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Capitolo I - Verso l’unificazione politica



1
. La situazione pre-unitaria

Solitamente la ripresa della matematica italiana viene fatta coincidere con la data emblematica del 1860, cioè con l'avvenuta unificazione del Paese. Si tratta di una tesi particolarmente cara a un matematico di cui avremo spesso occasione di parlare, Vito Volterra (1860-1940), che in una manifestazione significativa quale l'inaugurazione del IV Congresso Internazionale dei matematici svoltosi a Roma nel 1908, presenta un Paese che con il Risorgimento si è formato anche una chiara coscienza della molteplicità delle direzioni in cui deve procedere. Il suo sviluppo non sarà affidato solo ai soldati e alle strade ferrate: “nessuna meraviglia dunque se, nel seguire lo svolgimento delle scienze, si osserva una trasformazione improvvisa nel pensiero italiano, dovuta al rapido suo progredire e diffondersi, ed ai nuovi caratteri di cui si riveste e si arricchisce negli anni che seguono il periodo del risorgimento politico.”1
Gli stessi accenti si colgono in molte altre ricostruzioni storiche, ad esempio in quelle che Giuseppe Lauricella (1867-1913), Tullio Levi-Civita (1873-1941) ed Ugo Amaldi (1875-1957) fanno rispettivamente nel campo dell'Analisi, della Fisica matematica e della Geometria negli “Atti” della quinta riunione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze nel 1911, in occasione delle celebrazioni del primo cinquantenario dell'Unità2.
L'ideologia che le ispira è trasparente. La contrapposizione secca tra la fiorente situazione post-unitaria ed i languori dei decenni precedenti esprime una profonda fede politica nel nuovo stato nazionale e viene utilizzata per legittimare la sua costituzione, anche sul versante della politica scientifica, dove si fa carico del problema della modernizzazione del Paese e raccoglie e rilancia le istanze migliori. Prima “i nobili sforzi di uomini egregi – sono ancora parole di Volterra – riuscivano il più sovente infruttuosi perchè mancanti di ogni connessione fra loro e perchè avversati spesso dai Governi del tempo pei quali l'ignoranza pubblica era valido sostegno al potere”. Ora invece non c'è più separazione fra i bisogni del Paese e le potenzialità espresse dalla comunità scientifica, tra il momento della decisione politica e la sua attuazione in sede amministrativa. Non c'è più alcun pericolo che si ripeta l’emblematico episodio del concorso a cattedra universitaria che nel 1835 aveva coinvolto in Toscana un cultore di diritto ecclesiastico ed un algebrista. Entrambi vinsero il concorso ma, per un banale errore, il matematico fu nominato professore di diritto mentre il giurista ebbe la cattedra di algebra. E a nulla valsero, contro la burocrazia, le loro proteste. Il matematico allora rinunciò all'insegnamento, a differenza del giurista cui dunque fu affidata la preparazione algebrica delle nuove generazioni.
La tesi della (quasi) improvvisa rinascita che il 1860 avrebbe generato anche in campo matematico contiene evidenti approssimazioni. È possibile riassumere in un'unica valutazione negativa tutti i decenni pre-unitari? È possibile trascurare la diversità delle varie situazioni regionali? È possibile, ancora, dimenticare il livello ed il ruolo dei Congressi degli scienziati – il primo si era tenuto a Pisa nel 1839 – che preparano e favoriscono la diffusione e l’omogeneizzazione della cultura matematica affrontando i non pochi ostacoli, del resto facilmente immaginabili, che si frappongono alla comunicazione scientifica su tutta la penisola?
No, non è possibile: la matematica italiana post-unitaria non nasce dal nulla, ma collocare la rinascita matematica all’interno di quella più generale, politica, del Paese, ha la funzione di sottolineare la discontinuità con il passato e il raggiunto pareggiamento con le situazioni europee più avanzate. Conviene dunque prendere le mosse da queste per esaminare poi, in modo necessariamete sommario, la situazione italiana.


1.1
La Francia: una potenza matematica

All’alba del XIX secolo è Parigi, incontestabilmente, il polo mondiale dell’attività matematica (e più in generale scientifica). Dopo la morte di Eulero (1707-1783), i matematici più famosi sono Joseph Louis Lagrange (1736-1813). Gaspard Monge (1746-1818), Pierre Laplace (1749-1827), Adrien-Marie Legendre (1752-1833) e Joseph Fourier (1768-1830). Sono tutti francesi (sostanzialmente anche Lagrange, nato a Torino, ma passato presto a Berlino e poi a Parigi nel 1787).
Questo primato, provvisorio ma abbastanza marcato, conferisce alla Francia un grande prestigio per buona parte dell’Ottocento: a Parigi, la ville lumière, arrivano molti matematici stranieri per completare la loro preparazione o per arricchire la loro formazione, mentre le “grandes Ecoles” nate con la Rivoluzione rappresentano i modelli cui molti si inspirano fino, talvolta, a copiarli. La più prestigiosa di queste Ecoles è indubbiamente l’Ecole Polytechnique, fondata a Parigi con il decreto del 21 Ventôse de l’an II (11 marzo 1794), grazie sopratutto agli sforzi di Monge, e operativa a partire dal 1795, anno in cui riceve il nome. Destinata inizialmente a sostituire le scuole militari francesi per la formazine degli ingegneri necessari all’armata, l’Ecole Polytechnique subisce diversi rimaneggiamenti (nel 1805 ad opera di Napoleone, e nel 1817 all’epoca della Restaurazione. Senza entrare in molti dettagli, ci limitiamo a segnalare che gli studi sono limitati ad un primo biennio, successivo ad un concorso di ammissione per il quale occorre normalmente una formazione preliminare in “matematiche speciali”, cui segue – per i futuri ingegneri – un secondo biennio presso le scuole specialistiche (Artiglieria o Genio, per la parte militare, Miniere e Ingegneria per quella civile).
A fianco delle “grandes Ecoles”, le università vedono la creazione napoleonica delle facoltà di scienze che rafforzano il ruolo assegnato alle discipline scientifiche. Così nella Francia di inizio Ottocento il posto del savant del Settecento, affiliato a questa o a quella Accademia, viene sostituito dalla figura di un dinamico professore universitario, inserito in un preciso ambiente socio-culturale che, oltre all’attività di ricerca, ha l’esigenza di redigere trattati a uso degli studenti. I manuali di algebra, di geometria e di calcolo infinitesimale, come quelli di Silvestre-François Lacroix (1765-1843) e di Legendre, si stampano in migliaia di copie e conoscono molte edizioni e traduzioni in diverse lingue. Naturalmente anche la diffusione dei giornali scientifici, e matematici in particolare, si intensifica enormemente nel corso dell’Ottocento. Le riviste già esistenti (generalmente associate alle Accademia) divennero sempre più specialistiche e molte furono fondate ex novo, in Francia ma anche in Italia e in Germania.
La maggior parte dei matematici trova dunque i propri mezzi di sussistenza nell’insegnamento della disciplina. Ma non si diviene docente all’Ecole Polytechnique o all’Ecole Normale (fondata anch’essa nel 1794 e sostituita nel 1808 dall’Ecole Normale Supérieure con il fine di preparare gli insegnanti dei licei) da oggi a domani, passato il tempo delle prime infornate. Nell’attesa, a volte lunga, di una “vacanza”, occorre generalmente contentarsi di gradini intermedi, di “ripetitore” o di “esaminatore”, cui si aggiungono presto i posti di “ripetitore aggiunto” e di “eaminatore aggiunto” e, successivamente, anche quelli di “esaminatori all’ingresso” e di “esaminatore all’uscita”. E dal momento che si tratta di incarichi temporanei, ecco sorgere anche il fenomeno del cumulo degli incarichi. Mi limito a citare il caso di Joseph Liouville (1809-1882), uno dei matematici più importanti del suo tempo, che tra il 1831 e il 1838 è contemporaneamente ripetitore all’Ecole Polytechnique e professore all’Ecole centrale des arts et manufactures; nominato successivamente al Collège de France, cumula questa carica, dal 1857 al 1874, con una cattedra alla Facoltà di scienze di Parigi.
Un altro fenomeno rilevante è l’intrusione della politica, un fenomeno che come si vedrà caratterizzerà anche la prima generazione di matematici italiani risorgimentali. Dotato di un grande prestigio durante il periodo rivoluzionario e l’Impero, il matematico francese dei primi dell’Ottocento cede facilmente alla tentazione di entrare in politica. Ha aperto la via Lazare Carnot (1753-1823), uno dei fondatori del Politecnico. Deputato all’Assemblea legislativa nel 1791, poi alla Convenzione (1792), membro del Comitato di salute pubblica, il suo ruolo nella formazione delle armate destinate a tener testa alla coalizione europea nel 1793 è tale da essere soprannominato l’«Organizzatore della vittoria». Membro dal 1795 e due volte presidente del Direttorio (la durata regolamentare di una presidenza era di tre mesi), è esiliato una prima volta dopo il colpo di stato del “Fruttidoro”: rientrato in Francia dopo la presa del potere da parte di Napoleone, è ministro della guerra durante i “cento giorni” e di nuovo esiliato all’epoca della “Restaurazione”.

Monge entra in scena quasi contemporaneamente a Carnot. Figlio di un arrotino, accoglie la Rivoluzione con entusiasmo. Divenuto un dirigente giacobino, nel 1792 è ministro della Marina (fino all’aprile del 1793). Dopo la creazione dell’Ecole Polytechnique e dell’Ecole Normale, nel corso di una missione in Italia, fa la conoscenza di Napoleone che accompagna nel 1798 nella campagna d’Egitto e con il quale rientra a Parigi nel 1799. Tre settimane dopo il colpo di Stato del 18 Brumaio (9 novembre 1799), Monge è nominato membro dell’appena istituito “Senato conservatore”, diviene conte ed esercita anche la carica di presidente del Senato. Il favore costante che gli aveva sempre accordato Napoleone, si ritorce ovviamente contro Monge: nel 1816 viene escluso dall’Institut (assieme a Carnot) e riceve il colpo più duro con la momentanea soppressione della sua Ecole Polytechnique. Roso dal dispiacere, morirà due anni dopo.

Laplace, al contrario, si adatta ai regimi successivi con una facilità che rasenta il servilismo. Già membro dell’Accademia delle Scienze dal 1785, diviene con la Rivoluzione presidente del Bureau des Longitudes e uno degli organizzatori del Politecnico e dell’Ecole Normale. Quando il suo antico allievo Bonaparte prende il potere, Laplace gli manifesta una grande devozione e si ritrova ministro dell’Interno (1799), carica che gli viene tolta dopo sei mesi di “eccentricità”3. Secondo Napoleone, “Laplace non coglieva alcuna questione nel suo vero punto di vista; cercava sottigliezze dappertutto, aveva solo idee problematiche, e infine portava lo spirito degli infinitesimi finanche nell’amministrazione”. E tuttavia Laplace si ritrova cancelliere del Senato nel 1803, dedica il terzo volume della sua Mécanique celeste all’imperatore con termini di vera piaggeria, ma vota nel 1814 la decadenza di Napoleone e offre subito i suoi servigi a Luigi XVIII, entrando così alla “Camera dei pari” (nuova denominazione del Senato) e nominato marchese nel 1817 (quando Monge piombava nella disperazione).

Lagrange era stato nominato senatore contemporaneamente a Monge e conte dell’Impero nel 1808, come la maggior parte degli alti dignitari. Modeto e discreto, non sembra aver giocato  un ruolo politico attivo. Il suo passato consigliava d’altra parte prudenza: si era stabilito a Parigi nel 1787, alla vigilia della Rivoluzione, ed era stato come gettarsi in pasto ai lupi, perché un decreto del settembre 1793 prevedeva l’arresto di tutti gli stranieri nati in paesi nemici e la confisca dei loro beni. Solo grazie all’intervento del chimico Lavoisier e del matematico Lakanal Lagrange non aveva subito gravi danni e poco dopo entrava nel Bureau des Longitudes e nel corpo docente delle grandi Ecoles (Politecnico e Normale). La sua morte nel 1813 gli evitò di dover prendere posizione nei confronti della Restaurazione.

Nato a Auxerre, Fourier diviene nel 1789 docente presso la Scuola militare di quella città. Arrestato nel 1794 per aver preso la difesa di vittime del Terrore, è liberato dopo la caduta di Robespierre, poi diviene un collaboratore di Lagrange e Monge al Politecnico. Al suo rientro dalla spedizione in Egitto (1801), Napoleone lo nomina prefetto del dipartimento dell’Isère, dove resta fino alla fine dell’Impero ed è anche nominato prefetto del Rodano durante i “cento giorni”, ma si dimette per la durezza del regime e rientra a Parigi. Malgrado un sordo rancore di Luigi XVIII e l’ostilità di Simenon Denis Poisson (1781-1840), nel 1817 entra all’Accademia delle Scienze e nel 1822 ne diviene Segretario “perpetuo”.

