Capitolo III - La Matematica italiana nel cinquantennio 1890-1940

Parte 2 - La "grande guerra" e le sue conseguenze



3. Le conseguenze della guerra


Abbiamo già analizzato, nella scheda relativa alla crisi del Circolo Matematico di Palermo, alcune conseguenze implicate dalla rottura dell’internazionalismo scientifico. Si tratta ora di proseguire nell’analisi, cercando di mostrare come cambia la visione della scienza nell’immaginario di due esponenti diversi della comunità matematica, Volterra e Picone, e quali sono le ipotesi di riorganizzazione da loro perseguite.

 

3.1 Volterra

Abbiamo già osservato come i rapporti tra scienza, industria e apparati militari fossero ancora tenui immediatamente prima della guerra e durante il suo svolgimento. Nei Paesi alleati, con una più sviluppata struttura statale e militare, si avverte però l'esigenza di muoversi nella direzione di un loro significativo coinvolgimento. La guerra non farà altro che incentivare questa tendenza. Significative, a tale riguardo, le parole pronunziate da Arnaud Denjoy nella sua allocuzione alla “Réunion Internationale des Mathématiciens” [Paris 1937, Exposition internationale]33, che abbiamo già citato nella scheda relativa al Circolo matematico di Palermo e sulla quale ora ritorniamo per qualche altra considerazione:

La scienza è un fenomeno sociale che non è possibile isolare e i cui caratteri, ad ogni epoca data, riflettono le condizioni generali della civiltà in cui si sviluppa (...).
Dalla guerra mondiale del 1914-18, la produzione matematica è cresciuta in intensità in proporzioni molto forti. Il fatto è stato meno sensibile nelle regioni appartenenti ai Paesi costituitisi prima del 1914 rispetto ai nuovi Stati che si sono formati nel dopoguerra. In questi ultimi, un nazionalismo molto vivo, ma di natura meritevole di considerazione, ha spinto i governi e i popoli alla fondazione di numerose università, il cui personale docente è stato preso da una nobilissima emulazione per rivaleggiare con i rappresentanti delle scuole straniere più reputate e per tentare, spesso con successo, di superarle.
La scienza ha visto il suo prestigio uscire aumentato dalla guerra. È una considerazione amara. Ma gli splendidi benefici che essa aveva prima dispensato con generosità agli uomini li avevano toccati e commossi molto meno delle rovine e dei disastri sparsi a profusione tra i popoli d’Europa dalla tecnica uscita dalle scienze. L’umanità, indifferente e sdegnosa riguardo alla scienza utile e portatrice di soccorso, è stata colta da considerazione e rispetto per la scienza generatrice di effetti terribili e nefasti.
Indipendentemente da ogni attenzione all’amor proprio nazionale nella competizione perpetuamente aperta tra gli scienziati dei diversi paesi, i popoli o i loro capi qualificati hanno compreso che non solo nella guerra industriale costantemente dichiarata sul terreno economico, ma anche nella guerra delle armi, la cui eventualità non cessa d’essere una minaccia sospesa su tutto l’universo, l’esistenza di un alto potenziale scientifico interno è indispensabile alla sicurezza dello Stato.
L’organizzazione della ricerca scientifica è stata sviluppata o creata in numerosi paesi. In matematica essa si è compiuta con il semplice aumento numerico del personale occupato a tale scopo. (...) Ciò che al contrario ha innovato è la concezione della ricerca scientifica, riguardata come un servizio pubblico indipendente, che giustifica con il suo solo oggetto e senza aver bisogno di completarsi con l’esperienza di un impiego definito, il concorso finanziario dello Stato. Dal suo lato, l’iniziativa rivata ha moltiplicato le borse di studio e le sovvenzioni.

All’epoca in cui queste parole venivano pronunziate, l’Italia si baloccava con la sua “autarchia” economica e intellettuale. Eppure, all’indomani della guerra le premesse sembravano in sintonia con le citate parole di Denjoy. Si leggano per esempio le seguenti parole pronunziate da Orso Mario Corbino, il sostenitore di quella stupenda scuola di fisica raccolta a Roma attorno a Enrico Fermi (1904-1959), alla prima Riunione post-bellica (Trieste 1921) della “Società Italiana per il Progresso della Scienza” (SIPS)34:

E fra coloro cui va rivolta la nostra gratitudine, consentite che io comprenda anche i cultori della scienza e i docenti della scuola. Per quanto siano notevoli le deficienze tecniche della scuola italiana nei suoi vari ordini, nessuno può contestare la sua efficacia educativa, dopo l'esempio mirabile offerto dalla gioventù italiana sui campi di battaglia. Tutte le classi sociali si sono nel lungo cimento coperte di gloria, ma in nessuna, come nella classe degli studenti, fu così grande e sereno il disprezzo del pericolo e della morte. L'esempio del grande maestro, di Giacomo Venezian, non fu vano; e non fu inutile il sacrificio di Adolfo Viterbi, di Luciano Orlando, di Ruggiero Torelli, di Eugenio [Elia]  Levi.
Dietro gli eroici combattenti apprestava armi e risorse sempre nuove l'industria italiana, che sentì di colpo la potenza derivante da un più stretto contatto con gli uomini di scienza. E a favorire il progresso della scienza, di cui si intuì la estrema importanza, si svolse con slancio tutto il paese.
Ma, se la scienza fu il fattore primo della vittoria dell'Intesa, e intervenne con l'ausilio dei suoi potenti mezzi di distruzione, il mondo non deve dimenticare che solo la scienza può risanarlo delle spaventevoli rovine che la guerra richiese. Sono della scienza in un certo senso i requisiti che il nostro Manzoni considerava gli attributi della divinità:
Quel Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola...

