La malaria

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La malaria in Italia. Cenni Storici

In Italia la presenza del Plasmodium vivax e Plasmodium malariae, parassiti responsabili rispettivamente della malaria terzana benigna e della malaria quartana, è probabilmente attestabile intorno al VIII-VII secolo a.C., in particolare nelle città della Magna Grecia. Proprio l’incremento demografico di questi fiorenti centri delle coste del Sud Italia sino al II secolo a.C. è probabile indice che la terzana maligna non fosse ancora diffusa. Anche la Maremma Toscana, l’Agro Romano e quello Pontino, con un ambiente favorevole al ciclo della malaria, conoscono in questo periodo storico solo le forme più lievi dell’infezione. Nella stessa Roma, sorta in ambiente paludoso, la malaria è presente, ma contrastata dalle opere idrauliche e dalle bonifiche del suolo, donde la sua espansione dei secoli successivi. Una probabile diffusione in Italia del Plasmodium falciparum si ha nel corso del III secolo a.C. Il parassita, introdotto probabilmente per tramite degli scambi commerciali, trova poi terreno fertile in un’epoca segnata dalle guerre puniche: l’abbandono delle campagne da parte della popolazione lascia immensi latifondi incoltivati nelle zone centro-meridionali della Penisola. Una prima bonifica dell’Agro Romano è progettata in epoca repubblicana ma mai realizzata. In epoca imperiale la malaria interessa la penisola a seconda delle condizioni socio-economiche e militari: al periodo della cosiddetta Pax Augusta consegue ad esempio una stabilità economica e sociale capace di contenere il carico sanitario dovuto alla malaria . Il III sec d.C. registra invece una serie di epidemie, tra cui verosimilmente anche quelle malariche. È ormai il declino della Roma imperiale, segnata dall’anarchia militare, aperta alle invasioni barbariche, indebolita nella sua struttura economica e sociale. Declino che si farà definitivo, dopo un ultimo risollevamento delle sorti all’inizio del IV secolo, con l’abbandono di Roma nel 402 da parte degli imperatori. Come spesso accade nella storia, la fine di una dominanza politica determina anche una decadenza culturale. Con la caduta dell’Impero si perde infatti il patrimonio di conoscenze mediche e ingegneristiche ereditate dagli antichi. Le febbri intermittenti, precedentemente  classificate, sono ora confuse con altre febbri epidemiche. Per una differenziazione empirica delle febbri epidemiche bisognerà attendere la fondazione della Scuola Medica Salernitana, nel IX secolo. Alla Scuola, che riprendeva la tradizione medica greco-ellenistico-romana completata dalle nozioni della cultura arabo-ebraica, si deve la successiva rinascita degli studi medici nell’Occidente cristiano.   
Nel V secolo, teatro di gravi sconvolgimenti politici,  l’epidemia malarica si diffonde in molte parti della Penisola Italica, anche nella stessa Roma, che in uno stato di degrado urbano e sociale, subisce continue piene del Tevere. Tra il VI e il VII secolo il Plasmodium falciparum colpisce anche le zone di Ferrara e Ravenna, il delta del Po, e la Laguna Veneta: le epidemie sono probabilmente favorite dalle invasioni barbariche, dalle guerre che lasciavano dietro di loro carestie, dai disboscamenti e dagli impaludamenti. Nelle regioni centro-meridionali della Penisola, la malaria rappresenta una minaccia per la popolazione. Il meridione è terra di conquista musulmana e poi normanna, e a queste guerre di conquista le fonti storiche del periodo associano la piaga delle epidemie, probabilmente malariche. A Roma, è presumibilmente la malaria a fermare le truppe di Federico I Barbarossa nel 1167, e a impedirne la conquista.  I cronachisti dell’epoca riferiscono di un’epidemia che uccise circa settemila soldati sotto le Mura Aureliane. L’esercito in risalita verso Nord perdeva invece duemila militi.
Per impedire il flagello malarico le varie aree infestate oppongono una serie di espedienti. Dal XII secolo le classi più agiate della popolazione prendono l’abitudine di ritirarsi in zone più salubri per evitare le febbri intermittenti del periodo estivo. Il Papato praticò questo espediente dal 1116, sotto il Pontificato di Pasquale II  e lo mantenne sino al XV secolo. A Grosseto l’“estatura” fu ufficiale dal 1333: le autorità locali si spostavano insieme ai ceti abbienti nella vicina Scansano, pratica perpetuata sino al 1897. Il XVI vide una recrudescenza della malaria, ormai endemica in molte parti d’Italia: un esempio per tutti la grave epidemia che colpì Roma e l’Agro Romano nel 1590, causa della morte di due papi, Sisto V e Urbano VIII e di 60.000 persone. Per contrastare la piaga malarica si avanzarono al Nord come nel Centro della Penisola provvedimenti di bonifica idraulica e la messa a coltura dei terreni paludosi. Del XV secolo ad esempio la legge agraria di Sisto IV che permetteva ai contadini dello Stato Pontificio di usufruire di un terzo delle terre lasciate incolte dai proprietari terrieri, legge poi ripresa da Alessandro VII nel XVII secolo. I tentativi di risanare l’insalubre zona dell’Agro Romano, attraverso la coltivazione di grano nel XVI secolo, non ebbero però esisti positivi. Tragico paradigma la colonia di toscani stabilitasi a Fiumicino per una sua bonifica nel 1640, completamente falcidiata dalla malaria. Simile sorte ebbero i coloni lorenesi nella Maremma Toscana nel secolo successivo. Sotto i pontificati di  Innocenzo XI (1676-1689) e Pio VI (1775-1799) si realizzò in parte il progetto di Cornelio Meyer per il prosciugamento delle Paludi Pontine. Le sporadiche misure adottate nelle regioni centro-meridionali del Paese non portarono però a un miglioramento sensibile.  
Più felici  risultati, quantomeno di contenimento delle epidemie malariche, si ebbero nel Nord Italia, in particolare in Veneto. Qui già dal IX secolo erano state istituite particolari magistrature per controllare le acque e gli impaludamenti; la terra che si riusciva a strappare alle acque veniva poi coltivata. Dal X secolo si era anche affermata la pratica dell’enfiteusi, con la quale i proprietari terrieri davano ai contadini la possibilità di fruire di un terreno coltivato in cambio del pagamento di un canone e di una miglioria del fondo. Progetti di bonifica quali  l’irrigimentazione delle acque degli affluenti del Po furono realizzati nel XVI secolo. Diversi editti sulle risaie furono inoltre promulgati nel Seicento in Piemonte e Lombardia: con essi si stabiliva la distanza delle coltivazioni risicole dai centri abitati e si imponeva l’acqua corrente nelle risaie. È certo che un declino della malaria nelle zone settentrionali del Paese fu dovuto a un’organizzazione socio-economica più avanzata, e al conseguente miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Come nel Nord Europa, per quanto in misura minore, si praticarono innovazioni nel campo dell’agricoltura e dell’allevamento, nonché si assistette a un miglioramento delle condizioni abitative. Il caso delle risaie è esemplare: una loro diffusione aumentò certamente i casi di terzana primaverile, ma l’innovazione delle tecniche di coltivazione associata a una miglioria delle condizioni igieniche e abitative arginarono l’endemia.