Un’altra bella figura è quella di Legendre. Di carattere timido e riservato, si tiene lontano dalla politica. Il suo unico intervento su tale terreno è una protesta, nel 1824, contro l’intrusione dei pubblici poteri nel funzionamento dell’Accademia delle Scienze, a proposito di una elezione. Viene punito con la perdita di una “pensione” di 3.000 franchi, equivalente a un semi-stipendio, di cui godeva fin dal 1815.

Chiudo questa rassegna con il caso di Evariste Galois (1811-1832), nella cui brevissima vita la politica ha giocato un ruolo devastante. Durante la rivoluzione del 1830, alcuni propositi violenti esposti  in pubblico, comprese le minacce di morte per il nuovo sovrano, lo hanno condotto in carcere per dieci mesi e la prigionia ha accentuato la rivolta di Galois contro la società. Il duello per una “infame civetta” (coquette) nel quale troverà la morte è per alcuni il risultato di una macchinazione del potere, ma le circostanze sono troppo oscure per aderire senz’altro a tale interpretazione. Stéphanie, l’infame civetta, si chiamava verosimilmente Stéphanie Dumotel. La vigilia di questo duello fatale, cioè il 29 maggio 1932, Galois scrive in una lettera “a tutti i repubblicani”: «Muoio vittima di una infame civetta e di due suoi inganni”. E in un’altra lettera dello stesso giorno (sono tre le lettere scritte, tra cui il suo testamento scientifico per il quale è giustamente famoso): «Sono stato provocato da due patrioti ... mi è stato impossibile rifiutare».


1.2
L’irruzione tedesca

Dopo aver prodotto alcuni matematici di talento come J. Kepler (1571-1630) e G.W. Leibnitz (1646-1716), la Germania, nel corso del XVIII secolo, era sprofondata nella mediocrità. La fondazione dell’Accademia di Berlino, voluta da Federico II nel 1745, aveva tuttavia permesso che L. Euler (1707-1783) prima e il nostro Lagrange successivamente vi si trattenessero per più di un ventennio ciascuno (1741-1766 e 1766-17687 rispettivamente). Dopo la morte di Federico II (1786), Berlino ricade nel torpore ed è da un’altra città che provengono segnali di rinnovamento: Gottinga, nello Stato di Hannover (annesso dalla Prussia nel 1866). Quando nel 1795 vi arriva da Brunswick (Braunschweig) il giovane Carl Friedrich Gauss (1777-1855), l’università di Gottinga si era già organizzata per dare uno spazio maggiore all’insegnamento scientifico: vi insegnano così il fisico Georg Cristof Lichtenberg 81742-1799), l’astronomo Carl Felix Seyffer (1762-1822) e il matematico Abraham Gotthelf Kästner (1719-1800), di cui Gauss non nutriva grande stima, ma che possedeva tuttavia grande esperienza ed estesa cultura (anche storica).
Nel periodo trascorso all’Università di Gottinga, Gauss affrontò e approfondì un gran numero di questioni, e i frutti di queste riflessioni si sarebbero visti per molti anni a venire. Del 1796, come si legge nel suo Diario matematico, è la risoluzione di un celebre problema risalente ai Greci: la divisione del cerchio in 17 parti uguali facendo uso soltanto della riga e del compasso, un argomento che costituisce un intero capitolo delle Disquisitiones. La proposizione dimostrata da Gauss è in realtà molto più generale; essa afferma infatti che la costruzione con riga e compasso di un poligono regolare di n lati (il che è equivalente a suddividere un cerchio in n parti uguali) è possibile se e solo se for1, dove i numeri for2 sono primi di Fermat (cioè della forma for3) e gli esponenti for4 sono interi positivi. Una proposizione che mette in evidenza una profonda connessione tra la geometria classica e la teoria dei numeri.

Nel 1798 Gauss lascia Gottinga senza un diploma e l’anno successivo sottomette la sua tesi di dottorato all’Università di Helmstedt, una piccola città più vicina di Gottinga alla nativa Braunschweig. Il suo relatore era Johann Friedrich Pfaff (1765-1825), matematico di buon livello. Nella tesi di Gauss viene dimostrato in maniera rigorosa, almeno secondo i canoni di rigore del periodo, che un polinomio di grado n ammette n radici generalmente complesse (teorema fondamentale dell’algebra). Tale teorema è di estrema importanza in matematica e vantava numerose dimostrazioni già ai tempi di Gauss.
Ma l’anno mirabilis della carriera scientifica di Gauss è il 1801, quando furono pubblicate sia le Disquisitiones Arithmeticae, sia i suoi calcoli astronomici che predicevano le posizioni future dell’asteroide Cerere, osservato per la prima volta a Palermo da Giuseppe Piazzi (1746-1826) nei primi mesi di quell’anno e subito scomparso. Inutili erano stati i numerosi tentativi degli astronomi volti a ritrovare il pianeta. Il 7 dicembre, grazie  alla predizione di Gauss,  il telescopio poté essere puntato nuovamente su Cerere con grande soddisfazione del mondo scientifico. La vicenda fece di Gauss una celebrità europea.
Il metodo utilizzato per determinare l’orbita di Cerere fu pubblicato, in una versione ampia e rivisitata, solo nel 1809 nel Theoria motus. In questo, come in altri lavori di carattere applicativo, Gauss impiegava per ottimizzare le sue misurazioni il metodo dei minimi quadrati, un procedimento tuttora in uso in teoria degli errori e sul quale Gauss aveva riflettuto a partire dal 1791; il suo metodo lo condurrà a fornire preziosi contributi alla teoria della probabilità con l’introduzione della legge di distribuzione normale.
Il riconoscimento dei suoi importanti lavori nel campo dell’astronomia si ebbe nel 1807, quando Gauss fu nominato direttore dell’Osservatorio astronomico di Gottinga, una carica che mantenne per tutta la vita. Ma i suoi interessi per la matematica applicata non si limitavano a questioni astronomiche. Fin dal 1799 infatti Gauss aveva accettato di occuparsi di geodesia, una scienza pratica con profonde connessioni teoriche, in particolare con la geometria e l’analisi complessa. Intorno al 1820 Gauss era stato incaricato dal governo del Regno di Hannover di fare rilevamenti topografici con lo scopo di costruire una carta geografica quanto più possibile dettagliata dell’intera regione. Le sue celebri Disquisitiones generales circa superficies curvas (1827) – un contributo fondamentale alla geometria differenziale – trovano una motivazione, almeno parziale, nelle sue ricerche di tipo geodetico. Esse sono inoltre intimamente connesse con le idee di Gauss sulle geometrie non euclidee, idee che risalgono agli anni giovani. Le sue ricerche sulle geometrie non euclidee, tuttavia, non furono mai pubblicate: esse costituiscono l’oggetto di appunti personali e di varie lettere inviate ai suoi amici e colleghi, principalmente a Friedrich Wilhelm Bessel (1784-1846), direttore dell’Osservatorio di Königsberg, Heinrich Christian Schumacher (1780-1850) direttore dell’Osservatorio di Altona e suo ex-studente a Gottinga, e Farkas Bólyai (1775-1856), suo antico compagno di studi a Gottinga e padre di János (1802-1860), il fondatore insieme a Nikolaj Ivanovič Lobačevskij (1793-1856) della geometria non euclidea.

Nell’ultimo periodo della sua attività scientifica Gauss si dedicò con particolare entusiasmo alla fisica: nel 1833 con Wilhelm Weber (1804-1891) costruì un telegrafo elettromagnetico e nello stesso anno a Gottinga fu costruito un Osservatorio magnetico, mentre è di poco più tardi (1836) la fondazione, ancora con Weber, della Società per il Magnetismo, che aveva lo scopo di coordinare le osservazioni magnetiche terrestri provenienti da tutto il mondo. Il lavoro fatto nell’ambito della Società fu davvero notevole: sei grossi volumi contenenti i risultati geomagnetici (dal 1836 al 1841), un monumentale Atlante di geomagnetismo, vari strumenti inventati appositamente per effettuare rilevamenti più precisi. Gauss in particolare introdusse una nuova unità di misura per il magnetismo (il gauss) e pubblicò ponderosi e innovativi lavori sul magnetismo terrestre.
Si può dire che la matematica all’Università di Gottinga cominciò proprio con Gauss; ricordiamo però che ufficialmente Gauss non era professore universitario, sebbene tenesse sporadicamente dei corsi che vertevano però principalmente sull’astronomia e sugli argomenti a essa connessi. Non stupisce dunque che i suoi allievi si trovino più tra gli astronomi che tra i matematici. Dunque, mentre il ruolo di Gauss risultò decisivo per lo sviluppo dell’astronomia in Germania, non si può dire che egli abbia creato una vera e propria scuola matematica. Certamente egli elargì i suoi consigli a studenti meritevoli, alcuni dei quali sarebbero poi divenuti matematici; tra questi, Bernhard Riemann (1826-1866), Richard Dedekind (1831-1916), Karl Georg Christian von Staudt (1798-1867), Moritz Stern (1807-1894), Alfred Enneper (1830-1885) e Ernst Christian Schering (1833-1897) che insegnò a Gottinga per tutta la sua carriera dal 1860 al 1897. Del resto Gauss, come più volte aveva affermato, non amava dedicarsi all’insegnamento e neppure la diffusione delle sue idee gli stava particolarmente a cuore: rare sono infatti le sue pubblicazioni secondo il suo motto pauca sed matura.

Piuttosto chiuso nella sua attività scientifica – Niels Henrik Abel (1802-1829) lo definì «inavvicinabile» – Gauss era impermeabile perfino agli sconvolgimenti politici di quegli anni. Quando si trasferì a Gottinga, nel 1807, la dominazione francese gli era certamente odiosa e appoggiò con entusiasmo la restaurazione del vecchio Stato di Hannover (1814), da molti definito come il più conservatore di tutta la Germania. Gauss non partecipò neppure a una grave vicenda che si svolse proprio all’Università di Gottinga e ebbe anche ripercussioni drammatiche sulla sua famiglia. In conseguenza ai moti liberali del 1830 in Francia, re Guglielmo di Hannover decise nel 1833 di varare una nuova Costituzione molto più liberale della precedente, ponendo finalmente il Regno di Hannover in linea con gli altri stati della Confederazione tedesca. Ma nel 1837 re Guglielmo morì e il suo successore, Ernst August Duca di Cumberland, reinstaurò la vecchia Costituzione del 1819. La reazione dei professori dell’Università di Gottinga fu immediata; sette di loro, tra i quali i fratelli Grimm, il collega di Gauss W. Weber e suo genero, il teologo e linguista Georg Heinrich August von Ewald (1803-1875), firmarono una protesta formale contro il re in cui dichiararono la loro lealtà alla Costituzione del 1833. Il re decise allora di sospendere i sette dall’insegnamento e inviò a Gottinga una forte unità militare al fine di evitare disordini. Tutta la Germania si schierò con i sette professori i quali non ebbero difficoltà a trovare nuove posizioni in altre Università tedesche. Gauss non si schierò mai in favore dei sette!