E la scienza saprà, io ne ho fede, riparare i danni che ha dovuto produrre per il trionfo della giustizia nel mondo.

I fatti dimostreranno che non era così. Ci vollero meno di vent’anni perché una guerra ancora più distruttiva causasse danni ancora più tremendi. Ma allora era bello crederlo.
Ci credeva almeno, assieme a Corbino, anche Volterra. Dal conflitto, la sua figura è uscita ancora più rafforzata. Ha “scommesso” sull'intervento e su un “interventismo democratico” contro la “barbarie germanica”. Durante la guerra, oltre alle azioni militari – cui abbiamo fatto cenno – e a un notevole impegno per l'utilizzo delle conoscenze scientifiche, si è fatto pure promotore di iniziative culturali che rinsaldassero nella società un'alleanza che non fosse solo militare. Ha così costituito nel 1916, una Associazione italiana per l'Intesa fra i Paesi alleati e amici per favorire lo scambio di informazioni, docenti e studenti tra le Università delle nazioni alleate. I fatti e gli esiti del campo di battaglia gli hanno dato ragione. È uscito anche rafforzato nella sua “filosofia”, favorevole ad uno sviluppo della Matematica lungo le frontiere di una ricerca astratta e profondamente innovativa ma sempre guidata, nella scelta delle sue formalizzazioni, dai riferimenti alle applicazioni. Capisce che l'interazione tra scienza, da una parte, e tessuto sociale e produttivo, dall'altro, diventerà una caratteristica forte dei Paesi industrializzati. La scienza – sostiene Volterra già nel 1915, durante la commemorazione di Poincaré, tenuta al Rice Institute – ha cessato di essere esclusivamente il prodotto di pochi scienziati, per diventare un'impresa collettiva; adesso ha bisogno di essere organizzata e coordinata nel suo sviluppo. Volterra, infine, esce dal conflitto ulteriormente consolidato nel suo prestigio personale. È, di fatto, il rappresentante della Matematica italiana in tutti gli organismi e i consessi che, durante la guerra e nei mesi immediatamente successivi alla fine del conflitto, preparano – a livello istituzionale – il nuovo assetto scientifico dell'Europa. La sua posizione nella comunità scientifica italiana e la sua vasta e articolata rete di rapporti internazionali lo rendevano infatti un referente naturale per le autorità militari e di governo in questo campo.
La Francia era per Volterra una seconda patria scientifica e la cooperazione militare interalleata coinvolgeva personalità francesi (come Picard, Borel, Hadamard e Painlevé) con cui il matematico italiano aveva relazioni scientifiche e personali di lunga data. Ma la cooperazione militare interalleata si estendeva a entrambe le sponde dell’Atlantico, trovando un importante referente nell’astronomo George Ellery Hale (1868-1938). Volterra non era affatto impreparato a questo contatto, avendo guardato con attenzione agli Stati Uniti fin dai primi anni del nuovo secolo: nel settembre 1909 per la prima volta si era recato a Boston, dove era stato invitato da Arthur G. Webster a tenere una conferenza nel quadro dei festeggiamenti per il ventennale della Clark University. Pochi mesi prima aveva incontrato Hale a Bruxelles, e poi a Roma, dove l’astronomo americano era stato invitato a tenere una conferenza sulle sue ultime scoperte relative alle macchie solari. Nel 1911, inoltre, proprio per iniziativa di Hale, Volterra era stato chiamato a far parte della National Academy of Sciences di Washington.
Nel suo primo viaggio americano Volterra non aveva potuto visitare l’Osservatorio di Mount Wilson, del quale l’astronomo americano era il fondatore e il direttore. L’osservatorio e la residenza di Hale erano state però tappe di rilievo in due viaggi successivi del 1912 e del 1919), rivelando il perfetto accordo tra i due scienziati e la condivisione di idee e prospettive su diversi argomenti. Di fatto, entrambi stavano affrontando, nel proprio Paese, problematiche analoghe, con l’obiettivo di creare un ambiente istituzionale favorevole alla cooperazione tra la comunità scientifica, il mondo politico e l’industria: vi erano grandi differenze, ovviamente, tra un paese dove la struttura industriale era già forte e orientata alla crescita attraverso la ricerca, e l’Italia del decollo industriale, dove tuttavia solo una parte della classe dirigente aveva chiara la necessità di uno sviluppo industriale collegato ai progressi della ricerca scientifica; proprio Volterra aveva posto questo tema al centro di molti suoi interventi. Durante i lavori della commissione per il Politecnico di Torino Volterra aveva studiato attentamente il modello tedesco di relazioni tra università e industria, e lo aveva indicato (insieme ai colleghi) come un modello da seguire nell’ordinamento del nuovo istituto. Tuttavia egli era maggiormente attratto dallo sviluppo allora in corso negli Stati Uniti, dove la cooperazione fra ricerca e industria non era assicurata (come in Germania) da un forte controllo statale su entrambi gli attori del processo, ma piuttosto era favorita e resa inevitabile da un contesto nel quale vi era una forte compenetrazione personale tra il management industriale e il mondo della ricerca e dell’istruzione superiore. Tra il 1907 e il 1920 Hale era stato il principale esponente di questo orientamento nella comunità scientifica statunitense: ebbe un ruolo di primo piano nella fondazione di Caltech, nel rinnovamento e nel rilancio della National Academy of Sciences, e fin dal 1915 operò per la preparazione del suo Paese a un possibile intervento nella prima guerra mondiale; è in questo quadro che egli promosse la creazione del National Research Council.
Come si è già detto, nel 1917 Volterra era stato nominato direttore dell'“Ufficio Invenzioni e Ricerche” del Ministero per le Armi e le Munizioni: egli vedeva così riconosciuto il proprio ruolo, in una posizione di cerniera tra il mondo della ricerca scientifica e gli ambienti della mobilitazione industriale e militare. Durante la guerra i suoi rapporti con l’altra sponda dell’Atlantico si erano fatti ancora più stretti, anche grazie alla funzione di collegamento svolta tra Roma, Parigi e i comandi militari statunitensi da due giovani studiosi in uniforme: Griffith C. Evans (1887-1973) per la parte americana e Giorgio Abetti (1882-1982) per quella italiana. Dopo una brillante laurea in matematica a Harvard nel 1910, Evans aveva vinto una Sheldon Travelling Fellowship e aveva deciso di utilizzarla per perfezionarsi in Italia presso Volterra: negli anni tra il 1910 e il 1912 si era stretto fra i due un forte legame maestro-discepolo, che sarebbe durato per tutta la vita; anche dopo il rientro in patria Evans, che parlava correntemente italiano, francese e tedesco, continuò a informare Volterra sulle vicende della politica economica e scientifica americana, e durante la guerra fu inviato in Europa come ufficiale di collegamento dell’aeronautica statunitense. Giorgio Abetti era figlio dell’astronomo fiorentino Antonio, collega e amico di Hale e Volterra, ed era destinato a una carriera scientifica assai brillante: egli poté compiere un lungo periodo di perfezionamento presso l’Osservatorio di Mount Wilson, e questo coincise in parte col periodo della guerra; si trovò così a svolgere un importante ruolo nelle comunicazioni tra Volterra e Hale, sia durante la guerra, sia negli anni successivi, quando queste sue relazioni furono assai utili allo sviluppo delle ricerche di fisica solare nell’Osservatorio di Arcetri.
Riportiamo a questo proposito una interessante lettera di Hale a Abetti del 15 maggio 1919 (inviata per conoscenza a Volterra dallo stesso Abetti) in cui si nomina anche l’Italian Research Council, il progetto cui Volterra si stava già da tempo dedicando e che avrebbe portato alla fondazione del CNR:

