La malaria

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La scoperta del vettore e la malariologia italiana

A fine Ottocento l’entusiasmo per le scoperte del grande biologo e chimico francese Louis Pasteur sulla teoria dei germi, fondamento della batteriologia o microbiologia, orientavano anche gli studiosi di malattie trasmissibili ed epidemiche nella loro ricerca. In Italia cause microbiche o di organismi microscopici presenti nelle paludi erano state ipotizzate all’origine della malaria: Balestra la riconduceva all’Alga miasmatica, Lanzi e Terregi al Bacterium bruneum. Nel 1879 l’igienista Corrado Tommasi Crudeli (1834-1900) e Edwin Klebs (1834-1913) individuavano un batterio, nella precisione un bacillo, il Bacillus malariae che inoculato in animali di laboratorio procurava stati febbrili. Nei campioni di sangue degli animali presi in esame si rinveniva infatti il batterio palustre, per quanto in forma diversa da quella presente nei terreni paludosi. Tale ipotesi eziologica ebbe fortuna per dieci anni, sin quando, nel 1889, Camillo Golgi (1844-1926) dimostrò con una sperimentazione clinica e di laboratorio che non esistevano nessi precisi tra il bacillo e la malaria. Le febbri degli esperimenti di Tommasi Crudeli derivavano infatti dalla reazione all’inoculazione di materiale estraneo nell’organismo. Golgi spostava così il presupposto metodologico, invertendo il procedimento battuto dal collega Crudeli: la ricerca muoveva dall’uomo per esser poi confermata nell’ambiente. In sostanza si ricercavano nel paziente malarico gli organismi parassitari, che venivano in una seconda fase ricercati nell’ambiente. Proprio nell’osservazione del sangue dei malati malarici, nel 1880 Alphonse Laveran (1845-1922) aveva rinvenuto il protozoo causa della malaria. La scoperta riscontrò uno scetticismo diffuso in ambiente scientifico, sino al 1885, quando Ettore Marchiafava (1847-1935) e Angelo Celli (1857-1914), confermarono le osservazioni del medico francese, precisando il ciclo di vita degli organismi protozoici da loro chiamati plasmodi. In realtà Marchiafava e Celli, come il resto della cosiddetta scuola romana e gran parte dell’accademia italiana, avevano dapprincipio accolto con diffidenza le osservazioni di Laveran. Incontrato personalmente nel 1882, ne riprenderanno invece il metodo nel 1884, nello studio degli strisci ematici non colorati e la disamina del parassita, fino ad individuarne lo sviluppo. Negli stessi anni Golgi concentrava il proprio studio su casi di malaria quartana, andando ad individuare una correlazione tra il parossismo febbrile e la segmentazione del protozoo (Legge di Golgi), arrivando non solo a dimostrare che il plasmodio di Laveran era effettivamente il parassita all’origine della malattia malarica, ma anche precisando che diversi parassiti, il Plasmodium vivax e il Plasmodium malariae, erano i fattori eziologici della malaria terzana e quartana. Nel 1894 a caratterizzare la terzana maligna dovuta al Plasmodium falciparum saranno Ettore Marchiafava e Amico Bignami (1862-1929).
Nel 1893, era stata annunciata la scoperta sulla “febbre del Texas” che colpiva i bovini, ad opera di Theobald Smith e F. L. Kilborne. I due scienziati avevano dimostrato che tale zoonosi, molto affine alla malaria umana, era causata da un parassita ematofago, la zecca. Angelo Celli in Italia, nell’Agro Romano, Robert Koch in Africa Orientale confermavano nel 1898 con le proprie indagini i risultati americani, in qualche modo aprendo la strada alla “teoria della zanzara” come eziologia della malaria. Amico Bignami salutò la scoperta come un risultato di estrema importanza per la scienza. Bignami aveva intuito nelle zanzare il veicolo di trasmissione della malaria, contrastando le teorie di Manson  secondo cui il parassita passava in forma incistata nell’uomo attraverso l’acqua e l’aria; il clinico italiano ne aveva tratto la dimostrazione proprio dalla caratteristiche delle febbri malariche, che non mietevano vittime indistintamente come le altre malattie epidemiche, effetto che si sarebbe verificato qualora la trasmissione fosse avvenuta attraverso ingestione di acqua palustre o esalazione di aria infetta. Con Dionisi nel 1894, Bignami tentò di dimostrare attraverso analisi laboratoriali la teoria dell’inoculazione, non giungendo però ai risultati sperati dato che le specie di zanzare si dimostrarono poi non essere veicolo di malaria. Sarà Giovanni Battista Grassi (1854-1925), a intuire l’esistenza di specifiche specie come agenti trasmettitori dell’infezione. L’intuizione fu di fatto in parte suggestionata da Robert Koch, che proprio nel 1898 di ritorno dall’Africa discuteva a Roma con Grassi e la scuola di malariologia romana la teoria della zanzara; d’altro canto lo stesso Grassi aveva condotto tra il 1887 e il 1891 vane sperimentazioni sulle Culex  pipiens, specie di zanzara diffusissima. L’esito negativo di questa ricerca aveva portato  in un primo momento lo zoologo italiano a opporsi alla teoria dell’inoculazione. Proprio in una conversazione con il batteriologo tedesco Grassi comprese che nelle zone malariche dovevano esser presenti zanzare specifiche, assenti in zone non malariche. Il metodo in seguito concepito da Grassi per arrivare a individuare la specie-specifica si basò quindi su una analisi comparativa delle zanzare di aree malariche e non malariche. Ricostruita una mappatura delle specie di zanzare presenti in Italia, ridusse quindi il numero delle specie sospette a tre: Anopheles claviger, Culex penicillaris e Culex malariae. Con la collaborazione dei clinici Amico Bignami e Giuseppe Bastianelli iniziò nel settembre 1898 la fase sperimentale della ricerca, sottoponendo volontari a punture di zanzare delle tre specie. Il 4 dicembre del 1898 Grassi annunciava all’Accademia dei Lincei che un uomo sano aveva contratto malaria a seguito della puntura di un Anopheles claviger

In poco meno di un anno (luglio 1898-giugno 1899), grazie al chiaro metodo che combinava un’indagine biogeografica e un’analisi sperimentale condotta sull’insetto e sull’uomo,  lo zoologo italiano scopriva il meccanismo di trasmissione nella malaria umana.  



Andamento della febbre terzana estivo autunnale, registrato da Marchiafava e Bignami (1892)