Subito dopo Gottinga, è a Berlino che dobbiamo rivolgere la nostra attenzione. Nel 1810, quando ancora la Prussia era sotto il dominio napoleonico, vi viene fondata una università secondo le concezioni del ministro dell’educazione Wilhelm von Humboldt (fratello del naturalista Alexander) che prevedono specialmente i “Seminari”, dove parecchi scienziati discutono insieme i risultati su uno stesso tema di ricerche.
Fin dai primi anni della sua fondazione l’Università di Berlino cercava una posizione di predominio nell’ambiente culturale germanico: ne sono testimonianza le reiterate richieste (sempre rifiutate) fatte a Gauss affinché si spostasse da Gottinga a Berlino, il fatto che personalità come Fichte e Hegel fossero nominati rettori dell’Ateneo berlinese e il trasferimento, avvenuto nel 1827, del naturalista Alexander von Humboldt (1769-1859) da Parigi (dove aveva vissuto per circa vent’anni) a Berlino.
I primi matematici di valore che troviamo all’Università di Berlino sono Johann Peter Gustav Lejeune Dirichlet (1805-1859), Jakob Steiner (1796-1863) e Carl Gustav Jacob Jacobi (1804-1851): essi ebbero formazioni culturali e storie personali totalmente differenti, così come erano diversi i loro campi di ricerca. Li accomunava invece il loro debito verso A. von Humboldt che, con August Leopold Crelle (1780-1855), può considerarsi un vero e proprio talent-scout dell’epoca, sempre pronto a intervenire in aiuto di giovani di talento nell’interesse dell’Università di Berlino.
Il predominio francese nella matematica di inizio Ottocento trova una paradigmatica conferma nella carriera scientifica di Dirichlet, il quale si era formato a Parigi dal 1822 al 1826 dove poté lavorare a stretto contatto con Fourier e Poisson. Grazie anche all’appoggio di A. von Humboldt, Dirichlet divenne Privatdozent prima a Breslau (1827) e poi a Berlino (1829), nel 1831 fu nominato professore all’Università di Berlino e l’anno successivo membro dell’Accademia Prussiana delle Scienze.
Nel 1834 a Dirichlet si unisce lo svizzero Jacob Steiner (1796-1863) il quale, dopo essere stato per tanto tempo insegnante nelle scuole secondarie berlinesi, fu finalmente nominato professore all’Università di Berlino, ancora per interessamento di A. von Humboldt e di Crelle. Figlio di contadini e praticamente analfabeta fin verso i 19 anni, seguì la scuola di Pestalozzi a Iferten di cui apprezzò moltissimo i metodi socratici che ripropose in seguito nell’insegnamento della geometria. Fondatore della geometria sintetica, nell’insegnamento estremizzò i metodi di Pestalozzi escludendo perfino il ricorso alle figure, in quanto sosteneva che gli enti e le proprietà geometriche dovevano vedersi con la mente.
Il metodo sintetico di Steiner, nell’insegnamento e nella ricerca, era opposto alle idee di Julius Plücker (1801-1868), fautore di una geometria di tipo analitico e professore di geometria all’Università di Berlino dal 1832, e dunque prima dell’arrivo di Steiner. Il contrasto tra le due scuole raggiunse toni e modalità inaccettabili per Plücker il quale, vista la crescente opposizione di Steiner, decise di accettare la chiamata all’Università di Bonn nel 1836. Da quel momento si occupò solo di questioni fisico matematiche tornando alla geometria solo nel 1863, dopo la morte di Steiner.
Steiner poté sempre contare sull’incondizionato appoggio di Jacobi che studiò all’Università di Berlino (dal 1821) quando però gli studi matematici non erano ancora all’altezza di soddisfare i suoi interessi. Jacobi fu sostanzialmente un autodidatta, come Gauss del resto, e si formò sui testi classici di Eulero e dei matematici francesi. Divenne ben presto Privatdozent alla facoltà di Berlino, una posizione però che non gli garantiva uno stipendio regolare. Fu così che accettò la proposta del Ministro Prussiano di andare all’Università di Königsberg prima come lettore (1825), poi come professore (1827). Ritornò comunque a Berlino nel 1844 come membro dell’Accademia Prussiana delle Scienze e fece anche lezioni all’Università, contribuendo a rendere Berlino un importante centro di studi matematici.

L’attività più originale di Jacobi, come matematico e come insegnante, fu comunque svolta all’Università di Königsberg dove rimase per diciassette anni e organizzò, insieme al fisico Franz Neumann (1798-1895), il celebre Seminario matematico e fisico dove venivano discussi i più recenti risultati, presentati i temi delle proprie ricerche e stimolati gli studenti a uno studio autonomo e originale. Come si è già anticipato, i Seminari rappresentavano un’esperienza nuova nelle Università tedesche. Il fisico Carl Neumann (1832-1925), e i geometri Alfred Clebsch (1833-1872) e Heinrich Weber (1842-1913) si formarono partecipando attivamente a questo Seminario.

Dunque a partire dal 1844, grazie alla contemporanea presenza di Dirichlet, Steiner e Jacobi, a Berlino erano degnamente rappresentate le principali discipline matematiche. Inoltre, fin dal 1826 esisteva a Berlino una delle riviste di matematica più prestigiose, il Journal für die reine und angewandte Mathematik,detto anche Giornale di Crelle dal nome del suo fondatore. Crelle era un ingegnere civile, praticamente autodidatta, con grande passione per la matematica su cui pubblicò vari lavori in differenti campi. Pur non essendo la prima rivista dedicata solo alla matematica, questo giornale aveva la caratteristica di essere completamente svincolato dalle Accademie e di accogliere articoli in varie lingue (francese, italiano e inglese oltre, naturalmente, al tedesco) e autori di ogni paese. Uno degli obiettivi di Crelle, condiviso da A. von Humboldt, era quello di creare a Berlino il punto di riferimento per la cultura tedesca, ossia un centro culturale di prima grandezza con «il primo osservatorio, il primo laboratorio di chimica, il primo giardino botanico, la prima scuola di matematica trascendentale», come sosteneva lo stesso A. von Humboldt; il Giornale di Crelle era anche un mezzo per raggiungere questo obiettivo. Numerosi articoli di Steiner, Jacobi, Dirichlet furono pubblicati su questo giornale; ma anche l’articolo di Lobachevskij sulla geometria non euclidea, il lavoro di Abel sulla impossibilità di risolvere per radicali l’equazione generale di quinto grado e altri articoli che hanno rappresentato tappe fondamentali nella storia della matematica dell’Ottocento sono stati pubblicati su questa rivista.

I nomi dei matematici illustri che tenevano lezioni all’Università di Berlino richiamarono ben presto giovani di valore. Ne sono esempi emblematici Ferdinand Gotthold Max Eisenstein (1823-1852), Riemann e Carl Wilhelm Borchardt (1817-1880), noto soprattutto per essere diventato (dal 1856 fino al 1880) direttore del Journal für die reine und angewandte Mathematik dopo la morte di Crelle. Allievo di Dirichlet, Eisenstein si occupò principalmente di teoria dei numeri generalizzando alcuni risultati delle Disquisitiones Arithmeticae di Gauss, in particolare quelli relativi alla legge di reciprocità quadratica. Eisenstein era sopravvalutato moltissimo da Gauss il quale lo considerava un grande genio matematico, paragonandolo addirittura a Archimede e Newton.
Quando Riemann, ancora studente, trascorse un periodo di formazione all’Università di Berlino (1847-49), Eisenstein era un giovanissimo Privatdozent di soli tre anni più grande di lui. Certamente la teoria dei numeri, ma anche la teoria delle funzioni di variabile complessa, rappresentavano i principali temi di discussione tra i due giovani. Per Riemann l’esperienza berlinese fu fondamentale nella sua formazione; l’influenza di Jacobi, le discussioni con Eisenstein e le lezioni di Dirichlet sulla teoria delle serie trigonometriche dovevano segnare la sua futura carriera scientifica. Questo periodo di studio così proficuo fu interrotto dai gravi disordini avvenuti a Berlino in conseguenza ai moti parigini del 1848, poi propagatisi in ogni parte d’Europa.
I matematici berlinesi (Eisenstein, Jacobi, Dirichlet e Steiner) si impegnarono tutti a favore dei rivoluzionari; Eisenstein fu uno dei più attivi e finì anche in carcere, scandalizzando il conservatore Gauss il quale riteneva impossibile che il suo pupillo avesse preso parte a una simile incresciosa vicenda. Le conseguenze più drammatiche furono subite da Jacobi che, a causa della sua attività rivoluzionaria, fu costretto a dimettersi da professore universitario, un posto che aveva ottenuto solo l’anno precedente, e privato del diritto di risiedere a Berlino. Mentre la sua famiglia prese la residenza a Gotha, egli continuò a vivere in albergo a Berlino; solo grazie all’intervento presso il re di A. von Humboldt, nel 1850 Jacobi poté risollevare la sua situazione; ma morì all’inizio del 1851. Riemann prese parte alla rivolta di Berlino schierandosi però dalla parte degli studenti rimasti fedele al re. Cedendo poi alle insistenze del padre, anticipò il suo rientro a Gottinga (nella primavera del 1849) dove riprese gli studi frequentando il seminario matematico di Gauss e Weber.

Come si è accennato, Berlino non è un caso isolato: molte altre università sono state create o riorganizzate, in questi primi decenni dell’Otocento, per favorire la ricerca, grazie al sistema dei Seminari e, per le scienze sperimentali, grazie ad una dotazione agli Istituti maggiore di quella francese. Per la matematica dobbiamo citare le università di Könisberg, Breslau, Halle, Bonn, Erlangen e, in misura minore, Iena, Wurzburg, Tubinga, Heidelberg e Monaco.
Più che in Francia, sono dunque le università a offrire delle sistemazioni agli scienziati. Non si tratta, beninteso, di una miniera d’oro: in realtà le cattedre di prima fascia (professore ordinario) sono poco numerose in ogni sede, per cui bisogna contentarsi, talvolta per molto tempo, di posizioni di attesa (libero docente o professore straordinario). Soprattutto la prima di queste due figure è all’inizio remunerata mediante le tasse degli studenti iscritti ai corsi; in seguito, per evitare distorsioni (legate al numero degli iscritti), si tenderà sempre più a corrispondere una indennità forfettaria. Qusto sistema non impedisce che molti matematici siano indotti a insegnare preferibilmente in una Technische Hochschule (scuola superiore tecnica), istituti fondati  in numerose città sul modello dell’Ecole polytechnique: se ne trovano per esempio a Aix-la-Chapelle, Hannover, Berlino, Darmastadt, Monaco e Karlsruhe. È così che Richard Dedekind (1831-1916), malgrado diverse occasioni di entrare nel mondo universitario, non lascerà la Hochschule di Brunswick. Una copia molto fedele dell’Ecole Polytechnique, con l’ipotesi della direzione di Gauss, è progettata a Berlino, ma il rifiuto di Gauss nel 1824 fa vacillare l’intero progetto e la morte di Niels Henrik Abel (1802-1829), nel momento in cui era stato chiamato a sostituire Gauss, dà il colpo di grazia all’istituzione. Infine, anche se in misura minore della Francia, matematici di rango si vedono costretti a ripiegare sull’insegnamento secondario, come nel caso di Hermann Grassmann (1809-1877), di Ernest Kummer (1810-1893) e di Karl Weierstrass (1815-1897).

Nella seconda metà del secolo, la Germania diviene gradualmente, per i matematici, un polo attrattivo più intenso della Francia. Quando, nel 1873, lo svedese Gösta Mittag-Leffler (1846-1927) si reca a Parigi si sente dire da Hermite: «Lei ha fatto un errore, avrebbe dovuto seguire i corsi di Weierstrass a Berlino. È il maestro di tutti noi!»4. E Mittag-Leffler segue il consiglio, senza rinunziare però a rivedere Parigi con una certa frequenza. Altri, come il già citato Steiner o la russa Sophie Kowalewski (1850-1891), vanno a studiare direttamente in Germania. Viceversa, diversi matematici tedeschi (Jacobi, Riemann, Klein, Hilbert) mantengono la tradizione del “pellegrinaggio” a Parigi, dove vengono sempre accolti con la massima cordialità da Charles Hermite (1822-1901).

Lo svilippo della comunità matematica tedesca è accompagnato da alcuni contrasti che a volte si prolungheranno fino al secolo seguente. Uno di questi è la lotta per la supremazia tra Berlino e Gottinga. In quest’ultima città, la successione a Gauss è assicurata come si è visto da Dirichlet e successivamente da Riemann. Laureato a Gottinga, Riemann suscita in Gauss un inedito entusiasmo nel corso della discussione della sua abilitazione alla libera docenza nl 1854. Riemann ottiene però solo un posto di lettore, debolmente retribuito con 800 marchi all’anno. Diviene ordinario soltanto nel 1859, alla morte di Dirichlet, ma la sua salute delicata lo costringe a lunghi soggiorni in Italia e lo conduce ad una morte prematura, prima di compiere 40 anni. Nel frattempo Berlino ha conquistato il primato, soprattutto dopo la nomina di Weierstrass a professore ordinario (1864). Il disprezzo di Weierstrass per gli allievi di Dirichlet e Riemann non fa che accentuare l’eclissi di Gottinga fino all’arrivo di Felix Klein (1849-1925). Uscito brillantemente da Gottinga, non senza aver partecipato nel 1869-70 al seminario di Weierstrass a Berlino, Klein diviene professore ordinario nel 1872 a Erlangen, per passare poi nel 1875 alla Technische Hochschule di Monaco e nel 1880 a Lipsia. Fin dal suo ritorno a Gottinga, nel 1886, Klein intraprende il rilancio di Gottinga come centro di ricerca matematica avanzata. Weierstrass e Kronecker assistono impotenti ai progressi del “ciarlatano” Klein, che sa mettere a profitto le sue relazioni di editore dei Mathematische Annalen (la rivista fondata da Clebsch nel 1868) e la sua amicizia con Friedrich Althoff (1839-1908), dal 1882 segretario a Berlino presso il Ministero dell’Educazione. Nel 1892, il ritiro di Weierstrass e la morte di Kronecker segnano la fine del primato di Berlino e tre anni dopo Klein sferra il colpo decisivo chiamando a Gottinga David Hilbert (1862-1943), uno dei matematici più importanti della prima metà del Novecento. Fino all’avvento del nazismo, Gottinga sarà considerata la capitale mondiale della matematica.