Nel Settecento le nuove conoscenze idrauliche permisero di perfezionare le opere di bonifica. Un esempio per tutti quello esperito in Val di Chiana nel 1703 ove fu praticata una manutenzione sistematica dei canali con ripulitura annuale, una sistemazione dal punto di vista idraulico con interventi combinati con la coltivazione delle terre sottratte alle acque.



   

Scheletro di bambino rinvenuto a Lugnano in Teverina. Il decesso è attribuibile alle epidemie di malaria che colpirono l’Italia nel V secolo.

 

Progetto di Leonardo da Vinci per la bonifica delle paludi pontine, Windsor, Royal Library, n° 12686

 

Mappa dell'Agro Pontino dopo la bonifica effettuata durante il pontificato di Pio VI. S. Salvati.





L'ambiente palustre delle zone litoranee del Tirreno (Maremma, Agro Romano, Agro Pontino) e dell'Adriatico (Laguna Veneta e foce del Po) costituiva l'ambiente di sviluppo larvale dei principali vettori di malaria in Italia.

 
   

La miniatura del XII sec. illustra i punti di cauterizzazione per la cura di diverse malattie, tra cui le febbri intermittenti (Pseudo-Apuleio, Herbal, The Bodlein Library - Oxford). In Europa la cauterizzazione era praticata generalmente bruciando del cotone sulla pelle