Mio caro Dr. Abetti,
Ho appena ricevuto la sua gradita lettera del 10 Maggio e sto inviando la mia risposta a Roma dal momento che non farebbe in tempo a raggiungere Washington prima del suo imbarco.
Sono molto contento di avere gli schizzi e le illustrazioni che lei è stato così gentile di inviarmi, e li prenderò in considerazione molto attentamente. L’intero progetto è molto attraente, e lo trovo descritto in tutti i dettagli. Se lei decide di costruire una torre telescopica e ha bisogno di fondi aggiuntivi per dotarla di uno spettrografo o di uno spettroeliografo, penso di poterla aiutare ad ottenerli. [A penna è appuntato: “per la torre solare in Arcetri”].
Come per il rapporto sul lavoro ottico fatto qui per il Dipartimento di Artiglieria, esso sarà trasmesso appena sarà disponibile per la distribuzione.
Lei ha compiuto una sevizio molto valido in questo paese durante la guerra, e io sono molto contento di aver avuto molte occasioni di vederla durante il soggiorno a  Washington. Sono tuttavia sicuro che lei sarà contento come me di lasciare i compiti di guerra e ritornare al suo paese e al lavoro astronomico. Qui non c’è mai stata una opportunità più favorevole di quella che ora godiamo di fare ricerche in ogni direzione, e sono sicuro che lei  ne trarrà vantaggio subito al suo rientro.
La prego di porgere i miei migliori saluti a suo padre e al Senatore Volterra. Spero che il suo progetto per il Consiglio Italiano delle Ricerche avrà successo e che noi possiamo avere il piacere di rivederlo in questo paese in un futuro non troppo lontano.

A ulteriore dimostrazione del fatto che da lungo tempo Volterra stava preparando il terreno per il suo CNR, riportiamo una lettera del 3 luglio 1919 del Sottosegretario per le Armi e Munizioni al Col. Crocco (in qualità di Direttore dell’Istituto Centrale Aeronautico [ICA]), il quale la invierà a Volterra per conoscenza, dove è già anticipato che il materiale (bibliografico e altro) contenuto nell’«Ufficio Invenzioni e Ricerche» sciolto a fine guerra, sarà “preso in consegna” da questo Istituto (ICA) “con la condizione” di passarlo al CNR quando esso verrà costituito:

Mi pregio comunicare alla S.V. di aver disposto che l’Ufficio Invenzioni e Ricerche cessi le sue funzioni dal 15 corrente, e che tutto il materiale scientifico, la biblioteca, l’archivio, il macchinario ed i mobili dell’Ufficio medesimo vengano presi in consegna da codesto Istituto, con la condizione che quando sarà costituito il “Consiglio Nazionale di Ricerche” tutto quanto sopra passerà in proprietà del Consiglio medesimo.
Non credo che potranno esservi difficoltà per questo; ad ogni modo prego presentarmi le opportune osservazioni e proposte: in modo speciale per quello che riguarda l’impianto per aria liquida di recente catturato a Trento, impianto che certo si deteriorerebbe se rimanesse inoperoso; e per quello che riguarda la ultimazione e la pubblicazione a stampa delle relazioni relative all’Azoto, allo Zinco, alle ceneri di Pirite, alla Potassa, nonché di alcune altre sopra argomenti di Fisica che l’Ufficio Invenzioni lascia in corso di avanzata redazione.