La rivalità franco-tedesca che si sente montare nel corso dell’Ottocento in diversi settori scientifici, non risparmia la matematica. Attizzata dall’antagonismo politico, si manifesta dopo l’umiliante sconfitta militare della Francia nel 1870-71. Alcuni matematici, come Hermite o Jordan conservano il loro atteggiamento tollerante, mentre Darboux si lascerà trascinare dallo spirito di rivincita che si sviluppa rapidamente nei milieux francesi. È però nel corso della guerra del 1914-18 che la rivalità franco-tedesca provoca una vera crisi nel mondo matematico. All’inizio del conflitto, il governo tedesco fa apparire (15 ottobre 1914) una incredibile Dichiarazione al mondo culturale, firmata da 93 scienziati, nella quale si negano fra l’altro le atrocità commesse dall’esercito tedesco sui civili francesi e belgi. Dall’elenco dei firmatari è assente il nome di Einstein, residente allora a Berlino ma di cittadinanza svizzera. Dei due matematici interpellati, Klein e Hilbert, questi aveva rifiutato la firma, mentre figura quella di Klein, ma sembra che egli, interpellato per telefono, abbia solo accettato di mettere il suo nome in un documento molto diverso5. Nel 1916, Emile Picard (1856-1941) pubblica un libretto intitolato L’Histoire ds Sciences et le prétentions de la Science allemande, in cui denunzia la pedanteria tedesca, tutt’al più capace, dice, di rendere oscure le cose chiare. Dopo la disfatta tedesca e la restituzione dell’Alsazia alla Francia, si tiene a Strasburgo un Congresso internazionale di matematici (1920) da cui i matematici tedeschi sono esclusi. Rientreranno in un consesso internazionale solo nel 1928, in occasione del Congresso di Bologna: malgrado una campagna di Bieberbach e del matematico olandese Brouwer, che appoggiava le tesi del nazionalismo tedesco in favore della non partecipazione, una delegazione tedesca guidata da Hilbert partecipò ai lavori del congresso di Bologna6.

Poco dopo il 1928, una tempesta molto più forte, che trova anch’essa origine nel XIX secolo, si abbatte sui matematici tedeschi, la persecuzione nazista degli ebrei.
La questione ebraica inizia a essere regolamentata nel 1814, quando una legge di emancipazione accorda agli ebrei il diritto di accedere agli impieghi pubblici in Prussia. Così, il matematico Carl Jacobi (1804-1851) può percorrere tutte le tappe della carriera universitaria e diventare membro dell’Accademia di Berlino (1844). Qualche fastidio subìto nel 1848 sembra dovuto più che all’origine ebraica alle sue simpatie per il movimento rivoluzionario.
Il caso di un altro matematico ebreo, Leopold Kronecker (1823-1891), è un po’ diverso. Le sue floride condizioni economiche gli consentono di dedicarsi, all’età di trent’anni, alla matematica senza i vincoli dell’insegnamento. Nel 1855 viene chiamato all’Accademia di Berlino e ciò gli dà il diritto di insegnare, senza retribuzione, nell’università della città. Nel 1883 succede, infine, a Kummer nella cattedra di professore ordinario. Non solo l’origine ebraica non ne ha ostacolato la carriera, ma Kronecker si sente talmente saldo nella sua posizione berlinese da ostentare senza ritegno concezioni scientifiche perentorie. Il suo accanimento contro uno degli oppositori, Georg Cantor (1845-1918), sembra sia all’origine dei disturbi mentali che periodicamente affliggono Cantor (che morirà poi in un manicomio di Halle). Figlio di un mercante danese, Cantor era egli stesso di origine ebraica. Nato a San Pietroburgo, aveva studiato nelle università di Zurigo, Gottinga e Berlino e aveva svolto tutta la carriera nell’università di Halle. Malgrado la sua forte amicizia con Dedekind7, Cantor prende in uggia la Germania come scrive a Giovan Battista Guccia (1854-1914) molto dopo la morte di Kronecker: «Per conto mio, sono russo e accetterei senza il minimo timore ogni critica severa di Kronecker etc. sulla mia teoria degli insiemi e su quella dei numeri trasfiniti. Inoltre, ho ormai il desiderio di passare la maggior parte dell’anno all’estero»8. Ma mentre i matematici tedeschi, con Hilbert in testa, avevano ormai accettato la sua teoria degli insiemi, erano ora i matematici francesi, soprattutto Hermite e Poincaré, a opporsi con forza alle sue idee.

Come testimonia anche la carriera di Hermann Minkowski (1864-1909), almeno in apparenza i matematici ebrei non hanno subìto particolari vessazioni, anche se nella maggior parte delle città tedesche, la chiamata ad una cattedra implica l’obbligo di abbracciare il protestantesimo (è il caso di Jacobi e di Cantor). Gli ebrei che rifiutano di farsi battezzare non possono sperare che in un prosto di libero docente o, al più, di professore straordinario. Il primo ebreo non battezzato a divenire professore ordinario in Germania è proprio il matematico Moritz Stern (1807-1894), un allievo di Gauss a Gottinga, ordinario nel 1859.
Man mano che ci avviciniamo al Novecento, cominciano a delinearsi due tendenze opposte: da un lato la legislazione evolve nel senso di una emancipazione crescente degli ebrei; come reazione, si sviluppa un movimento di opinione antiebraico.
Poco dopo il 1860, il governo prussiano si rivolge all’amministrazione belga per chiedere una risposta alle due domande seguenti9:
1° Gli Israeliti  sono ammessi in Belgio come professori nelle università e negli altri istituti superiori [l’insegnamento medio era considerato, in Germania e in Belgio come primo grado di quello superiore]?
2° In caso affermativo, possono insegnare tutte le discipline o solo alcune, e quali?
La risposta è stata che, data la libertà religiosa, gli Israeliti non erano oggetto di una particolare discriminazione negli istituti di insegnamento il cui personale è nominato dal potere esecutivo (si ecludevano dunque gli istituti liberi)10.
L’episodio citato mostra che nel 1862 il governo prussiano esita. Successivamente, nel 1867 e nel 1869, la Confederazione tedesca settentrionale sopprime le discriminazioni degli ebrei nei servizi pubblici e nelle libere professioni. La creazione poi, nel 1871, dell’impero tedesco permette di estendere queste disposizioni a tutta la Germania. Ciò permette di estendere tali disposizioni a tutta la Germania. È così che Lazarus Fuchs (1833-1902) e Leo Könisberger (1837-1921), due ebrei non battezzati, diventano professori ordinari a Berlino e Heidelberg rispettivamente. Diversi altri matematici conoscono una promozione amaloga, specialmente Paul Gordan (1837-1912), e Max Noether (1844-1921), entrambi strettamente legati a Klein.
L’irruzione degli ebrei in campi che erano loro chiusi provoca reazioni ostili. Lo studio di Karl Marx sulla “questione ebraica” (1844) è uno dei segni precursori di una corrente destinata a crescere dopo il 1870. La crisi economica  del 1873 in conseguenza delle speculazioni sfrenate cui ha dato luogo la crazione dell’impero, spinge a prendere gli ebrei come capri espiatori, soprattutto da parte dei piccoli commercianti e degli artigiani, mentre la resistenza all’afflusso degli ebrei nelle carriere scientifiche, soprattutto in matematica, si manifesta principalmente negli ambienti universitari. Una forte immigrazione ebraica in Prussia a partire dal 1870, in conseguenza delle restrizioni imposte in Russia, rafforza le reazioni ostili (la popolazione di Berlino conta all’epoca il 9% di ebrei). È allora che si crea il termine “antisemitismo”, come eticheta di un movimento cui l’adesione di Richard Wagner dà maggiore consistenza, ma le cui manifestazioni sono per il momento episodi isolati. Proprio perché ebreo, il matematico Adolf Hurwitz (1859-1919), professore straordinario a Könisberg, non consegue nel 1892 l’ordinariato a Gottinga malgrado gli sforzi di Klein, e preferisce lasciare la Germania per accettare una cattedra al Politecnico di Zurigo11.
E tuttavia il flusso dei matematici ebrei non conosce battute d’arresto: tra la fine dell’Ottocento e i primi trenta anni del Novecento possiamo segnalare Emmy Noether (1882-1935), figlia del già citato Max, Georg Pick (1859-1942), Felix Hausdorff (1868-1942), Friedrich Hartogs (1874-1943), Issai Schur (1875-1941), Otto Blumenthal (1876-1944), Edmund Landau (1877-1938), Max Dehn (1878-1952), Felix Bernstein (1878-1956), Ludwig Berwald (1883-1942), Otto Toeplitz (1881-1940), Ernst Hellinger (1883-1950), Richard Courant (1888-1972). Sono quasi tutti a Gottinga, attirati da Klein ed Hilbert.
Con l’avvento del nazismo, la legislazione cambia bruscamente e si orienta decisamente in senso antisemita: i docenti ebrei vengono espulsi dalle università tedesche, ma lasciano la cariche anche quelli che si sentono minacciati da quelle misure, come Hermann Weyl (1885-1955), proprio allora nominato direttore dell’Istituto matematico di Gottinga, la cu moglie è ebrea. Alla fine dell’estate, attorno a Hilbert s’è fatto il vuoto (lui stesso è costretto a spiegare l’origine del suo nome, David). Weyl, Courant, Emmy Noether, Bernstein, Olga Taussky (n. 1906), sono partiti per gli Stati Uniti; Landau abbandona l’insegnamento, ma resta in Germania per curare i suoi interessi, fino al suicidio nel 1938. Dehn e Hellinger emigreranno anch’essi nel 1939. Issai e Schur e Toeplitz partiranno nel 1938 per la Palestina. Lo svizzero Bernays, fedele collaboratore di Hilbert, rientrerà nel suo paese. Nel 1940, Carl Ludwig Siegel (1896-1981) approfitta di un ciclo di conferenze a Oslo per imbarcarsi per gli Stati Uniti, due giorni prima dell’invasione nazista della Norvegia. Blumenthal, il più antico degli allievi di Hilbert, privato della sua cattedra alla Technische Hochschule d’Aix-la-Chapelle, tenta nel 1939 di rifugiarsi in Olanda; dopo l’invasione nazista del 1940, viene spedito dalla Gestapo al campo di concentramento di Theresienstadt, dove si suicida nel 1944. Anche a Theresienstadt si arresta la vita dell’ottuagenario Pick; ed è per sfuggire a simile destino che nello stesso anno si suicida Hausdorff. Analoga la sorte degli ebrei austriaci dopo l’Anschluss, nel 1938.
Nel 1934, quando il ministro della Cultura, durante un pranzo, domanda a Hilbert se, come si pretende, l’Istituto matematico di Gottinga ha veramente sofferto deell’allontanamento degli ebrei, Hilbert si contenta di risosndere: «Sofferto? No, Signor Ministro, non ha sofferto. Semplicemente, non esiste più».


1.3
La rincorsa italiana

Anche l’Italia può vantare qualche motivo d’orgoglio del suo passato matematico. Ma un declino progressivo nel corso del XVIII secolo la porta, alla soglia del XIX secolo, a una anemia quasi totale, se si eccettuano pochi casi singolari (in particolare quello di Lagrange). Parallelamente alla Germania, anche l’Italia si impegna nel processo di unificazione politica, che si concluderà nel 1870, quasi contenporaneamente al suo omologo tedesco (1871). Ma allorché in Germania lo slancio scientifico precede nettamente il consolidamento politico, questi procedono fianco a fianco nel caso italiano. Così, a partire dalle ripercussioni in Italia della rivoluzione francese e delle imprese napoleoniche, vedremo comparire a poco a poco i protagonisti di quella che abbiamo chiamato la rincorsa italiana a colmare il ritardo matematico e scientifico rispetto all’Europa.


1.3.1
L'Italia repubblicana e napoleonica (1796-1814)

L’Italia era particolarmente preparata ad accogliere le novità rivoluzionarie francesi, perché l’illuminismo aveva operato profondamente nei circoli culturali di Milano e Napoli. Tra il 1789 e il 1791, alcuni studiosi lombardi, toscani e piemontesi avevano elaborato timidi progetti di costituzione. Quando, nel 1796, Bonaparte varca le Alpi con l’Armata d’Italia, gli ideali della rivoluzione francese diventano obiettivi concreti e mobilitanti per la borghesia intellettuale e quella parte dell’aristocrazia che si era nutrita dei princìpi illuministici. I governi repubblicani che si formano a Milano, a Roma, a Genova, a Napoli, a Firenze, vedono tutti una notevole partecipazione di professori universitari, di ecclesiastici colti, di rampolli del patriziato e della nobiltà, di militari appartenenti ai corpi scelti dell’artiglieria e del genio.
All’Università di Pavia, che rappresentava in campo culturale il punto più avanzato del riformismo settecentesco, aderiscono al nuovo ordine Gregorio Fontana, Carlo Barletti, Lorenzo Mascheroni e Alessandro Volta; a Roma, Gioacchino Pessuti, che aveva studiato a San Pietroburgo con Eulero; a Modena e Reggio Giovanni Paradisi e Giambattista Venturi; a Venezia Vincenzo Dandolo e Antonio Collalto; a Ferrara Gianfrancesco Malfatti e Teodoro Bonati; a Bologna Giambattista Guglielmini e Giovanni Aldini; a Firenze Vincenzo Brunacci e Pietro Ferroni; a Milano l’astronomo Barnaba Oriani, che aveva elaborato le previsioni per l’orbita del pianeta Urano, scoperto da Herschel nel 1781, e che era al massimo della sua fama. A Oriani si rivolge Bonaparte, appena conquistata Milano (nel maggio 1796), con calde parole di simpatia verso la scienza e con un appello agli scienziati a far sentire la loro voce nelle più importanti questioni.
Questa disponibilità di Bonaparte verso gli scienziati fu salutata con molto favore e fu accompagnata dalla presenza in Italia di alcuni dei più noti scienziati francesi: il matematico Monge, il chimico Berthollet, il botanico Thouin. Nelle città che visitarono (Milano, Bologna, Ferrara e soprattutto Roma) essi incoraggiarono gli studiosi ad una migliore organizzazione della ricerca scientifica e all'impegno politico. Si deve a Monge il nome della prima repubblica nata in Italia con l'unione tra Bologna, Ferrara, Modena e Reggio, la Repubblica Cispadana (novembre-dicembre 1796). Inoltre Monge promosse la costituzione, secondo il modello dell'Institut, di Istituti Nazionali, incaricati “di raccogliere le scoperte e di perfezionare le scienze e le arti”.

