La malaria

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La profilassi: l’impegno di coniugi Celli


La campagna antimalarica inaugurata nel 1904 in seguito alle varie leggi sul Chinino di Stato fu frenata in una sua riuscita da una serie di ostacoli. Al di là delle resistenze di farmacisti e proprietari terrieri, fronteggiate con gli aggiustamenti legislativi che seguirono la prima legge sul Chinino di Stato del 1900, e oltre l’incapacità da parte degli Enti Locali di provvedere all’oneroso carico di una responsabilità della campagna in sostanza loro attribuita dallo Stato, una barriera si riscontrava anche nella reticenza verso la campagna terapeutica e di prevenzione da parte della massa della popolazione rurale, che ne doveva fruire. Se molte sensibilità politiche come scientifiche, prima fra tutte quella del grande medico Angelo Celli, avevano con forza indicato che l’anofelismo in Italia era una questione sociale, legata alla qualità della vita, alle condizioni di lavoro e di quelle abitative, la campagna dimostrava che proprio nei termini di una ricostruzione di una coscienza civile oltre che igienica bisognava che la lotta alla malaria si organizzasse.
Una prima organizzazione prevedeva la somministrazione del chinino, secondo una priorità data alla cura del malato, riflettendo il principio che attraverso una guarigione delle persone infette si poteva interrompere la catena di trasmissione della malaria. Tale approccio farmacologico, limitato a sua volta da carenze di personale sanitario, fu affiancato su proposta di Grassi e Celli dalla protezione meccanica – reti metalliche poste sugli infissi delle abitazioni e un particolare abbigliamento protettivo. Mancava però un anello fondamentale perché l’ingranaggio organizzativo potesse funzionare. Di fronte a una massa rurale e ad alcune categorie particolarmente esposte alla malattia – quali guitti, boscaioli, pastori, carbonai e piccoli artigiani – abbandonate all’indigenza, a un lavoro non tutelato, a un analfabetismo imperante, poco potevano le strategie messe in campo a inizio secolo. Determinante diveniva il passaggio da una disciplina medica tout court a una medicina concepita come sociale. Gli esempi delle prime stazioni rurali antimalariche –  che numerose si erano diffuse in epoca giolittiana su modello dell’esperimento pilota nelle cinque località nell’immediata vicinanza di Roma del 1874 (Campomorto, Isola Farnese, Fiumicino, Ostia e Torrimpietra) –  nonché l’esperienza della tenuta della Cervelletta, stazione sperimentale ove nel 1899 Celli aveva potuto verificare il metodo antimalarico integrato – che associava igiene malarica, bonifica idraulica e agricoltura intensiva – dimostravano la necessità di “andare verso il popolo”. La gratuità del chinino non bastava a rompere lo stato di apatia, di diffidenza e di ignoranza degli indigenti oppressi dalla malattia. Questa grande porzione della società italiana esclusa da secoli dal diritto alla salute, che soffriva endemicamente della malaria sino a percepirla come parte del ritmo delle stagioni, diffidava dell’improvviso contatto con i medici, più facilmente associabili ai caporali e ai proprietari terrieri o persino a degli untori; essa temeva la raccolta del sangue; lo stesso chinino era spesso creduto un veleno (fraintendendo quelle parole dei manuali divulgati dal Dipartimento di Sanità che descrivevano il chinino come “il più potente veleno contro i germi della malaria”), e con ancor più difficoltà accettato quando da assumere o far assumere ai propri figli per profilassi. Come le altre classi sociali rifiutava poi l’idea di trasformare le proprie abitazioni in gabbie attraverso gli infissi con reti metalliche. Dell’ignoranza come principale ostacolo all’eradicazione della malattia si era convinto lo stesso Lewis Hackett, il malariologo