Non stupisce, alla luce di quanto detto finora, che Volterra sia stato nel biennio 1918-1919, con l’inglese Arthur Schuster e il belga Georges Lecointe, uno degli interlocutori europei di Hale, quando questi si fece promotore della creazione dell’International Research Council. L'obiettivo di Hale era duplice: in patria, proiettare il National Research Council su una dimensione internazionale per renderne permanente l'attività dopo la fine della guerra; all'estero, esportarne il modello per favorire la nascita di un'organizzazione stabile della comunità scientifica internazionale, il cui nucleo fondatore fosse formato dalle potenze vincitrici secondo le loro esigenze, esteso ai paesi neutrali ma con l’esclusione di Austria e Germania (almeno in una prima fase), capace di comprendere al proprio interno tutte le discipline, e al tempo stesso espressione, per la prima volta in campo scientifico, di una capacità d’iniziativa statunitense. Le esperienze che venivano messe a frutto in questa circostanza erano da un lato quella della cooperazione intellettuale e scientifico-tecnica tra le potenze vincitrici della guerra, dall'altro quella della collaborazione internazionale nel campo della ricerca astronomica, e in particolare del settore astrofisico, nel quale la figura di Hale aveva svolto un ruolo particolarmente rilevante non solo per i suoi contributi scientifici ma anche per la sua capacità organizzativa. Quando il complesso iter diplomatico di costituzione dell’International Research Council giunse a compimento con la conferenza interalleata di Bruxelles del luglio 1919, Hale ebbe la presidenza del nuovo organismo, del quale Volterra divenne vicepresidente: avrebbe conservato questa carica fino al 1928. Subito dopo la guerra il matematico italiano fu anche nominato presidente del Bureau International des Poids et Mésures, incarico che avrebbe conservato fino alla morte; segretario generale era lo svizzero Charles Edouard Guillaume (Premio Nobel per la Fisica nel 1920): sotto la loro guida venne realizzato l’ampliamento della sede del Bureau presso il Pavillon de Breteuil, grazie al contributo della Fondazione Rockefeller (1929-1931), e furono stabilite alcune nuove unità di misura in campo elettrico e fotometrico.
Ma è in patria che Volterra ha qualche difficoltà. Il suo programma, di costituire le sezioni italiane che dovranno poi aderire agli organismi internazionali deve scontare qualche momentanea battuta d’arresto sia per le preoccupazioni suscitate dalla “guerra fredda” scientifica cui abbiamo accennato sia per la complicata situazione politica del Paese in questo primo dopoguerra. Ma andiamo con ordine.
La sua prima realizzazione, all'inizio degli anni Venti, è l'Unione matematica italiana (UMI) che quindi nasce, non tanto come espressione di motivazioni interne alla comunità matematica (come era stato per altre società professionali italiane, quali ad esempio quelle dei fisici o dei chimici), quanto in corrispondenza del voto formulato dal Consiglio Internazionale delle Ricerche, nelle sedute del luglio 1919. Da Bruxelles era giunto l'auspicio che in tutti i Paesi alleati si formasse una Unione per le diverse discipline.
Volterra comincia a parlare concretamente dell’UMI in una circolare preparata nel marzo del 1920:

È vivo desiderio di molti studiosi di costituire una unione italiana la quale raccolga i matematici, analoga a quelle già fondate per le scienze chimiche, per le scienze astronomiche e per l'Oceanografia.
L'Unione si propone:
a) l'incoraggiamento alla scienza pura –
b) il ravvicinamento tra la matematica pura e le altre scienze –
c) l'orientamento ed il progresso dell'insegnamento –
d) l'organizzazione, la preparazione e la partecipazione a congressi nazionali ed internazionali.
Questa unione si propone altresì di ricongiungere e coordinare le forze delle altre associazioni nazionali esistenti.

Nelle intenzioni di Volterra, la circolare avrebbe dovuto essere firmata da una decina di colleghi. Alla fine qualcuna delle firme previste manca, probabilmente per le stesse ragioni che figurano in una lettera di Pietro Burgatti a Levi-Civita del 5 ottobre 192035:

so che ti sei meravigliato di vedere il mio nome tra le firme della circolare d'invito per una unione dei matematici. In verità mi sono meravigliato anch'io. Non prestai sufficiente attenzione a quanto mi disse rapidamente il Sen. Volterra, e non pensai che l'unione potesse mirare – come ora mi si dice – ad una azione antitedesca. Aderii verbalmente senza dare importanza alla cosa e senza credere d'impegnarmi con una firma. Questo ti dico confidenzialmente e pregandoti di non farne parola al Volterra, perché infine non posso incolpare che me stesso. E te lo dico perché tu abbia direttamente la conferma di quanto avevi felicemente intuito sulla portata della mia azione. Ma io credo e spero che l'Unione resti un pio desiderio, e che la germanofobia sia, per questo lato almeno, un male passeggero.