Furono membri dell’Istituto Nazionale della Repubblica Romana (1798) Pietro Franchini, Gioacchino Pessuti, Giuseppe Calandrelli, Pio Fantoni, mentre all’Istituto Nazionale della Repubblica Napoletana (1799) furono nominati Nicola Fergola, Vito Caravelli, Vincenzo Porto, Annibale Giordano, Filippo M. Guidi, Giuseppe Cassella.
Nel periodo repubblicano vennero pubblicate alcune opere matematiche di notevole rilievo. Lorenzo Mascheroni nel 1797 diede alle stampe a Pavia La geometria del compasso, dedicata a Bonaparte “l'Italico”. Un'altra opera fondamentale, la Teoria generale delle equazioni di Paolo Ruffini, fu stampata a Bologna nel 1799. A queste si può aggiungere, a testimonianza dell'attenzione per le novità che provenivano d'oltralpe, la traduzione italiana delle Lezioni ad uso delle Scuole Normali di Francia, dovuta a Carlo Lauberg (1762-1834) (Milano, Netti, 1798) contenenti lezioni di Lagrange, Laplace, Monge e Vandemonde.
Sempre nel triennio 1796-99 Vincenzo Brunacci stampò la sua prima opera importante, il Calcolo integrale delle equazioni lineari (Firenze, 1798), Vittorio Fossombroni una Memoria sul principio delle velocità virtuali (1796), Gregorio Fontana un volume di Memorie matematiche (Pavia,1796), Antonio Cagnoli la prima edizione separata delle sue Notizie astronomiche (Modena, 1799), Pietro Cossali la sua opera storica sull'Origine, trasporto in Italia, primi progressi in essa dell'algebra (Pavia, 1797-99).
Tra il 1796 e il 1798, durante la sua permanenza in Italia, prima come commissario della Repubblica francese al seguito dell’Armata d'Italia, poi per organizzare la Repubblica Romana, Monge visita alcune delle principali biblioteche italiane e invia a Parigi centinaia di manoscritti, di incunaboli, di libri rari, diversi dei quali di interesse scientifico.
Mentre le requisizioni di opere d'arte libri e oggetti scientifici da parte dei francesi fu considerata una dolorosa conseguenza della guerra (gli Austriaci prima di lasciare Milano avevano saccheggiato la collezione numismatica di Brera), il giuramento civico alla Repubblica Cisalpina12, imposto nel 1798 ai professori universitari e agli impiegati dello Stato, creò una divisione tra gli studiosi chiamati a prestarlo. Giurarono i primi ardenti fautori del nuovo ordine e molti altri (tra i quali Alessandro Volta). Non giurarono, e furono collocati a riposo, Sebastiano Canterzani e Luigi Galvani a Bologna, Paolo Ruffini a Modena, Teodoro Bonati a Ferrara.

Il primo quindicennio dell’Ottocento è dominato dalla singolare personalità di Napoleone Buonaparte il quale, dopo essersi assicurato il potere con il colpo di stato del 18 brumaio 1799 grazie all’appoggio della grande borghesia francese, ridiede vita all’istituto monarchico con la creazione dell’Impero ed estese il predominio della Francia su gran parte dell’Europa. Con la seconda campagna d’Italia e la vittoriosa battaglia di Marengo (14 giugno 1800), gli austriaci furono praticamente costretti a lasciare libera l’Italia settentrionale; rinascevano così la Repubblica Cisalpina e quella Ligure. Tra la fine del 1801 e gli inizi del 1802, la Repubblica Cisalpina veniva trasformata in Repubblica Italiana. Cogliendo a pretesto le lamentele dei patrioti italiani a proposito del disordine che regnava nella Cisalpina, dove le maggiori città si contendevano la supremazia, Napoleone convocò 500 rappresentanti della Cisalpina ai Comizi di Lione (alla fine del 1801). I lavori furono diretti dal Talleyrand che riuscì a far eleggere Presidente della nuova Repubblica Italiana o stesso Buonaparte, il quale affidò la vicepresidenza al patrizio milanese Melzi d’Eril. Ai Comizi erano stati chiamati un buon numero di scienziati, tra i quali Barnaba Oriani, Alessandro Volta, Agostino Bassi, Giuseppe Venturoli, Ludovico Ciccolini, Luigi Brugnatelli e Antonio Cagnoli.

Uno dei primi atti della nuova Repubblica fu la legge per la pubblica istruzione (4 settembre 1802) e la creazione dell'Istituto Nazionale (17 agosto 1802). La pubblica istruzione era suddivisa in elementare, media e superiore. Venivano istituite due Università a Pavia e Bologna, due accademie di Belle Arti (Milano e Bologna), quattro scuole speciali: di metallurgia (Dipartimento del Mella o dell’Agogna), di idrostatica (Basso Po), di scultura (Carrara), di veterinaria (Modena). Venivano creati i licei, uno per ogni Dipartimento, progressivamente distinti dalle Università, nei quali si insegnava in lingua italiana (negli antichi collegi la lingua di insegnamento era il latino).
Le scienze e in particolare la matematica avevano un posto privilegiato nell’insegnamento liceale. Come libro di testo per le matematiche furono scelti i due volumi degli Elementi di algebra e di geometria di Vincenzo Brunacci. L’insegnamento universitario fu ripartito in classi e in facoltà. Veniva soppressa l’Università teologica e veniva creata una nuova facoltà matematica destinata in particolare alla formazione degli ingegneri e degli architetti.
La realizzazione pratica dell'Istituto e delle riforme dell’istruzione fu graduale e poté essere completata solo negli ultimi anni del governo napoleonico, quando Direttore Generale dell'Istruzione pubblica fu il prefetto Giovanni Scopoli.
Dal punto di vista dei contenuti disciplinari, malgrado molti scienziati dovessero farsi carico di importanti incarichi pubblici, si ebbe nel periodo napoleonico una notevole produzione matematica. Barnaba Oriani pubblicò varie memorie sulla risoluzione dei triangoli su ellissoidi di rotazione (trigonometria sferoidica), Paolo Ruffini scrisse importanti lavori per difendere e perfezionare la sua dimostrazione dell'irresolubilità per radicali di equazioni generali di grado superiore al quarto e produsse una fondamentale memoria sulla risoluzione approssimata delle equazioni algebriche. Gianfrancesco Malfatti studiò un problema geometrico che porta il suo nome, Pietro Paoli pubblicò importanti risultati sulle equazioni alle differenze finite. Vincenzo Brunacci studiò condizioni “tipo Legendre” per funzionali di tipo integrale del calcolo delle variazioni. Girolamo Saladini pose fine ad un annoso problema, dimostrando che la lemniscata di Bernoulli, le ovali di Cassini e le curve dotate di una proprietà di isocronismo, rientrano in una stessa classe di curve algebriche. Giovanni Paradisi, nonostante i suoi impegni pubblici, produsse un interessante lavoro sulle esperienze acustiche di Chladni.

Notevoli furono anche i contributi alla meccanica (Avanzini, Araldi, Fontana, Saladini, Delanges), all’idraulica (Brunacci, Avanzini, Stratico) e all’astronomia (Piazzi e Cagnoli). Anche nel campo della storia delle matematiche vi fu una notevole attività. Gregorio Fontana pubblicò con significative aggiunte il Saggio sulla storia generale delle matematiche di Bossut (Milano, 1802-1803), Mariano Fontana riscoprì e analizzò l'aritmetica di Francesco Maurolico, Giambattista Venturi diede alle stampe fondamentali contributi allo studio di due opere inedite della scienza greca: l’Ottica di Tolomeo e il Traguardo di Erone. Giambattista Guglielmini analizzò l’opera di Leonardo Pisano, con particolare riferimento alla geometria pratica, ripercorrendo il cammino del passaggio della scienza antica dall’Oriente all’Occidente europeo (Bologna, 1813).
I contatti diretti tra l’Italia e la Francia (furono incaricati di varie missioni in Italia ad esempio Cuvier e Prony) e gli scambi epistolari diretti e attraverso le istituzioni, portarono ad una maggiore rapidità nella circolazione delle idee. In particolare gli scienziati italiani guardavano a Monge (alla geometria descrittiva e alla nuova presentazione della geometria cartesiana) e a Lagrange (alla teoria delle funzioni analitiche, alla risoluzione delle equazioni algebriche, alla meccanica analitica).
Nel periodo napoleonico l’Italia si venne a trovare divisa sostanzialmente in tre parti: il Regno d’Italia, con capitale Milano, comprendente la Lombardia, il Veneto, l’Emilia e le Marche; i territori annessi all’Impero francese (Piemonte, Liguria, Parma, Toscana, Umbria e Lazio); la parte continentale dell’Italia meridionale (Sardegna e Sicilia furono governate dagli antichi sovrani). Napoleone era ad un tempo Imperatore dei francesi e Re d’Italia, mentre il Regno del Sud fu prima tenuto da suo fratello Giuseppe poi da suo cognato Gioacchino Murat.
A questa diversità di istituzioni, anche se tutte riunite sotto la presenza francese, corrispondevano notevoli differenze nel sistema universitario. Nel Regno d’Italia non esisteva una facoltà di lettere, e la facoltà di matematica preparava essenzialmente periti agrimensori, architetti e ingegneri idraulici. Nei territori annessi all’Impero gli ingegneri andavano invece a completare gli studi all’Ecole Polytechnique a Parigi dove potevano accedere per concorso, mentre nelle Università esistevano una facoltà di scienze e una facoltà di lettere separate. Con la Restaurazione le facoltà di lettere e di scienze furono riunite in una facoltà filosofica, erede della vecchia Università delle arti.
L’ordinamento dell’Italia unita, prefigurato nel Piemonte dalla legge Boncompagni (1848) e realizzato con la legge Casati (1859), prevederà una facoltà di lettere e una facoltà di scienze separate, mentre la formazione universitaria degli ingegneri si realizzerà a volte in una scuola collegata alle facoltà di scienze (Torino, Roma, Bologna), a volte in una istituzione indipendente (Politecnico di Milano).
L’Istituto Nazionale della Repubblica Italiana nacque, sulla base delle esperienze del triennio Repubblicano, con sede a Bologna e con le funzioni delle antiche accademie, ma per la prima volta l’Istituto era finanziato dallo Stato e in un’accademia nazionale sedevano fianco a fianco scienziati, storici, letterati e artisti. Inoltre l’Istituto Nazionale funzionava come organo di consulenza per l’assegnazione delle cattedre universitarie, per la scelta dei libri di testo e per diverse altre questioni. Tra i primi trenta membri dell’Istituto nominati il 5 ottobre 1802 figuravano Barnaba Oriani, Antonio Cagnoli, Alessandro Volta, Gregorio Fontana, Sebastiano Canterzani, Girolamo Saladini, Giovanni Paradisi, Pio Fantoni, Teodoro Bonati. L’Istituto si riunì per la prima volta a Bologna 1’8 gennaio 1803 per il completamento dell’organico (60 membri). Il 6 aprile furono nominati Paolo Delanges, Vincenzo Brunacci, Giuseppe Avanzini, Francesco Venini, Simone Stratico, Mariano Fontana, Giambattista Guglielmini, Giuseppe Piazzi, Paolo Ruffini.
Le riunioni dell’Istituto a Bologna si svolsero sempre al limite del numero legale, ma le Memorie dell’Istituto Nazionale Italiano, stampate a Bologna dal 1806 al 1813 in sei ponderosi volumi, testimoniano di una notevole attività scientifica. Il segretario Michele Araldi vi inserì dei Discorsi sui progressi recenti delle scienze dovuti agli italiani. Queste prime forme di rivendicazionismo a volte ingenuo (Lagrange era chiamato Lagrangia per sottolinearne l'italianità), come pure le celebri lezioni inaugurali di Vincenzo Monti all’Università di Pavia (1804), non mancarono di contribuire al formarsi di una coscienza nazionale tra gli scienziati, che avrà un ruolo importante per oltre un secolo.


