pungere l’uomo soprattutto nelle abitazioni, luoghi che ricercavano anche nella fase post-prandiale. Il DDT spruzzato intradomiciliarmente insieme ad altre misure antimalariche costringevano quindi il vettore nell’ambiente esterno, ove in periodo invernale, con l’escursione della temperatura a livelli più rigidi, la longevità della zanzara si trovava ridotta e precario risultava il ciclo di sviluppo del parassita, donde l’interruzione della trasmissione anche senza la distruzione totale dell’anofele. Diverso esito aveva l’uso degli insetticidi a effetto residuo nei Paesi delle zone tropicali e sub-tropicali per una serie di concause. In queste aree climatiche la trasmissione della malaria era dieci volte maggiore rispetto all’Italia. In Africa e in particolare nella zona sub-sahariana, il controllo dell’Anopheles gambiae s.l. – il complesso di anofeli che comprende sei specie identiche quanto ad aspetto, ma diverse nel comportamento, tra cui Anopheles gambiae s.s. e Anopheles arabiensis con la massima capacità vettrice per la malaria – è ancor oggi praticamente impossibile, data l’enorme diffusione dei focolai di riproduzione di cui dispongono: la deposizione delle uova avviene in piccole raccolte d’acqua esposte al sole, come pozzanghere piovane, impronte nel terreno, buche ai margini dei fiumi; la prolificazione della zanzare è inoltre fortemente incrementata dagli interventi per lo sviluppo agricolo, quali la costruzione di bacini idrici artificiali, l’irrigazione, la deforestazione e la desalinizzazione delle zone costiere. L’uso del DDT spruzzato sulle pareti delle abitazioni per quanto capace di ridurre la presenza domiciliare delle zanzare, non spezzava il ciclo della trasmissione, poiché il clima esterno favoriva la sopravvivenza dei vettori e permetteva lo sviluppo del plasmodio. Alla diffusione della malaria contribuivano inoltre l’urbanizzazione e le migrazioni e le colonizzazioni di nuove zone. La povertà dei Paesi africani e la quasi assente organizzazione sanitaria rendeva inoltre difficile un’azione nelle zone rurali, e l’accesso ai farmaci era limitato alle sole aree urbane.

L’ambizioso programma di eradicazione della malaria fu quindi abbandonato per l’idea di un controllo parziale della malattia, attraverso il rafforzamento delle strutture sanitarie locali, che permettano un più largo accesso ai farmaci per la popolazione locale, nonché tramite l’educazione sanitaria.


una pozzanghera sulla strada, tipico luogo di riproduzione delle specie di zanzare Anopheles gambiae s.l.
(foto C.Costantini, http://www.nd.edu/~nbesansk/S-Ruts.jpg)