L'eccessiva caratterizzazione politica, in chiave antitedesca, è la principale difficoltà che l'UMI si trova a dover fronteggiare nel suo periodo di incubazione. Non ne mancano però altre, a partire dall'inevitabile rivalità che si viene a creare con le associazioni matematiche e scientifiche già esistenti (in particolare con il Circolo matematico di Palermo). È per superare queste difficoltà e tagliar corto alle discussioni che Volterra decide che sarà l’Accademia dei Lincei a costituire l’UMI e a designare il Presidente nella persona di Salvatore Pincherle. Volterra informa ufficialmente Pincherle della sua avvenuta designazione il 18 marzo 1921:

Mi pregio di comunicarLe che si è costituita la “Unione Matematica Italiana” la quale entra così a far parte della “Unione Matematica Internazionale” che insieme alle altre Unioni Scientifiche, compone il “Conseil International de Recherches”. Sono lieto di aggiungere che la Presidenza della “Unione Matematica Italiana” è a Lei affidata; ed a Lei è pure connessa la nomina del Segretario della Unione stessa; nomina della quale, a suo tempo, Ella vorrà dare comunicazione al prof. Emilio Picard Presidente del “Conseil International”.

Sarà dunque Pincherle a dover ricucire i rapporti della comunità matematica italiana e recuperare i dissidenti o comunque i “tiepidi”, con particolare riguardo a Levi-Civita. A lui è diretta la lettera che segue, del 12 aprile 1922:

E poiché ho occasione di scriverti, mi permetto di rivolgerti una preghiera; ed è di non fare cattivo viso all'iniziativa che, a preghiera d'alcuni colleghi e quasi à son corps défendant, ho dovuto prendere, di costituzione dell'Unione Matematica Italiana. Si tratterebbe di aver fra noi qualcosa d'analogo alla Deutsche Math. Vereinigung o alla Société Mathématique de France e a quanto hanno da noi i fisici, i chimici, i geodeti, ecc. La mia azione è affatto provvisoria, ma ci ho messa tutta l'anima, coll'intendimento, appena si raggiunga un numero sufficiente di soci, di lasciare l'impresa nelle mani d'una presidenza che verrà eletta dai soci stessi e dovrà essere formata d'elementi giovani e fattivi: la mia è dunque pura opera d'éclanchement, e per riuscire, conto sul ben volere e sull'appoggio dei colleghi.

Pincherle non pensa ad una semplice rappresentanza per le iniziative internazionali, ma vuole costituire una vera associazione professionale, con una struttura autonoma non dissimile da quella di società già esistenti (la Société Mathématique de France, fondata nel 1872, la Deutsche Mathematiker-Vereinigung, costituitasi nel 1890; l'American Mathematical Society fondata nel 1891). È un momento topico per la storia della Matematica italiana. Quando i numeri crescono, è attraverso una società professionale che è possibile far funzionare comunità disciplinari ben organizzate, sia formando il consenso attorno a determinati standard di qualità scientifica sia regolando la distribuzione delle risorse in base alla reputazione scientifica. Così alla fine, con questo parziale cambiamento di rotta e il progressivo ammorbidimento delle posizioni più critiche36, l'UMI si avvia verso la navigazione. Volterra ce l'ha fatta! Il 31 marzo 1922, Pincherle rompe ogni indugio e invia a tutti i colleghi una circolare di presentazione del programma della costituenda società.
Il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) è l'altra grande realizzazione di Volterra nella prima metà degli anni Venti. È il coronamento di una lunga attività. È anche l'espressione di una profonda sintonia tra quello che è ancora il leader incontrastato del mondo matematico italiano e le tendenze della ricerca europea.
La fondazione del CNR si colloca all'interno dello stesso processo che ha portato alla nascita dell’UMI: il CNR viene progettato come espressione italiana del Consiglio Internazionale delle Ricerche e come organo teso a razionalizzare e a sviluppare l'organizzazione scientifica del Paese. La direzione è quella di strutturare l'organizzazione scientifica, andando ben al di là delle Accademie, con rapporti più saldi con il mondo industriale e una promozione pubblica della ricerca.
L'atto di nascita porta la data del 18 novembre '2337. Il periodo di gestazione si è rivelato particolarmente lungo38, se si tiene presente che Volterra aveva cominciato a lavorare a una prima stesura dello statuto nel febbraio 1919. Bisogna tener presente le lungaggini burocratiche, i continui cambi di governo e in generale il delicatissimo momento che l'Italia vive proprio in quei mesi. Lo statuto – finalmente approvato nell'ottobre 1924 – sottolinea il ruolo nazionale del nuovo organismo, che non si limita a costituire la propaggine italiana del Consiglio Internazionale delle Ricerche: il CNR deve coordinare e razionalizzare l'attività di ricerca esistente, sviluppando in proprio alcune aree: “coordinare ed eccitare l'attività nazionale nei differenti rami della scienza e delle sue applicazioni; tenersi a contatto con i vari centri statali per le questioni scientifiche; gestire ed eventualmente istituire laboratori di ricerca di carattere generale e speciale”. L'organo di auto-governo è rappresentato da un Consiglio, che elegge al proprio interno il presidente e il segretario generale e nomina l'amministratore.
Il 12 gennaio 1924, Volterra viene eletto all'unanimità presidente del CNR. È forse il momento della sua maggior visibilità. L’anno prima è stato nominato presidente dell'Accademia dei Lincei, dopo esserne stato vice-presidente nel triennio precedente. È l'“eminenza grigia” dell'UMI (che funge da Comitato matematico del CNR), e rimane il personaggio più autorevole della SIPS, senza contare le presenze e le presidenze in altre società scientifiche e un peso politico davvero ragguardevole nei vari organismi internazionali.
Lo statuto del CNR riflette le grandi speranze del suo promotore. Si vuole superare il modello di una ricerca accademica, libera ma in realtà pesantemente condizionata dalla scarsità di mezzi e dalla frammentazione imposta dall'organizzazione universitaria e dal personalismo dei suoi attori. Si vuole nel contempo orientare la ricerca verso i grandi problemi del Paese, superando i modesti orizzonti entro cui si muovevano i pochi Enti e i laboratori pubblici e avviando una qualche integrazione tra scienza e tessuto sociale e produttivo.
È questa però, l’ultima e fugace vittoria: nel giro di un paio d'anni, infatti, sarebbe avvenuta la rottura aperta col governo fascista e il progressivo isolamento del “vecchio leone”. Il profilo dell'attività di Volterra in questo periodo non sarebbe comunque completo se non citassimo un altro importante ruolo da lui ricoperto a partire dal 1924: quello di referente per l'Europa, nel campo delle discipline fisico-matematiche, dell'International Education Board, l'organo che gestiva le borse di studio e altre attività educative internazionali della Fondazione Rockefeller.
Alla fine della guerra le borse Rockefeller furono uno strumento importante per la strategia di potenziamento del National Research Council promossa da Hale: l'estensione su scala internazionale di questa, come di altre attività della Rockefeller, si concretizzò in interventi importanti in vari paesi europei e anche in Italia negli anni Venti e Trenta. Anche in questo campo Volterra svolse una funzione di primo piano fino alla fine degli anni Venti: il suo parere fu determinante perché la Fondazione sostenesse nelle loro esperienze di formazione e ricerca all'estero diversi matematici europei (soprattutto francesi), finanziasse il potenziamento del Bureau International des Poids et Mésures (la prima proposta in tal senso venne da Volterra) e la creazione dell’Institut Poincaré di Parigi (nella cui cerimonia inaugurale Volterra ebbe un ruolo di primo piano). Non stupisce dunque il soprannome dato al grande matematico dai suoi colleghi anglosassoni: Mr. Italian Science; un soprannome che fotografa bene il suo ruolo, ma al tempo stesso dice qualcosa sulla fragilità intrinseca che gli interlocutori percepivano nella comunità scientifica da lui rappresentata.