1.3.2
L'età della restaurazione (1815-1839)

L’età della restaurazione inizia con il Congresso di Vienna, che tra il 1814 e il 1815 mirava a riordinare l’Europa sotto la guida dei sovrani assoluti, la cui aspirazione era un ritorno al passato e la cancellazione, pe quanto possibile, di qualsiasi traccia della rivoluzione francese e del regime napoleonico.
La sistemazione politica dell’Italia, che secondo la celebre espressione del Metternich altro non era che una «espressione geografica», fu fatta a tutto favore dell’Austria, la quale, oltre a occupare il Lombardo-Veneto, riusciva a imporre la sua influenza diretta anche sulle varie corti che nel governo di Vienna vedevano la difesa dei loro troni contro ogni possibile novità rivoluzionaria e liberale.
La repressione dei tentativi insurrezionali che a ondate si svilupparono dal 1820-21 fino al 1848 causò l'emigrazione di un importante gruppo di scienziati, tra cui Ottaviano Fabrizio Mossotti, Guglielmo Libri, Francesco Orioli, Macedonio Melloni, Carlo Matteucci, Faustino Malaguti, Agostino Codazzi. Da Milano, dove aveva collaborato al Canciliatare (1818-1819), Massotti riparò prima a Ginevra (1825) poi a Londra e a Buenos Aires (1827). In Argentina creò i primi osservatori meteorologici e astronomici. Ritornato in Italia fu nominato professore nell'Università Ionia di Corfù (1839) per approdare poi nel 1841 all'Università di Pisa12. Guglielmo Libri, i cui genitori avevano aderito in Toscana ai princìpi della rivoluzionari, dopo i moti del 1831 trovò asilo in Francia, dove incontrò Mazzini e entrò in contatto con gli ambienti liberali. Accolti nelle Università straniere, molti scienziati italiani stabilirono contatti scientifici con gli ambienti più vivi della cultura europea e poterono disegnare dopo l'Unità d'Italia un programma di rinnovamento scientifico di grande attualità.

Va detto altresì che nei governi restaurati matematici come Paolo Ruffini a Modena e Vittorio Fossombroni a Firenze ebbero incarichi politici di primo piano. Fossombroni coinvolse nel governo dell’Università e del Catasto Gaetano Giorgini, che era stato allievo dell’Ecole Polytechnique, e Giuliano Frullani. A Torino Giovanni Plana diresse l’osservatorio astronomico e ottenne da Carlo Alberto un cospicuo finanziamento per la stampa della sua celebre opera sul movimento della luna13.

La matematica manteneva tuttavia, anche negli anni della Restaurazione, un ruolo importante nella cultura e nella società per opera innanzitutto di Gian Domenico Romagnosi e di Melchiorre Gioia (allievo a Pavia di Gregorio Fontana), che con il loro richiamo alle indagini statistiche furono il punto di riferimento fino agli anni trenta per giuristi, economisti, studiosi preoccupati del bene comune. La matematica ebbe anche una funzione importante nella formazione di pensatori quali Antonio Rosmini, Pasquale Galluppi e Bertrando Spaventa, e di alcuni protagonisti del Risorgimento come Cavour e Minghetti. I governi restaurati non poterono non tenere conto del progresso e dell’evoluzione della società, dell’economia, dei rapporti giuridici. Da una parte continuarono le pubblicazioni delle Memorie di matematica e fisica e delle Memorie dell’Istituto, dall’altra sorsero nuovi giornali come la Biblioteca Italiana (Milano, 1816) il Conciliatore (Milano, 1818), il Giornale Arcadico (Roma, 1819), l’Antologia di Viesseux (1821) e gli Annali Universali di Statistica (1824). Benché sottoposti a controlli polizieschi, questi periodici fornirono agli studiosi l’occasione per far conoscere le loro idee e un modo per non perdere completamente il contatto con quanto accadeva negli altri paesi europei. Alcuni di questi giornali “indipendenti” svolsero in campo scientifico un'attività informativa ben più efficace di quelli legati ad istituzioni rigidamente controllate e non rinnovate nei componenti.

Con la riforma del 1810 l’Istituto Nazionale era diventato Istituto Reale, trasferendo la sua sede da Bologna a Milano e articolandosi in quattro sezioni (Venezia, Bologna, Padova, Verona). Nel 1812 venne completata la nomina dei sessanta membri, che ricevevano compensi, e di altri trenta membri onorari. Era diviso nelle due classi di scienze e arti meccaniche, e di lettere e arti liberali, ciascuna comprendente tre divisioni. La Restaurazione non sembrò interrompere i lavori delle sezioni. Le Memorie del Reale Istituto continuarono nella Memorie dell'Imperiale Regio Istituto del Regno Lombardo Veneto. Tra il 1819 e il 1824 furono stampati a Milano (Imperiale Regia Stamperia) tre volumi. Tuttavia venne introdotta una sempre maggiore frammentazione tra le sezioni e soprattutto non si sostituirono i membri che man mano venivano a mancare, votando di fatto l’Istituto ad una naturale estinzione. Le sezioni venete si estinsero nel 1832 con la morte dell'ultimo direttore della sezione di Venezia, Stefano Andrea Renier.

A Milano la pubblicazione del Politecnico (1839) di Carlo Cattaneo precedette di due anni quella del Giornale del rinato Istituto Lombardo. Sempre a Milano e per iniziativa di un privato, Enrico Mylius, nasceva nel 1841 la Società di incoraggiamento d'arti e mestieri. Tuttavia dalla fine degli anni trenta stava cambiando gradualmente in molti Stati italiani l'atteggiamento dei governi verso la cultura scientifica. In Piemonte la politica riformatrice di Carlo Alberto acquistò un nuovo respiro che si tradusse nelle riforme dell'Università di Torino del 1848, con la ritrovata autonomia della facoltà di scienze. In Toscana l'Università di Pisa subì un'importante riforma che vide accrescersi e rinnovarsi gli insegnamenti scientifici con la chiamata di Matteucci, Piria, Mossotti e Pilla. A Milano e a Venezia nel 1838 vennero rifondati l'Istituto Lombardo e l'Istituto Veneto e si ebbe un notevole rilancio di quelle che erano considerate le utili applicazioni delle scienze e delle tecniche all'industria e ai miglioramenti nell'agricoltura e nella vita delle città (acqua potabile, illuminazione pubblica ecc.). Questi aspetti di rilevante interesse economico coinvolsero progressivamente anche il Regno delle due Sicilie e lo Stato Pontificio.

Il 26 novembre 1839, tra i primi trenta membri del “rifondato” Istituto Veneto, figuravano Angelo Zendrini e Luigi Valeriano Brera, che avevano fatto parte delle sezioni venete dell'Istituto Reale. Insieme ad essi una serie di studiosi che in modi diversi avevano partecipato alle istituzioni napoleoniche: Giovanni Scapoli (1774-1854), che come Direttore generale della pubblica Istruzione del Regno d'Italia aveva curato la riforma dell'Istituto del 1810-1812, Bartolomeo Gamba (1766-1841) un letterato impegnato in funzioni di governo a Venezia, Pietro Paleocapa (1788-1869), che era stato allievo della scuola militare di Modena e ufficiale negli eserciti napoleonici, Ambrogio Fusinieri (1775-1853), fisico e naturalista, Giovanni Santini (1786-1877), chiamato a Padova come astronomo nel periodo precedente, Tommaso Catullo (1782-1869), insigne naturalista già professore nei licei. È solo un ulteriore indizio dell'importanza dell'epoca dei governi napoleonici, che neanche la più scientifica delle restaurazioni, quella austriaca, era riuscita a mettere tra parentesi.


1.3.3
I congressi degli scienziati (1839-1847)

«La notizia di una riunione di scienziati tedeschi – scrive Umberto Bottazzini14 – pparsa nel 1839 in un articolo della “Biblioteca Italiana” offriva ad un gruppo di intellettuali toscani l’occasione di proporre anche in Italia analoghe e periodiche riunioni “alla maniera di quelle che si ammirano in Inghilterra e in Germania”».

Il principe Carlo Luciano Bonaparte (1803-1857), figlio del fratello di Napoleone, Luciano, era appena rientrato in Italia, nell’ottobre del 1838, dal Congresso scientifico di Friburgo, quando riuscì ad ottenere dal Granduca Leopoldo di Toscana l’assenso definitivo per la creazione di una simile istituzione, già viva nel desiderio di molti. Convocata nel marzo 1839 con una lettera circolare firmata  anche da Vincenzo Antinori, direttore del Museo di Fisica e Storia naturale di Firenze, dall’astronomo Giovan Battista Amici, e da Gaetano Giorgini, la prima riunione aveva luogo a Pisa dal 1° al 15 ottobre 1939. Da allora, i congressi degli scienziati italiani si tennero annualmente nelle principali città italiane, registrando un numero elemento di partecipanti come isulta dal seguente prospetto:

anno città numero partecipanti

 

                                     
   
1839 Pisa 421
1840 Torino 573
1841 Firenze 888
1842 Padova 514
1843 Lucca 494
1844 Milano 1159
1845 Napoli 1611
1846 Genova 1062
1847 Venezia 1478


L’importanza di queste riunioni la si coglie dal giudizio del geologo Lorenzo Pareto (180-1865), già distintosi nel moti del 1821 e poi esule nel 1833. In virtù della sua autorità scientifica, ha modo di manifestare il proprio pensiero politico a favore dell’unità del Paese, a partire proprio dal congresso pisano e per tutte le edizioni successive, nelle quali sarà sempre eletto presidente della sezione di geologia. Ecco il suo giudizio (1853)15:

Tra le istituzioni che negli ultimi anni più grandemente concorsero a dilatare in Italia l’amore delle scienze, e a disporre gli animi degli abitatori tutti della Penisola a risguardarsi come figli della stessa Patria, niuno certo più de’ Congressi scientifici a questo santissimo scopo mirava e in parte otteneva il suo intento.

Ai congressi intervennero matematici, fisici, astronomi, chimici, geologi, naturalisti, ma anche economisti storici, giuristi e letterati che trovarono posto nelle varie sezioni. Le reazioni dei governi della penisola furono diverse. Mentre alcuni stati, appoggiarono l'iniziativa, altri furono piuttosto freddi se non apertamente contrari. La maggiore ostilità fu manifestata dallo Stato Pontificio durante il pontificato di Gregorio XVI, quando la Congregazione degli studi vietò ai professori la partecipazione ai Congressi. La nuova politica culturale, di cui Pio IX sembrava essersi fatto interprete, aveva suggerito ai congressisti di Genova di designare la “dotta” Bologna come sede della successiva riunione. Ma il rapido evolversi delle vicende politiche nazionali e l’affievolirsi delle spinte riformatrici del pontefice, avevano sconsigliato di dar esito alla proposta, sicché la nona riunione del 1847 fu tenuta a Venezia. Le tensioni e i sommovimenti politici e sociali, che a partire dalla primavera del 1848 percorsero l’Italia fino a sfociare nella prima guerra di indipendenza, non solo impedirono la pubblicazione degli Atti della riunione di Venezia, ma segnarono la fine delle riunioni stesse, che verranno riprese nel 1875 (a Palermo) per celebrare l’avvenuta Unità e troveranno una ideale prosecuzione con le riunioni della SIPS di Volterra a partire dal 1907.
Gli stati di provenienza dei congressisti furono determinati in buona parte dalla posizione geografica delle sedi. Nel complesso i tre quarti degli studiosi vennero dal Nord dell’Italia e dalla Toscana; più precisamente, il 36% da Lombardo-Veneto, Trentino e Trieste, il 19% da Piemonte e Liguria, il 20% dalla Toscana.
Animatori dei Congressi tra i matematici furono Mossotti, Corridi, Menabrea, Chiò, Piola, Bellavitis, Minich, Brioschi, Tardy, Lavagna, Plana, Bordoni, Codazza e Frisiani, Montucci. I Congressi furono anche un'occasione di incontro con scienziati stranieri: Charles Babbage intervenne al Congresso di Torino, dove illustrò la sua macchina analitica16 e poi a quello di Firenze; Carl Gustav Jacobi e Wilhelm Borchardt parteciparono al Congresso di Lucca.

Durante il 1848 e il 1849 l’Europa fu teatro di profondi rivolgimenti rivoluzionari che la storiografia considera come la più importante svolta storica del XIX secolo. investì l'Europa e diversi scienziati, come Jacobi a Berlino, si impegnarono nell'azione concreta contro l'assetto illiberale uscito dal Congresso di Vienna. Quintino Sella (1827-1884), inviato a perfezionarsi a Parigi all'Ecole des mines dal suo professore di meccanica Carlo Ignazio Giulio (1803-1859), si trovò nelle prime file quando il 24 febbraio 1848 il popolo parigino poneva fine al regno di Luigi Filippo e dava vita alla Seconda Repubblica.