americano al servizio della Rockefeller Foundation, nel suo sopralluogo nelle Paludi Pontine negli anni Venti; ma ad affrontare il problema in modo sistematico fu ancora una volta Angelo Celli, attraverso la promozione di una campagna di educazione antimalarica, che andasse oltre l’obbedienza passiva richiesta ai pazienti, e offrisse strumenti di comprensione dei diritti offerti dalla nuova legislazione, del meccanismo di trasmissione dell’infezione, delle capacità terapeutiche e profilattiche del chinino, e una coscienza igienica. Angelo Celli e sua moglie Anna, una delle prime donne medico in Italia, si impegnarono per l’istituzione e la diffusione delle scuole rurali nell’Agro Romano e nella zona delle Paludi Pontine. La prima scuola rurale “festiva”, perché domenicale, è aperta nel 1904, su proposta di Anna Celli e supportata dalla Federazione Romana dell’Unione Femminile Nazionale. Adele Menghini ne è la prima insegnante. Le prime scuole rurali, quasi di fortuna, erano tenute in casolari, granai, parrocchie o vagoni ferroviari; i maestri – non retribuiti – lavoravano in orari festivi e serali.
L’esperimento che, secondo le sue parole d’ordine, doveva portare l’alfabetizzazione ai contadini della Campagna Romana, ebbe uno straordinario successo. Via via diffuse nel territorio, nel 1920 le Scuole per Contadini si costituivano in Ente Morale con proprio statuto, organizzate in 37 corsi serali, 27 corsi diurni e cinque asili.
A Capua, in Campania, veniva creata contemporaneamente alle scuole rurali promosse dai coniugi Celli una tipologia di scuola ancor meglio strutturata e organizzata per la propaganda della profilassi e la terapia antimalarica: la Stazione Educativo-Antimalarica e Igienico-Antimalarica Scolastica su iniziativa di Enzo Cacace.  La Stazione era strumento di formazione sull’igiene antimalarica anzitutto per i maestri, istruiva gli allievi sul meccanismo di trasmissione della malattia e raccoglieva fondi pubblici o privati; si occupava inoltre della profilassi antimalarica in senso stretto, attraverso la distribuzione diretta nelle scuole del chinino, sotto forma di tabloidi o di cioccolatini di chinino,  da parte dei maestri, che a questa funzione erano stati formati. La somministrazione del chinino avveniva da maggio a giugno, e  talora prolungata anche oltre il periodo scolastico fino all’autunno. Gli insegnamenti sulle conoscenze della malaria entravano in ogni materia insegnata, dalle scienze ai temi di italiano all’aritmetica. La Stazione Educativo-Antimalarica pubblicava dal 1906 anche un bollettino per le scuole delle zone malariche, La Propaganda Antimalarica, divenuto nel 1915 La malariologia sulle cui pagine si trovavano contributi a carattere divulgativo di vari malariologi tra cui Celli e Marchiafava.  

L’insegnamento di Igiene Antimalarica superò presto i confini della regione campana per affermarsi nel Lazio, e nel resto del Meridione. Nel Nord si diffuse soprattutto in Lombardia. Tuttavia sino al 1912 l’insegnamento antimalarico non fu obbligatorio, né vi fu un’iniziativa statale atta a promuoverlo o a finanziarlo. Il regime fascista farà delle scuole statali e dell’insegnamento antimalarico un ennesimo strumento della propaganda.

  






 


La protezione meccanica delle abitazioni promossa soprattutto da Grassi per prevenire l'entrata delle zanzare, incontrò numerosi ostacoli per la difficoltà e i costi di applicazione delle reti metalliche, e per l'incuria degli abitanti.





Angelo Celli con la moglie Anna Fraentzel

Distribuzione del "Chinino di Stato" nelle campagne antimalariche dell'Agro Romano e dell'Agro Pontino da parte di Angelo Celli, di ufficiali della Croce Rossa Italiana (in alto) e di una "profilassatrice" (in mezzo) all'inizio del secolo scorso. (Foto Croce Rossa Italiana e Museo Storico della Didattica)