 

3.3 Picone e l’Istituto per le Applicazioni del Calcolo

Abbiamo già detto del ruolo di Picone in guerra. È chiamato alle armi il 15 febbraio del 1916 e dopo pochi mesi di addestramento nominato sottotenente e spedito in zona di operazioni. Picone, che fu sempre un fervente patriota, partì pronto a fare il suo dovere di combattente. Ma il destino, è proprio il caso di dirlo, volle altrimenti. Un colonnello di artiglieria, Federico Baistrocchi (1871-1947), destinato poi a rilevanti cariche durante il fascismo, si trovava in gravi difficoltà per l'uso delle artiglierie di medio e grosso calibro in zone di montagna. Infatti le tavole di tiro in dotazione all'esercito italiano non prevedevano il caso di grandi dislivelli fra la quota della bocca da fuoco e quella del bersaglio. Il loro uso, sia pure con qualche sommaria correzione, portava a risultati disastrosi. Il colonnello Baistrocchi, venuto a conoscenza dei titoli scientifici di Picone, gli ordinò di porre riparo alla situazione entro trenta giorni, preparando delle nuove tavole di tiro. Picone assolse brillantemente il compito affidatogli e continuò poi fino alla fine della guerra in una profonda opera di rielaborazione e perfezionamento delle tavole di tiro. Ciò gli valse dapprima una promozione a tenente per meriti eccezionali e poi una promozione a capitano per meriti di guerra.
Ma, soprattutto, il successo ottenuto in questo campo gli rivelò le enormi possibilità del calcolo numerico e maturò in lui l’evoluzione intellettuale che condizionò poi il resto della sua vita. Fu infatti in quegli anni che egli concepì l'idea di un Istituto in cui le possibilità del calcolo numerico fossero messe a disposizione delle scienze sperimentali e tecniche. Nella sua concezione un tale Istituto, impegnato nella ricerca e nella elaborazione di metodi nuovi atti a risolvere i problemi che gli sarebbero stati man mano proposti, avrebbe contribuito profondamente con la sua attività anche al progresso dell'analisi39. Molto deve avere influito in tale evoluzione la creazione dell’Ufficio di Studi balistici presso la Sesta Armata italiana.
Sia consentito ricorrere ancora una volta alla sua autobiografia [Picone 1972]:

Finita la guerra, ritornato nelle aule universitarie, nonostante che fossi subito preso dalla necessità di riconquistare la posizione che avevo perduta, durante i tre anni di guerra, nell'agone puramente scientifico, non cessai mai di pensare alla Matematica come potente ausilio alle Scienze sperimentali e alla Tecnica, e ad un'organizzazione delle cose che avesse consentito al matematico d'intervenire tempestivamente nei problemi, di indole prettamente matematica, che si fossero opposti al progresso delle ricerche in quelle scienze e delle loro applicazioni, anche industriali.
Mi balenò, fin da quei primi anni della riconquistata pace (ahimè, quanto provvisoria!) l'idea della creazione di un Istituto, nel quale matematici, muniti dei più potenti strumenti di calcolo numerico, avessero potuto collaborare con cultori di Scienze sperimentali e con tecnici, per ottenere la concreta risoluzione dei loro problemi di valutazione numerica.
Pensavo che la fantasia matematica, a patto che poggi su solide basi analitiche, può essere capace delle più grandi conquiste negli affascinanti problemi che la Scienza della Natura pone al nostro raziocinio, ma se non si voleva che tutto fosse finito, come dice Leonardo «in parole» era indispensabile fornire il matematico di una potente organizzazione di mezzi per addivenire alla valutazione numerica delle grandezze considerate nei problemi in istudio. Da qui l'impiego delle macchine calcolatrici, anche da parte del matematico, da qui la concezione di laboratori anche per il matematico, che non poteva più essere raffigurato come l'astratto isolato pensatore a cui basta, per il suo lavoro, soltanto carta e matita. Il matematico doveva uscire dal chiuso della sua stanza da studio e scendere tra la folla di coloro che cercano di svelare i misteri della Natura e di conquistarne i nascosti tesori.
Fin da quegli anni, io andai propugnando, con inesausta tenacia, queste mie idee fra i miei amici e nel mio insegnamento, in ambienti scientifici ed in ambienti industriali. Ma esse progredivano con estrema lentezza! È, oggi più che mai, inesplicabile la contrarietà al loro avanzamento che proveniva da quasi tutti i matematici.