1.3.4
Il 1848-49 e le vicende risorgimentali

Durante il 1848 e il 1849 l’Europa fu teatro di profondi rivolgimenti rivoluzionari che la storiografia considera come la più importante svolta storica del XIX. Abbiamo già visto che diversi scienziati, come Jacobi a Berlino, si siano impegnati nell'azione concreta contro l'assetto illiberale uscito dal Congresso di Vienna. Quintino Sella (1827-1884), inviato a perfezionarsi a Parigi all'Ecole des mines dal suo professore di meccanica Carlo Ignazio Giulio (1803-1859), si trovò nelle prime file quando il 24 febbraio 1848 il popolo parigino poneva fine al regno di Luigi Filippo e dava vita alla Seconda Repubblica.
In Italia la massima espressione della partecipazione degli scienziati al Risorgimento è fornita dal Battaglione degli universitari pisani nella battaglia di Curtatone e Montanara (29 maggio 1848). Il Battaglione era comandato dal quasi sessantenne Ottaviano Fabrizio Mossotti (1791-1863) con il grado di maggiore, e comprendeva i suoi allievi Riccardo Felici (1819-1902), tenente, ed Enrico Betti (1823-1892). Non fu questo però l'unico episodio importante del biennio che vide coinvolti i matematici. Francesco Brioschi (1824-1897) aveva partecipato alle Cinque Giornate di Milano (18-23 marzo 1848); Silvestro Gherardi (1802-1879), che durante i moti delle Romagne del 1831 aveva comandato il Battaglione universitario bolognese, fu deputato e sottosegretario all'Istruzione Pubblica della Repubblica Romana (1849); il giovanissimo Luigi Cremona (1830-1903) prese parte alla difesa della Repubblica di Venezia, fino alla resa (agosto 1849). Parteciparono ai moti rivoluzionari nelle loro città, e lo pagarono con l'esilio o con la perdita dell'impiego pubblico, Angelo Genocchi (1817-1889) a Piacenza, Gilberto Govi (1826-1889) a Milano e Giuseppe Battaglini (1826-1894) a Napoli.
La partecipazione dei matematici italiani alla vita politica e alle battaglie del Risorgimento non si esaurì con il 1849. Eugenio Beltrami (1835-1900), per esempio, fu nel 1856 espulso dal Collegio Ghislieri e poi licenziato nel 1859 – sempre per motivi politici – dall’amministrazione delle strade ferrate del Lombardo-Veneto. Eugenio Bertini (1846-1933) prese parte alla campagna in Trentino del 1866 come volontario garibaldino.
Tra il 1849 e il 1859 vi fu una notevole emigrazione politica da vari Stati italiani verso il Piemonte. Ancora una volta fu significativa l'emigrazione degli scienziati come il già citato Angelo Genocchi, il fisico e storico della scienza Silvestro Gherardi (1802-1879), ministro dell’istruzione nella repubblica Romana, e l’ingegnere Pietro Paleocapa (1788-1869), che aveva partecipato all’insurrezione repubblicana di Venezia. Tra questi chi diede i maggiori contributi alle matematiche, che anzi apprese professionalmente proprio a Torino, fu Genocchi. «Quando, nell’agosto del 1848 – scrive Alberto Conte – dopo l’armistizio Salasco, il giovane avvocato  professore di Istituzioni di diritto romano piacentino giungeva esule a Torino per sfuggire agli Austriaci che avevano rioccupato la sua città natale, il mondo matematico torinese era ancora dominato dalla figura di Giovanni Amedeo Plana (1781-1864)»17. È dunque a Torino che il giovane professore di Diritto può dare sfogo alla sua passione per la matematica, studiando da autodidatta, frequentando le biblioteche e segundo all’università le lezioni di Plana e del quasi coetaneo Felice Chiò (1813-1871). Fu proprio quest’ultimo che lo spinse a partecipare al concorso per la cattedra di Algebra e geometria complementare, di cui divenne titolare nel 1859 per passare poi, nel 1865 e dopo vari cambiamenti, a quella di Calcolo infinitesimale quale successore di Plana.
Gli interessi principali di Genocchi riguardano la teoria dei numeri e la teoria delle funzioni ellittiche e abeliane, allora straordinariamente in voga. Dal 1851 al 1857 Genocchi pubblicò una quarantina di note e di memorie su varie riviste italiane ed europee. Tra i suoi allievi vi furono Giuseppe Peano (1858-1932), Galileo Ferraris (1847-1897) e Vilfredo Pareto (1848-1923), prima ingegnere, poi economista e, infine, sociologo.

Dopo l'esperienza del ‘48 diversi studiosi tornarono con nuovo impegno alle loro ricerche: il non più giovane Mossotti ordinò in un volume i suoi studi di ottica, mentre in questo arco di tempo Francesco Brioschi mostrò un grande attivismo e ottenne notevoli risultati, in particolare collegando la teoria delle funzioni ellittiche e abeliane allo studio delle equazioni algebriche, e pervenendo alla risoluzione per trascendenti delle equazioni di quinto grado. Un altro fertile campo di ricerca si dimostrò la teoria generale degli invarianti, promossa da Cayley, Silvester, Hermite. In un filone più tradizionale, con ampi riferimenti ai metodi variazionali di Lagrange ma con risultati importanti, si collocavano le ricerche sulla teoria matematica dell'elasticità, promosse a Torino da Federigo Menabrea (1809-1896), marchese di Valdora, che oltre che scienziato fu anche militare, uomo politico (già nel 1848 deputato al Parlamento subalpino) 18, ministro e diplomatico.

Il superamento del riferimento quasi esclusivo alla matematica francese avvenne in Italia con una certa gradualità, propiziato anche da un'analoga apertura della matematica francese alle ricerche che avvenivano in Germania e in Inghilterra. Nel 1852 venne pubblicata sui Nouvelles Annales la traduzione francese della memoria di Gauss sulla geometria differenziale delle superfici (Disquisitiones generales circa superficies curvas, 1828). Era un lavoro fortemente originale, ma che ben si inseriva nella tradizione inaugurata delle lezioni politecniche di Monge, e proseguita dai suoi allievi, in particolare Dupin. Questa tradizione di studi poteva essere vista come familiare anche da un matematico come Bordoni e diede frutti importanti nell'opera di Gaspare Mainardi (1800-1879) e Delfino Codazzi (1824-1873). Più lenta, sostanzialmente dopo il viaggio in Europa di Betti, Brioschi e Felice Casorati (1835-1890), fu invece la penetrazione delle idee legate agli sviluppi della geometria proiettiva, che influenzarono le ricerche di Cremona e Battaglini.

Il periodo che va dal 1848 al 1859, ricco di fermenti sia in campo politico e culturale, sia come abbiamo visto nella ricerca matematica, termina con la seconda guerra d'indipendenza (battaglie di Solferino e San Martino, 24 giugno 1859), e con la conseguente formazione dello stato unitario (17 marzo 1861). Alla battaglia di Solferino aveva partecipato anche il generale Charles Denis Bourbaki (1816-1897), al comando della divisione di Lione. Figlio di un eroe dell'indipendenza greca, Bourbaki acquistò la fame di generale pacifista quando, sconfitto dai tedeschi durante la guerra franco-prussiana del 1870, preferì riparare in Svizzera con tutto il suo esercito e consegnare le armi, piuttosto che continuare un'inutile battaglia. Il nome di Bourbaki è diventato celebre tra i matematici quando è stato assunto come pseudonimo per indicare l'autore di una delle più celebri imprese matematiche del Novecento.

Charles Denis Bourbaki


1.4
Il 1858: un anno chiave per la matematica italiana

Il viaggio di studio che il 20 settembre 1858 Betti, Brioschi e il giovane Casorati intrapresero alla volta delle università di Gottinga, Berlino e Parigi, segna per la matematica italiana un momento importante nel processo di internazionalizzazione e di reciproco scambio scientifico  con gli altri paesi europei. Se tale viaggio, come già si è detto, è stato simbolicamente assunto come il turning point per la cultura matematica del Paese, esso appare tuttavia “come il frutto consapevole di uno sviluppo che ha radici lontane e profonde nella prima metà del secolo”19. Un processo che si accompagna alla fondazione degli Annali di Matematica pura e applicata (1858) voluta in primo luogo da Brioschi, con il sostegno di Betti e Genocchi. I  carteggi fra questi tre matematici consentono di seguire con grande precisione i dettagli di entrambe le inziative20. In una delle prime lettere di Brioschi a Betti, precisamente in quella del 28 aprile 1857, Brioschi esprime con grande chiarezza la necessità di una nuova rivista di matematica che si sostituisca (o ne sia una rifondazione) agli Annali di Scienze matematiche e fisiche che già dal 1850 venivano editi a Roma da Barnaba Tortolini (1808-1874) e che perciò erano comunemente chiamati Annali di Tortolini. Scrive Brioschi:

Probabilmente Ella sarà d'accordo con me che gli Annali del Tortolini non corrispondono allo scopo al quale dovrebbe tendere ogni giornale scientifico fra noi. Questo scopo parmi debba essere di far conoscere fuori d’Italia il movimento scientifico italiano; e di tenere al fatto gli Italiani del movimento scientifico degli altri paesi civilizzati. Ora al primo intento giungesi mediante la pubblicazione di articoli originali e al secondo mediante riviste bibliografiche critiche. Questo secondo intento è affatto escluso dagli Annali del Tortolini; ed il primo non è che incompletamente raggiunto giacchè come Ella avrà già avuto occasione di osservare i nostri lavori sono ancora poco noti al di fuori e ciò è anche a me noto per confessione di alcuni matematici stranieri coi quali mi trovo in relazione. La parte bibliografica è poi a mio credere di moltissima importanza per noi, essendo in Italia pochissimi i centri dove si trovino mezzi di studio.
Intorno a queste idee, che potrei meglio sviluppare all'occorrenza, ebbi lunghi colloquii col Sig.r Genocchi nei primi giorni di questo mese trovandomi a Torino, e d'accordo giungemmo a concludere che se Ella volesse associarsi con noi potremmo fare al Prof.e Tortolini la seguente proposizione (la quale potrebbe essere modificata da Lei).
Gli Annali di Matematica continueranno a pubblicarsi in Roma a spese e a vantaggio del Prof.e Tortolini, ma avranno una redazione collettiva composta del medes.o Prof.e, di Lei, di Genocchi e di me. (A questa redazione di uomini scelti in varj stati io tengo assai). La pubblicazione sarà di un fascicolo ogni due mesi, distinto in due parti; nell'una si troveranno memorie originali strettamente di matematica o di fisica matematica o meglio di matematica pura e applicata; nella seconda articoli bibliografici ed estratti di memorie principalmente inglesi e tedesche le quali sono meno note generalmente fra noi. A questa seconda parte dovrebbe attendere principalmente la redazione.
Intorno ad alcune altre modalità potremmo intenderci allorquando Ella trovi accettabili queste premesse.
L'idea di una redazione collettiva non è nuova, anzi mi venne suggerita da quanto si fa ora in Germania pel giornale altre volte di Crelle. Questo giornale viene ora redatto da Borchardt, Kummer, Weierstrass ... i quali geometri non si trovano tutti a Berlino. Questa idea sembrami anche molto utile per la diffusione del giornale stesso.
Il giornale di Cambridge ed il Quarterly Journal diedero esempi di articoli bibliografici scritti anche da  matematici distinti, basti nominare il Cayley; ma dove la parte bibliografica ha una sezione apposita  è nel nuovo giornale di Schlömich che pubblicasi a Lipsia21 di cui ho veduto i cinque fascicoli del 1856 ed il primo del 57.
Al Prof. Tortolini non ho scritto in proposito, giacchè il progetto è legato alla sua adesione; per cui La prego di farmi conoscere la sua opinione in proposito.
Ieri ho ricevuto dal Cayley la terza memoria Upon Quantics22; il bollo postale mi fece conoscere che questo illustre matematico trovasi a Firenze; Ella avrà senza dubbio il piacere di conversare con Lui; ed avrà quindi avute le notizie che desiderava intorno al Quarterly Journal23. Io ebbi alcuni giorni sono il quinto fascicolo pubblicato nel Gennajo di quest’anno.
Il Cayley Le avrà forse anche parlato di una memoria del Prof.e Schläfi24 di Berna pubblicata negli Atti dell’Accademia di Vienna (1852) intorno all’eliminazione nella quale si trovano molti nuovi teoremi del risultante. Anche il Faà di Bruno25 ha pubblicato sull’eliminazione come tesi, ma contiene poco di nuovo.

