La malaria

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La recrudescenza della Malaria nell’Agro Pontino nel 1944. Cassino


Le guerre sono per antonomasia morbifere e mortifere. La straordinaria violenza e ampiezza delle due Guerre Mondiali vede ovviamente questo assioma ancora più drammaticamente esaltato.  Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, come durante la Prima, si assiste a una recrudescenza dell’infezione malarica: non solo un aumento delle febbri e quindi della mortalità ma anche una ricomparsa della malattia in zone dove sembrava eradicata. Come per la Grande Guerra, il conflitto impedisce la distribuzione del rimedio terapeutico; la mobilitazione della popolazione toglie la forza lavoro necessaria all’agricoltura intensiva dei terreni, portando a una ricostituzione dei focolai malarici e all’abbandono delle bonifiche. Donne, bambini e anziani che sostituiscono gli uomini nel lavoro dei campi e che patiscono un livello della qualità della vita ovviamente drasticamente abbassato sono i più esposti all’infezione. Il passaggio degli eserciti causa distruzione di case, costringendo la popolazione a dormire in ricoveri di fortuna se non all’aperto; le requisizioni degli animali tolgono la possibilità di una zooprofilassi, espediente attraverso il quale si tentava di deviare la zanzare dall’uomo agli animali. I bombardamenti, oltre a causare morti, lasciano crateri che riempiti da acque piovane divengono ulteriori focolai del vettore malarico.
A questo disperato quadro si aggiunge l’infelice politica fascista. L’Italia entra in guerra, come noto, nel 1940 a fianco della Germania nazista.  Nel 1943 la politica estera italiana ha però una svolta radicale con l’arresto di Mussolini e l’affidamento del governo a Badoglio da parte del re Vittorio Emanuele III, cui consegue un cambiamento dell’alleanze: l’Italia è ora al fianco degli Alleati, che dopo lo sbarco in Sicilia risalgono la Penisola. Le truppe naziste, sotto il comando di Kesserling e gli ordini di Himmler,  sul territorio italiano pianificano una spietata politica d’occupazione, che colpisce la popolazione civile e la Resistenza partigiana. La Germania nazista mette inoltre in atto una guerra biologica facendo scoppiare epidemie di malaria in varie zone d’Italia. Già dalla fine del 1943, malariologi tedeschi vengono in Italia per ricreare un ambiente favorevole allo sviluppo dei vettori malarici, in particolare il pericoloso Anopheles Labranchiae. Ad accompagnarli nei sopralluoghi è Alberto Missiroli, direttore del laboratorio di Malariologia dell’Istituto Superiore di Sanità. Nel 1944, saputo di un possibile sbarco alleato nelle coste tirreniche, gli occupanti nazisti invertono le idrovore e distruggono diversi impianti nell’Agro Pontino, con una duplice finalità: rallentare la risalita delle truppe, colpendole con l’infezione al loro passaggio, e punire il tradimento italiano. L’Agro Pontino, che Mussolini aveva voluto esempio d’eccellenza della propria battaglia antimalarica e paradigma eccelso per la propaganda della sua politica interna, si ritrova a essere drammatico teatro di una violenta epidemia malarica. La nuova ondata di malaria piagò anche  il Sud della Penisola, le isole e il litorale veneto, ma soprattutto afflisse nuovamente zone in cui era stata debellata o dove era quasi estinta, come il Frosinate, la Valle del Liri e in particolare Cassino. Roccaforte tedesca a Nord della Linea Gustav, Cassino fu rasa al suolo dai bombardamenti, nel febbraio 1944: i crateri formatisi riempiti dalle piogge e dalle falde acquifere superficiali furono focolai di zanzare vettori di una nuova epidemia. A ciò si aggiunse la presenza sul territorio di soggetti infetti, quali soldati nazisti e alleati e i reduci di guerra. L’epidemia della provincia di Frosinone, nota come di Cassino, fu una delle più devastanti nell’Europa del Novecento. Per fronteggiarla nel marzo 1945 la Direzione Generale della Sanità Pubblica si appellò alla collaborazione dell’Istituto di Malariologia “E. Marchiafava”, sotto la direzione di Giuseppe Bastianelli,  affinché fosse svolta un’opera di ricognizione nell’area a cui sarebbe succeduta una pianificazione per un intervento antimalarico. L’Istituto affidò l’inchiesta al dott. Alberto Coluzzi, che divenne di fatto l’organizzatore della campagna antimalarica del 1946-1948 nella provincia di Frosinone. Con Coluzzi ebbe di fatto inizio la cosiddetta “seconda battaglia di Cassino”, volta a eliminare la malaria, una battaglia combattuta in una prima fase con mezzi esigui e sulle forze di quanti offrirono un impegno indefesso per bloccare l’epidemia, non solo esperti di malaria come Coluzzi, ma anche donne e uomini comuni, infermiere che facevano spola con le proprie biciclette per la cura e la profilassi domiciliarie dei malati, figure straordinarie come l’economa della Maternità e Infanzia Adriana Borghetti, approntatasi assistente di Coluzzi. Già nel maggio 1945 Alberto Coluzzi istituiva due centri di diagnosi e di cura a Pontecorvo e a Cassino; nonché metteva a disposizione la propria casa di campagna (Casa delle Palme) a Monticelli come base per la campagna antimalarica, in seguito divenuta la Stazione Sperimentale di Monticelli dell’Istituto di Malariologia “Ettore Marchiafava”.  Dalla sua inchiesta epidemiologica Coluzzi rilevò l’inadeguatezza del Verde di Parigi per l’eradicazione larvale, data l’estensione dei bacini acquiferi focolai di larve di anofeli, e intuiva la necessità dell’utilizzo del DDT (dichloro-diphenyl-trichloroethane) per sconfiggere la malaria, che infatti fu in una prima fase spruzzato solo nelle abitazioni, per assenza dei fondi necessari a comprarne una ben maggiore quantità per l’irrorazione esterna. Questa prima fase della campagna fu contraddistinta principalmente da servizi gratuiti di diagnosi e di cura, che contennero la diffusione della malaria, evitandone i picchi epidemici del 1944-1945. Una svolta nella strategia antimalarica si ebbe nel 1947, quando la provincia di Frosinone fu inserita nel piano quinquennale di lotta antimalarica concepito da Missiroli e attuato dall’ACIS, caratterizzato dall’uso dell’insetticida a effetto residuo. L’ultimo caso di terzana benigna fu registrato nel 1949.   




L’idrovora dell’impianto di Ostia, sabotato dai Tedeschi (Archivio Guido Casini)
 





Il bombardamento di Cassino e uno dei cartelli dell’esercito alleato. (foto Archivio Guido Casini)

 


Squadra di disinfestazione in provincia di Frosinone (archivio Alberto Coluzzi)