Con “inesausta tenacia”, dice Picone, ed è vero, ma anche con una fortissima dote di lungimiranza. Nel 1923, illustrando ai soci del “Circolo Matematico” di Catania il ruolo degli scienziati durante la “grande guerra”, Picone aveva concluso con una lucidissima previsione sull’importanza della scienza e della tecnologia nelle guerre future:

Bisogna pensare all’avvenire! Io mi auguro che la mia voce d’allarme, anche emessa così dal basso, possa arrivare in alto: In una futura guerra vinceranno gli eserciti che saranno tecnicamente più preparati; le future guerre saranno guerre fra scienziati. [Il bold è nostro]

Proprio per far sentire in alto la sua voce, aveva inviato una copia della conferenza al “duca della Vittoria”, Armando Diaz (1861-1928), Ministro della Guerra del primo Governo Mussolini40. Ma ancora i tempi non sono maturi. Nel 1925 Picone si trasferisce all’università di Napoli e qui, a contatto con una situazione locale favorevole alla creazione di piccoli istituti monocattedra dotati di relativa autonomia anche finanziaria, riesce a mettere su un piccolo “Istituto di Calcolo” e a fare proselitismo: il suo primo allievo è quel Renato Caccioppoli (1904-1959), che si caratterizzerà da subito come una figura importante per il rinnovamento dell’Analisi italiana.
Stanno in questi due elementi i fattori determinanti del successo di Picone: le sue sensibilità di Maestro e la creatività di inventare un modello organizzativo, non disgiunta da pionieristiche qualità manageriali.
Quello che nel 1932 diventerà l'Istituto Nazionale per le applicazioni del Calcolo (INAC) nasce nel 1927 grazie all'interessamento di L. Amoroso e ad un finanziamento del Banco di Napoli. Picone ricorda all’inizio un “embrionale Istituto di Calcolo, munito di macchine calcolatrici di potenza modesta, ma sufficiente ad iniziare l'esperimento”. Se i mezzi di calcolo automatico sono limitati, quello che si realizza è comunque un vero e proprio prototipo – non solo per l'Italia – dei futuri istituti di Analisi numerica e Centri di calcolo. “Arrise ad esso il più insperato successo” – ricorda ancora Picone – tanto che il piccolo istituto napoletano segue Picone a Roma, trasformandosi in INAC, uno degli Istituti di quel CNR riorganizzato e presieduto (dal '29) da Guglielmo Marconi. L'obiettivo è la sinergia con le discipline sperimentali e applicative per lo “studio delle questioni matematiche che a loro interessano, sia allo scopo di conseguire, eventualmente, un'iniziale precisa formulazione delle questioni stesse, sia allo scopo delle valutazioni numeriche che occorrono, con la necessaria approssimazione”. L'INAC diventa organo di certificazione e si assume il controllo di calcoli “già eseguiti, relativi a progetti di costruzioni civili, meccaniche, elettrotecniche, ecc., allo scopo di garantire l'esatta applicazione delle formule teoriche adottate”. La struttura organizzativa prevede, oltre alla figura del Direttore, un vice-Direttore, alcuni coadiutori e consulenti ordinari e una decina tra calcolatori laureati e disegnatori. Il successo continua. Si sviluppano le consulenze con i Ministeri dell'Aeronautica, dell'Esercito e della Marina e la collaborazione con le industrie di costruzioni civili e produttrici di energia elettrica per i progetti di grandi dighe di sbarramento di acque montane. Ogni anno, mediamente, vengono gestite una cinquantina di consulenze. A loro fanno riferimento le circa 250 pubblicazioni del periodo 1927-1940 che coprono un fronte quanto mai ampio. Si va dalle questioni tradizionalmente più interne all'Analisi a quelle di frontiera tra Analisi e Calcolo numerico, a quelle chiaramente applicative di Meccanica razionale, Teoria delle strutture, Teoria dell'elasticità, Idrodinamica, Aerodinamica ecc.
Le novità espresse dalla presenza dell'INAC nel panorama matematico italiano sono importanti. È la prima volta che la ricerca si organizza al di fuori dello stretto circuito accademico; è la prima volta che i giovani vi vengono avviati attraverso un canale che aggiunge un considerevole numero di posti di lavoro; è la prima volta che la Matematica diventa soggetto e oggetto di consulenza, aprendosi a nuovi rapporti professionali e dando quasi inevitabilmente luogo ad una ricerca che non è più solo individuale ma coinvolge varie figure, dal Direttore ai giovani neo-laureati (arrivando, in qualche misura, fino a un consistente numero di laureandi). Questa appare la forza dell'INAC: una struttura collegata da tanti fili all'Università ma che, rispetto a questa, conta su una grande libertà di movimento e su quell'insostituibile risorsa costituita dall'entusiasmo del Direttore-fondatore e di un piccolo gruppo di suoi collaboratori.
I cambiamenti di cui Picone è artefice non si limitano all'aspetto strutturale-organizzativo, ma coinvolgono i contenuti della ricerca e il significato stesso dei termini che si usano quando dice di voler affrontare e risolvere un problema matematico. È una nuova mentalità numerica che si affaccia sulla scena della Matematica italiana. Non basta dimostrare un teorema di esistenza, ed eventualmente di unicità, ma occorre – in modo altrettanto essenziale – elaborare procedimenti costruttivi per il calcolo della soluzione; occorre, in altre parole, la stessa attenzione e lo stesso rigore per la determinazione dell'algoritmo numerico, la dimostrazione della sua convergenza e la maggiorazione dell'errore di approssimazione.
Picone naturalmente non è il primo (neanche in Italia) ad affrontare simili questioni. È però la prima volta che i matematici si fanno esplicitamente carico di problemi che emergono anche in altri contesti e che, in uno stesso Istituto, si trovano integrate ad alto livello competenze teoriche e sensibilità numerico-applicative. Finalmente l'annoso dibattito – già negli anni Trenta! – sui rapporti, i confini e le conflittualità tra Matematica pura ed applicata ha la possibilità di non basarsi solo su considerazioni di principio ma di svilupparsi su un'effettiva e significativa esperienza di lavoro.
Difficile dire cosa sarebbe stato di questo progetto senza il fascismo, la sua svolta autarchica e le sue avventure belliche. Di certo c’è che Picone si è molto giovato della sua adesione al fascismo41, cui approda da convinte posizioni nazionalistiche, e dei suoi stretti legami con gli apparati militari, dai quali riceve un sostegno decisivo per far conoscere e apprezzare in modo significativo l’INAC alle alte gerarchie fasciste e ottenere sostanziosi finanziamenti. Ecco per esempio cosa scrive Picone nel 1938 presentando l’attività espletata dall’INAC dalla fondazione fino alla svolta “autarchica” e militarista resa estrinseca con la nomina del generale Pietro Badoglio (1871-1956), reduce dalle “imprese” africane, alla Presidenza del CNR:

L’altissimo compito autarchico assegnato dal DUCE al Consiglio Nazionale delle Ricerche può essere affrontato, se, da parte delle industrie, si richiede anche allo strumento matematico di pervenire a ridurre al minimo il materiale impiegato nelle costruzioni, senza comprometterne la stabilità e la potenza,  conseguendo altresì tutta la possibile economia di tempo.
D’altra parte non è da richiedere al tecnico il possesso di quelle elevate cognizioni matematiche che sono di fondamento ai calcoli che impone il compito ora accennato, onde la creazione di questo Istituto nel quale il tecnico potrà trovare tutta l’assistenza scientifica possibile e la piena comprensione delle sue necessità e delle sue mète.
Con ciò non si vogliono affatto negare ai tecnici dell’Industria italiana le grandi benemerenze che essi hanno conquistato nell’economia generale del Paese, ben meritando della Patria. Non si vuole neppure distruggere nel costruttore quel geniale intuito che spesso lo ha felicemente condotto a quelle ardite costruzioni che onorano l’ingegneria italiana, anche al cospetto di quella straniera. Si vuole soltanto che, nel paese di Galileo Galilei, non si dimentichi che il ricorrere talvolta ad un’analisi matematica dei problemi della tecnica, che non sia inceppata da deficienze teoriche e della calcolazione numerica, può portare a conferme fortunate, ma anche a scoperte insospettate e porterà sempre a conquiste definitive.
Gli uffici tecnici delle industrie non possono temere la collaborazione indicata come tendente a sminuirne l’importanza e l’autonomia necessaria, anzi, una volta stabilito il metodo di calcolo adatto per le particolari ricerche nell’indirizzo sopraddetto, tale metodo, con la più assoluta riservatezza da parte dell’Istituto, sarà di loro completa proprietà e potrà essere liberamente applicato e modificato a puro ed unico vantaggio del successo della missione ad essi affidata nell’industria alla quale appartengono. (...)
Molta parte delle ricerche compiute dall’Istituto provengono dai Ministeri della difesa nazionale: la stabilità delle costruzioni aeronautiche, il tiro di bombardamento da aereo, gli apparecchi di stabilizzazione del siluro subacqueo, il tiro delle artiglierie a grandi distanze, le radio-comunicazioni militari, ecc., hanno fornito materia di lunghe e laboriose ricerche, felicemente condotte a termine, con l’ausilio dei mezzi matematici e di calcolo numerico in possesso dell’Istituto.
E l’Istituto Nazionale per le Applicazioni del Calcolo, oggi agli ordini di S. E. il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, si propone di mantenere integra ed in aumento la propria efficienza anche per poter sempre rispondere a qualsiasi appello per la potenza delle armi italiane.

Del fascismo Picone condividerà senza riserve apparenti tutte le scelte, comprese le leggi razziali42, tranne poi a manifestare inequivocabili e tangibili segni di amicizia e sostegno a Fubini, Terracini e Guido Ascoli. La sua fiducia nel regime e nel suo duce è tale che non annulla un giro di conferenze in Germania, assieme a Fabio Conforto, del luglio del 1943, da dove rientra forse il giorno stesso della caduta del regime.
Il distacco di Picone dal fascismo avviene dopo l’8 settembre, quando saprà subito riconvertire il “suo” Istituto al lavoro di pace. Ma questa è davvero un’altra storia43.



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La mia vita di Mauro Picone

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Il dopoguerra in Polonia: l’esplosione della Matematica

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La matematica in Francia nel periodo tra le due guerre