Ricevuta l’adesione di Betti, può scrivere a Genocchi, col quale sembra aver già discusso sia le motivazioni per la nuova rivista sia gli obiettivi programmatici (lettera del 6 maggio 1857):

Se ho aspettato a scriverLe fino ad oggi ed a ripeterLe in iscritto le proteste di stima e di simpatia che ebbi il piacere di poterLe fare a voce, si è che desiderava prima avere risposta dal Betti, al quale aveva comunicato il nostro progetto intorno ad un giornale di matematica Italiano da surrogarsi agli Annali del Tortolini, quando non potesse essere una continuazione di questi. Il Betti aderisce completamente a quanto gli ho proposto mostrandosi ben contento si possa finalmente giungere a qualche cosa di meglio. Domani o dopo al più tardi io scriverò al Tortolini sottoponendo gli il progetto; io credo non potrà che aderirvi; ma nel caso il più sfavorevole amasse meglio abbandonare la redazione, ne pubblicheremo uno affatto nuovo a Milano od a Torino dove meglio converrà. Da qualche tempo la vita matematica non è molto brillante, almeno qui non arrivano giornali; buon per me che occupato da quindici giorni di questioni di meccanica pratica non potrei tenervi dietro. Però in questo mese mi giunse il 5° fascicolo del Quarterly Journal del Sylvester il quale giornale credeva avesse cessato di vivere; ed il primo fascicolo 1857 del giornale di Sch1ömilch. Le memorie contenute in questo  fascicolo del giornale di Sylvester sono di poco interesse meno una memoria dello Schläfli sulle ventisette rette le quali si possono tracciare sopra una superf.[icie] del terzo ordine26. Sono cose per la maggior parte note, ma trattate in modo nuovo ed elegante, analogamente a quanto fece Jacobi nella memoria sulle tangenti doppie27.
Finora non mi è occorsa alcuna occasione per mandarle la memoria del Kronecker28 di cui abbiamo parlato, ma se Ella desidera averLa cercherò di procurarmi qualche mezzo a meno che Ella potesse indicarmene qualcuno. Se per caso Ella dovesse venire alla Stradella29 fra qualche tempo, e vi si potesse fermare un Giovedì od una Domenica La prego di farmelo sapere, che farei in modo di venirvi io pure, onde avere il piacere di trovarmi ancora presto con Lei e combinare alcuni dettagli pel giornale.
E il nostro Faà di Bruno30 che fa? con quale successo continua le sue lezioni di alta analisi? e le sue melodie per la madonna!
Se posso esserLe utile in qualche cosa, faccia conto sopra di me come su di un amico. La prego di salutarmi il Prof. Chiò, e l’ottimo amico Colombo31.

Lo stesso 6 maggio Brioschi annuncia a Betti l’intenzione di passare alla realizazzione pratica del progetto e di sottoporlo a Tortolini:

Forte ora della sua adesione come di quella dell’amico Genocchi scriverò al Prof.e Tortolini sottoponendogli il progetto, usando però di tutti i riguardi ben dovuti a chi pel primo ci offriva mezzo di pubblicazione. Io penso che il Tortolini accetterà i nostri patti, ed il nostro ajuto; ma nel caso più sfavorevole che egli volesse abbandonare completamente la redazione penserò io ai mezzi di formare un giornale interamente nuovo.

Anche se “non molto conteno”, Tortolini “accetta completamente” la proposta e il progetto può così decollare, anche se le “lungaggini” di Tortolini nell’organizzazione pratica procurano ritardi e costringono Brioschi a scrivergli una lettera molto dura (a Betti, in data 4 dicembre 1857):

Ma ciò che mi sembra oscuro, è l’aspettare, dopo sei mesi che siamo in trattativa, alla vigilia dell’epoca nella quale il nuovo giornale deve venire in luce a domandare i permessi necessarj.
Comunque sia io ho risposto al Tortolini una lettera assai risentita, dicendogli che il nostro desiderio sarebbe stato di pubblicare il nuovo giornale sia a Torino, sia a Firenze sia a Milano piuttosto che a Roma che non è centro scientifico; che se abbiamo fatto a Lui la proposizione di essere editore era solo per benevolenza verso di Lui in riguardo all’aver promosso gli studj colla pubblicazione degli Annali. Che queste sue lungaggini mi facevano ritornare al primo pensiero, per cui io d’accordo con Betti e Genocchi eravamo decisi di escire da questa perplessità, per cui attendeva una sua risposta evasiva e chiara a posta corrente, onde dar subito vita a qualche nuovo progetto di pubblicazione.

L’implicita minaccia – nel frattempo Betti aveva elaborato, con l’aiuto di Mossotti e del fisico Carlo Matteucci (1811-1868) un progetto alternativo – produce l’effetto desiderato e nella primavera del 1858 esce il primo fascicolo degli Annali di Matematica pura e applicata, che soddisfa entrambe le condizioni desiderate da Brioschi: “la pubblicazione di un solo giornale di matematica in tutta Italia, e l’altra di una compilazione Italiana”.
I “compilatori” della rivista32, riprendendo significativamente le parole di Brioschi, scrivevano nell’Avviso preposto al primo numero:

Essi confidano (e altrimenti non avrebbero intrapresa questa pubblicazione) che i geometri italiani si impegneranno perché un giornale che si propone di rappresentare lo stato della scienza tra noi, possa richiamare l’attenzione continua dei dotti degli altri paesi;  e far cessare il lamento che i nostri lavori non sono conosciuti fuori d’Italia.

Sostanzialmente allo stesso scopo rispondeva il viaggio per le università di Francia e Germania progettato, ancora da Betti, Brioschi e Genocchi, con l’aggiunta di Placido Tardy (1816-1914), un siciliano di origine francese che era stato esule a Firenze nel 1848 ed era poi diventato professore all’università di Genova, presso la cui casa genovese i primi tre erano stati ospiti nella Pasqua del 185833. Però, al momento della partenza, impedimenti vari costringono Genocchi e Tardy a rinunziare al viaggio, così Betti e Brioschi sono accompagnati dal giovane assistente di Brioschi all’università di Pavia, Felice Casorati, appena ventitreenne. Abbiamo un prezioso resoconto di questo mitico viaggio (iniziato il 20 settembre e concluso il 29 dell’ottobre sucecssivo) in una lettera di Brioschi a Genocchi del 9 novembre 1858 che riportiamo per intero perché, come giustamente osservano i curatori della trascrizione, la lettera “rappresenta forse il documento più dettagliato che, al riguardo, sia stato fino ad ora pubblicato”34:

Caris.mo Amico
Da più di otto giorni sono di ritorno dal mio viaggio, ma solo da jeri sono qui stabilmente. Trovai qui una vostra lettera direttami a Berlino, la quale mi venne rimandata dal Borchardt essendo giunta là dopo la nostra partenza. Abbiamo variato tanto l’itinerario che l’estensione del nostro viaggio, cioè in luogo di incominciarlo da Basilea, Carlsrhue etc. lungo il Reno, abbiamo tenuto questa via: Zurigo, Monaco, Lipsia, Dresda, Berlino, Gottinga, Heidelberg, Carlsrhue, Strasbourg, Parigi. A Berlino ci fermammo nove giorni, undici a Parigi, nelle altre città due o tre giorni al più. Abbiamo avuto la fortuna di ritrovare quasi tutti i geometri tedeschi e francesi già di ritorno dai loro viaggi autunnali; soltanto non potemmo trovare Dirichlet a Gottinga, e Liouville a Parigi. A Berlino passammo molte ore con Borchardt, Kronecker, Kummer, Weierstrass, conoscemmo anche Arohnold35, Schellbach36. A Gottinga Stern, Riemann, Dedekind; ad Heidelberg Hesse37, Cantor; a Carlsrhue Dienger38, Clebsch. A Lipsia abbiamo visitato Moebius39, ed a Dresda il Baltzer40, e lo Schlömilch. A proposito di quest’ultimo girano in Germania voci poco favorevoli; cioè che buona parte dei suoi lavori principalmente gli Studi Analitici siano plagi delle lezioni di Dirichlet, ed anche di Jacobi. Senza dubbio è un uomo che pensa a far danni; giacché alla scuola Politecnica occupa due o tre cattedre; oltre a ciò tiene una specie di collegio per gli studenti di quella scuola, e dà ripetizioni etc. È strano che essendoci fermati questi tre giorni a Dresda egli si schermì di trovarsi con noi, avanti l'ultima mezz’ora, cioè ci accompagnò alla stazione della strada ferrata.
I matematici francesi in generale non ci lasciarono impressioni molto gradite. La maggior parte non lavora per l’amore della Scienza ma per acquistare un posto o l’altro, principalmente quello all’Accademia. Da qui nascono invidia, pettegolezzi etc.
Anche gli uomini che hanno già tutti i posti possibili e, ciò che vale più, anche un posto nella storia della scienza non vanno esenti da simili debolezze. Se vedeste che bambini sono i Poncelet, i Bertrand, i Duhamel, gli Steiner etc! (Quest'ultimo ora dimora a Parigi). Uomini amanti delle Scienze trovammo l’Hermite, il Chasles41, il buon Terquem42, ed il Lebesgue43. Prouhet44 e Bonnet45 ci parvero pure onesti uomini. Vorrei essermi ingannato ma temo l'Hermite un affigliato dei Gesuiti. Esso è però l’unico matematico sia francese sia tedesco che mi ha lasciato l’impressione di essere dotato di una intelligenza straordinaria. Non potemmo trovarci con lui che due volte però lungamente ciascuna volta.
Il nostro giornale ha al di fuori un credito superiore alla nostra aspettativa, esso è letto tanto in Germania che in Francia. Feci nuovi associati e nuovi collaboratori nel Kronecker, nel Weierstrass, nell’Hesse, nel Lebesgue, nell’Hermite, nel Bonnet. Una breve nota consegnatami dall’Hesse46 e che tradussi la mandai già al Tortolini; ora ho qui un lavoro del Bonnet di geometria47.
Avete veduto l’ultimo fascicolo? Sono irritato col Tortolini che non dà ascolto e vuole stampare quelle sue filastrocche senza senso per quanto gli abbia dato consiglio di non farlo. Egli non sa e non comprende un’acca di queste moderne teorie ed è già la terza volta che vuole occuparsene.
E la monografia sui numeri complessi? Essa sarebbe molto ben accolta principalmente in Francia, me ne parlarono varj matematici.
Il Borchardt mi fece conoscere a Berlino un onesto libraio M.r Behr, col quale feci intelligenza per quelle memorie che vorrei in seguito avere col mezzo postale, se credete potete approfittarne.
Scrivetemi presto e datemi notizia dei vostri lavori e della vostra Università. Noi non abbiamo novità reali, molte immaginarie. Salutatemi Chiò, e Colombo. State sano (...)

Colpisce, di questa lettera interessante, la maturità di giudizio sulla situazione matematica tedesca e francese che coincide quasi alla lettera con il giudizio di un altro matematico, il danese Niels Abel (1802-1829), che trent’anni prima, nel 1825, aveva fatto un analogo viaggio per le capitali europee della matematica, Gottinga e Parigi. Qui Abel vi arriva ai primi di agosto. “La capitale più rumorosa del continente fa l'effetto di un deserto”, scrive Abel. Sono tutti in campagna. Tra i pochi rimasti Abel ha conosciuto Legendre, i cui lavori gli hanno ispirato le ricerche sulle funzioni ellittiche. È “estremamente gentile”, scrive Abel, ma “sfortunatamente vecchio come le pietre”. Poisson, Fourier, Ampère “si interessano esclusivamente di magnetismo e di altre cose di fisica”. Il solo che si occupi di matematica pura è Cauchy, che per i suoi studenti dell'Ecole Polytecnique ha pubblicato un manuale, il Cours d'analyse, che Abel considera come una Bibbia della nuova matematica. “Cauchy è matto e con lui non c'è verso di capirsi, anche se al momento è il solo che sappia come si debba fare della matematica”, scrive Abel. Oltre che matto, “Cauchy è cattolico bigotto, cosa ben strana per un matematico”. Un paio di mesi dopo Abel ha finito di scrivere una grande memoria sulle proprietà di una certa classe di funzioni. “L'ho mostrata a Cauchy, ma si è degnato appena di dargli un'occhiata” scrive deluso ad un amico. “Eppure oso dire, senza vantarmi, che si tratta di un buon lavoro”. Quella memoria è un “monumentum aere perennius”, dirà Legendre anni dopo. Nonostante la freddezza di Cauchy, Abel presenta il suo lavoro all'Accademia, “curioso di sapere l'opinione dell'Istituto”. Ma i rapporti con i mate,atici si riveleranno molto deludenti. “Ognuno lavora per sé senza curarsi degli altri. Tutti vogliono insegnare e nessuno imparare. Dappertutto regna l'egoismo più assoluto”. La delusione si somma ai primi sintomi di malattia, a febbri e colpi di tosse. Dopo aver atteso invano l'opinione dell'Istituto, alla vigilia di capodanno Abel decide di tornare a Berlino (a Gottinga non “vale la pena di andare, gli dicono, perché Gauss è “inavvicinabile”). Dopo qualche mese di inutile attesa di notizie da Parigi, Abel ritorna a Christiania. Il viaggio in Europa si è rivelato un mezzo fallimento. Non così, ed è una differenza importante, per i matematici italiani di trent’anni dopo, per i quali il viaggio in Europa rappresenta l’inizio di risultati scientifici importanti: nel novembre 1858, Betti comincerà a lavorare alla traduzione della dissertazione inaugurale di Riemann sui fondamenti della teoria delle funzioni di una variabile complessa, che sarà pubblicata poi negli Annali48. Brioschi, invece, presenterà all’Istituto Lombardo una nota sul metodo di Kronecker per la risoluzione delle equazioni algebriche di quinto grado mediante funzioni ellittiche49.


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